La Cultura e lo Stato senza soldi, inevitabile il federalismo culturale

C’è un largo accordo sulla gravità degli effetti conseguenti ai tagli della spesa pubblica sulla Cultura. Su questo non si può non essere d’accordo ed è giusto chiedere che si tenga conto di quanto la Cultura contribuisca allo sviluppo di un Paese. Le preoccupazioni non riguardano solo l’attuale situazione ma si riferiscono alla tendenza che già è in atto da anni di una crescente difficoltà a soddisfare i bisogni e le attese che si pongono per la Cultura.

Ci si rivolge per le denunce e le rivendicazioni è lo Stato, che nella nostra tradizione e nel nostro ordinamento ha il ruolo primario di sostenere il settore culturale in tutte le sue articolazioni. Di fronte alla difficoltà dello Stato di dare risposte adeguate, si pone l’interrogativo se quella che oggi fronteggiamo sia una situazione transitoria destinata a cambiare in tempi non troppo lunghi. A rendere non rassicurante la risposta non c’è solo la previsione che i vincoli di bilancio peseranno probabilmente a lungo, ma anche la vulnerabilità di un sistema eccessivamente concentrato sugli impegni di spesa dell’Amministrazione dello Stato. Di conseguenza si renderebbe necessario un ruolo più forte degli altri soggetti che già operano nel settore, il coinvolgimento di nuovi, come le persone fisiche, e il raccordo, attraverso l’efficacia e l’efficienza della gestione, della finalità primaria dell’arricchimento culturale con la dimensione economica.

Già in passato è stata verificata la possibilità di dare alle Regioni e ai Comuni maggiori responsabilità con la trasmissione di beni e conseguenti attività svolte dallo Stato. In quella fase i risultati non sono stati positivi, come anche diversa attribuzione dei compiti di tutela e di valorizzazione.

Ciò non significa che la questione non si debba riaprire. L’attualità è data dal federalismo fiscale e dalla possibilità di spostare insieme ai compiti le risorse relative. L’obiettivo rimane quello di alleggerire l’Amministrazione dello Stato di scelte che possono essere meglio decise a livello locale .

Infatti si tratta di dare un assetto istituzionale a funzioni che le Regioni ed i Comuni hanno svolto in questi anni in maniera sganciata dalle attività dello Stato,senza che si potesse con un ridisegno dei compiti trovare un equilibrio tra la spesa dello Stato e la spesa delle Regioni.

Si potrebbe invece ottenere una migliore finalizzazione degli interventi sia sul piano della concentrazione delle risorse sia su quello della coerenza delle politiche nazionali e territoriali. L’obiezione che viene naturale è che non c’è certezza di una sufficiente omogeneità nel Paese sul peso che la cultura debba avere, con la conseguenza di una perdita di qualità e di impegno complessivo.

E’ quindi questa l’area del chiarimento politico che deve essere affrontata in maniera prioritaria malgrado i possibili scetticismi.

Un’altra direzione, che è stata indicata più volte, è quella dell’introduzione nella gestione culturale di spazi di mercato per accrescere le risorse e migliorare l’efficienza: non è certo una soluzione generalizzabile e risolutiva, non solo perché è.indispensabile rispettare i valori culturali ma anche perché la gran maggioranza delle attività possono consentire solo un parziale autofinanziamento per effetto del mercato. L’esperienza ha però dimostrato che fare attenzione alla dimensione economica e considerare il pubblico come se fosse un insieme di consumatori possono accrescer le potenzialità del settore senza comprometterne le finalità naturali.

Di fronte alle prospettive che si aprono ed alle difficoltà che emergono quando si vogliono individuare strade diverse da quelle del puro mantenimento dello statu quo, non ci si deve arrestare al primo gradino, la constatazione dei vincoli, ma cercare le situazioni più idonee per dare vigore e prospettive ad un settore così centrale della nostra Società.

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