Femminicidio: legge da ingenuità e ipocrisia, politica per famiglia fallita

di Paola Maria Zerman
Pubblicato il 15 Agosto 2013 - 08:14 OLTRE 6 MESI FA
Femminicidio: legge da ingenuità e ipocrisia, politica per famiglia fallita

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Paola Maria Zerman, avvocato dello Stato, ha scritto questo articolo per Unsognoitaliano.it

La cronaca di questi ultimi mesi ha registrato un susseguirsi di gravissimi episodi di violenza consumati contro donne, quasi sempre in ambito familiare. Spesso da parte di mariti o ex. Ma anche di compagni, fidanzati, il più delle volte quando il rapporto di coppia era finito da tempo.

Incalzato da questi episodi, quasi quotidiani, spesso aggravati agli occhi dell’opinione pubblica dalla circostanza che le minacce e le persecuzioni erano state invano segnalate alle autorità, il Governo ha approvato un decreto legge in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, il cui obiettivo è soprattutto combattere il fenomeno della violenza sulle donne e il cosiddetto “Femminicidio”.

“L’avevamo promesso. Lo facciamo”, ha detto il presidente del Consiglio Enrico Letta in un tweet nel corso della seduta del Consiglio dei Ministri. Il decreto, ha poi spiegato, che si compone di 12 articoli, interviene su temi essenziali.” C’era bisogno nel nostro Paese – ha precisato – di dare un segno fortissimo, ma anche un cambiamento radicale sul tema”.

Dell’iniziativa il Premier si è detto “molto orgoglioso” perché, inasprendo il regime penale previsto per i maltrattamenti in famiglia, la violenza sessuale e lo stalking, dovrebbe sortire l’effetto di frenare tali violenze.

C’è tuttavia, purtroppo, un po’ d’ingenuità in tutto questo ed una certa dose di ipocrisia, in quanto gli episodi di violenza in molti casi, nella maggior parte dei casi certamente, trovano la loro origine nelle condizioni di disagio che vive la famiglia italiana alla quale i governi e le maggioranza parlamentari da anni non sono riusciti a garantire condizioni economiche e sociali quali la Costituzione aveva previsto riconoscendo a questa “società naturale”, cellula fondamentale della società, un ruolo essenziale. Basta rileggere gli articoli da 29 a 32 della Carta fondamentale della nostra Repubblica per rendersi conto che le politiche sociali hanno manifestato, in tema di famiglia, assoluta inadeguatezza rispetto ai fattori di crescita e di sostentamento che avrebbero potuto stemperare i fattori di tensione che -se esasperati- mettono in seria difficoltà la vita della coppia.

La violenza contro le donne, manifesta, infatti, quasi sempre la crisi della famiglia, perché le leggi di fatto ignorano quella comunità di affetti con funzione di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.) agevolandola con “misure economiche e altre provvidenze” per favorire la sua “formazione” e “l’adempimento dei compiti relativi, “con particolare riguardo alle famiglie numerose” (art. 31).

Funzione essenziale perché nella famiglia e attraverso la famiglia la società prepara le future generazioni al ruolo di cittadini e lavoratori. La famiglia microcosmo economico fatta di lavoratori, aspiranti lavoratori, risparmiatori, aspiranti risparmiatori, sicché la cura della famiglia rende il tessuto sociale capace di affrontare anche le difficoltà naturali della vita. Non a caso nella famiglia si realizzano forme di solidarietà che lo Stato avrebbe dovuto cogliere e sostenere. Un esempio per tutti, l’assistenza dei malati e degli anziani che fa risparmiare ingenti risorse ai bilanci pubblici.

Al contrario, da ormai troppo tempo la famiglia è stata lasciata sola a combattere con mezzi inadeguati contro gli innumerevoli problemi quotidiani, che i coniugi devono affrontare, con il rischio così di creare ed esasperare tensioni interne alla coppia e di arrivare a punti di non ritorno che una società più giusta dovrebbe evitare.

Si pensi, tra i tanti esempi, alla mancanza di un adeguato regime fiscale, che, riconoscendo nei figli un investimento per la società, possa alleviare in modo significativo i pesanti oneri economici della famiglia. Tutti noi alle prese con una grave pressione tributaria, possiamo immaginare la situazione, anche psicologica, di chi con il proprio stipendio (spesso modesto e precario) deve far fronte alle tante spese per i figli. Situazione che, obbligando entrambi i genitori a lavorare, determina quel clima di tensione, quel malessere che sovente sfocia in crisi familiari, la cui degenerazione può alimentare esasperazione e intolleranza, spesso anticamera della violenza verso la parte più debole.

È una questione di cultura, della mancanza di un adeguato riconoscimento dell’istituto familiare, che faccia emergere l’enorme risorsa sociale rappresentata dalla famiglia e che, pertanto, ponga al suo servizio opportuni strumenti, anche di carattere psicologico, per superare situazioni di difficoltà e conflitto.

Frequentemente la stampa richiama il confronto con altri Paesi, soprattutto europei, per sostenere forme alternative di unioni, mai per segnalare quali sostegni sono riservati alla famiglia tradizionale in molti paesi. Si pensi innanzitutto alla Francia, a noi vicina per storia e cultura, ma anche alla Svezia. Non solo per quanto concerne il regime fiscale (fondato sul c.d. quoziente familiare), assai più equo perché tiene conto del numero dei componenti della famiglia, ma anche in ragione della molteplicità dei servizi e delle facilitazioni che sono offerti dallo Stato (o dagli Enti locali), sia per quanto concerne l’aiuto domiciliare per i bambini piccoli, che per usufruire dei più diversi servizi scolastici e sanitari.

La nostra legislazione sembra pensata per single. Come dimostrano le coppie di professionisti che decidono di ricorrere ad una fittizia separazione legale per ottenere vantaggi tributari consistenti, come quelli dei servizi sociali. Una donna sola ha la precedenza nella graduatoria dell’asilo nido ed è giusto. Ma se è sola per una scelta indotta dall’esigenza di fruire di vantaggi vuol dire che è lo Stato a remare contro la famiglia.

In queste condizioni di diffuso disagio non ci si può stupire se i semi dell’intolleranza e della violenza attecchiscono in persone dagli istinti asociali.

Né si può avere la presunzione che questi gravi problemi possano trovare soluzione in un decreto legge di carattere penale. La prova evidente del fallimento delle politiche familiari.