Alluvione a Genova: ‘SuperMarta’ si scioglie sotto la pioggia

di Franco Manzitti
Pubblicato il 7 Novembre 2011 - 15:42 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA –  SuperMarta, Marta Vincenzi da quattro anni e cinque mesi sindaco di Genova, la prima donna sindaco della Superba, si scioglie sotto l’acqua dell’ultima alluvione, sotto la bomba monsonica caduta sulla sua città, in due ore di pioggia venerdì 3 novembre 2011. Supermarta non è più super, si scioglie sotto il diluvio del cielo e delle polemiche, che la travolgono come capro espiatorio di quaranta anni di malgoverno del disastrato territorio genovese, ma anche come estrema fatale decisora per non avere fatto chiudere le scuole nel giorno del giudizio.

Si scioglie con l’ombrello in mano e la faccia grave nelle strade della morte, via Fereggiano, corso Sardegna, lungo gli argini spolpati dei fiumi, torrenti, rii, bei ( si chiamano anche così) che a Genova sono 34 e corrono nella pancia della città più cementificata che ci sia, più di Palermo, che ha maggiori distanze tra le case perfino nei quartieri scandalo della mafia ribollente, più di Napoli selvaggia e scomposta, ma dai grandi spazi. Si scioglie con il suo impermeabile giallo o bianco, gli stivali di gomma e il suo staff che sembra la compagnia della bella morte in giro per il cimitero di una città in ginocchio, tra un comitato della Protezione Civile radunato nei grattacieli degli uffici comunali e l’argine sbrecciato del Fereggiano, dove la insultano a man salva, tra la selva degli ombrelli.

Regge il ruolo di Madonna pellegrina dell’insulto e del senso della sua responsabilità questa donna di 64 anni, ex professoressa, ex preside di scuola, ex assessore comunale, ex presidente della Provincia, ex eurodeputata, che aveva un solo sogno in testa da quando era bambina forte e decisa. Figlia di un operaio di Rivarolo e di una mamma amatissima, studentessa secchiona ma iperintelligente, con il ritratto di Marx e Lenin nel corridoio della sua casa, il suo sogno era quello di diventare il sindaco della sua città.

Era la città degli anni Settanta-Ottanta, dove le alluvioni come quella di ora avrebbero incominciato a cadere con violenza mortale a intervalli secchi e precisi, come rasoiate su un territorio saccheggiato dai costruttori, ma anche dagli amministratori pubblici, prevalentemente del suo partito che fu il Pci monolitico e piramidale di Genova, quello del 43 per cento negli anni Settanta, dei camalli un po’ dissidenti, comandati da Paride Batini, che non la amava la giovane Marta, la città e il porto delle scritte ambigue rubate nell’album di famiglia negli anni di piombo, “né con lo Stato, né con le Br.”

Si scioglie oggi che è diventata ed è stata sindaco con grande veemenza Marta Vincenzi e che vuole continuarlo ad essere in una campagna elettorale contestatissima che oggi forse annega nel Bisagno, nel Fereggiano e chissà dove ancora, di fronte ai microfoni e alle telecamere Tv che la cercano e la stanano, se ce ne fosse bisogno. Ma non ce n’é per la sua bulimia mediatica incontenibile, dalla sera alla mattina, da Canale Cinque, Prima Pagina, che non riesce a interrompere la sua, propria sua, alluvione di difesa alla domanda fatidica “perchè non ha chiuso le scuole?”, all’Arena di Gilletti su RaiUno che, da showmen, idolo di casalinghe e ragazzette non più in fiore, si trasforma nel Savonarola dei disastri ecologici, che la tempesta e la accusa di scaricare la colpa, non i fiumi carichi di fango, su altri.

Marta, non più Supermarta, porta la sua dolente ma fluviale autodifesa per ogni microfono ed ogni angolo di una città rattrappita, ignorando o negando a se stessa che quella non è più la sua città. “Sento quei morti sulla mia coscienza”, ammette a la cinco de la tarde di domenica, l’ora fatidica di tutto, davanti a un altro microfono e a un’altra telecamera, rinforzando però il suo ego con l’annuncio dal sapore aihimè berlusconiano. “Non mi dimetto perché sarebbe vergognoso lasciare la città in queste condizioni!”.

Il suo “capo” da Roma, Pier Luigi Bersani, la difende, respinge la teoria del capro espiatorio, ma si capisce che è una difesa d’ufficio, come quella degli avvocati in Pretura, che per non affrontare le tortuosità della causa, dicono al giudice con altisonanza: “Mi rimetto alla clemenza della Corte”.

Ma dov’è la Corte? Nelle strade di Genova, dove quattromila ragazzi con la pala vanno a togliere il fango con il sorriso dei volontari non più precari per un giorno, nelle strade della morte dove lei, povera Marta, non è accettata e dove prendono a calci la sua macchina che se ne va nel fango, nel tribunale dei mass media dove i tenori come Francesco Merlo, il grande editorialista di Repubblica, la condanna con parole tanto definitive da sembrare stilettate profonde, insanabili? Dove è la Corte che giudica Supermarta non più super se non nella rabbia dei presidi e delle scuole lasciate aperte nel giorno del giudizio, che le contestano tutto anche le sue difese sotto l’ombrello?

Marta Vincenzi percorre questo calvario di strada in strada, di telecamera in telecamera per ore a farsi spennare dentro a studi televisivi dove spesso, più per abitudine che per convinzione, giornalisti vecchi amici cercano di non infierire, ma vengono travolti alle spalle dalle ondate del pubblico “in diretta” o dalla valanga di Face Book dove un minuto è un insulto.

Come finirà? A Genova è giorno di lutto cittadino, ma a Marta Vincenzi non è stato consigliato di avvicinarsi ai rosari e alle messe di suffragio per quelle sei donne e bambine che il fango assassino ha inghiottito e le cui foto con il biberon in mostra urlano dalle prime pagine dei giornali. Bombe di carta contro la bomba d’acqua che nessun ombrello poteva parare.

Oggi splende un sole beffardo sotto la previsione di Allerta 2, stesso livello di guardia del giorno dei morti, il 3 novembre e non sembra più un tempo di morte, di fango, di lutto. Ma solo di processi non certo annacquati. Solo un tempo di processi che saranno lunghi, dolorosi e da cui Marta Vincenzi uscirà senza quell’ombrello, senza quel capuccio, senza quella maschera di sicurezza che forse è stata il suo personale diluvio, nel momento sbagliato, nei posti sbagliati.