Nella scheda elettorale 2018. Tra rebus, paracadutati e rinnovamento zero

di Franco Manzitti
Pubblicato il 1 Febbraio 2018 - 07:10 OLTRE 6 MESI FA
La scheda elettorale 2018 spiegata sul modello Liguria

Nella scheda elettorale 2018. Tra rebus, paracadutati e rinnovamento zero

GENOVA – Sto chino sulla mappa dei collegi elettorali, un geroglifico, una ragnatela che mi presenta l’Italia, il suo stato democratico oggi all’inizio del terzo millennio. E’ un po’ come se stessi già piegato sulla mia scheda elettorale – una per la Camera, l’altra per il Senato –  avendo superato il primo dubbio amletico, voto o non voto, ma fossi ancora indeciso sul limitare di quel labirinto.

Guardo la suddivisione in collegi, dipinti con questo scolorito Rosatellum, che è anche un colore sintesi della qualità della relativa legge, ed è già come sentissi il polso della “mia” democrazia, come se misurassi la temperatura e la pressione del mio vile corpo civile, della società in cui vivo.

Scorro i nomi dei candidati, collocati come bussolotti nei collegi dal grande frullatore della mediazione nazionale, delle leadership verticali, in scontro con i territori locali, i loro capataz ed è come se incominciassi un vorticoso valzer, o meglio un minuetto sincopato, tra collegi uninominali “secchi” da duelli ok korral, collegi proporzionali dove hanno gettato tre dadi e uno si è fermato dopo l’altro.

E se poi allargo lo sguardo a tutta la mappa italiana, vedo sbucare qua e là un nome due, tre, quattro volte ed è come se avvistassi nel cielo elettorale una pioggia di paracadute, tutti belli mirati nell’atterraggio giusto. Ma come hanno potuto? Quale involuzione politica, post ideologica, post democratica ci ha portato a questo, come se quella mappa fosse la sintesi, la spremuta del nostro sistema politico, partitico, democratico, dopo la fine della Prima, della Seconda, forse anche della Terza Repubblica, verso l’esito finale, meglio, con un po’ di raccapriccio, verso la “soluzione” finale….

Io povero genovese ligure aguzzo la vista, focalizzo i nomi. Da dove vengono i candidati 5 Stelle, i più “nuovi”, se non da una riffa sul web, di cui non so nulla se non che il risultato è anonimo, ignoto 1 e ignoto 2, volontariamente, scientemente ignoti, per volere dei maghi della piattaforma Rousseau che li sforna, salvo gli specchietti per le allodole dei nomi noti, scelti da Di Maio nella società civile cosiddetta, esistente finalmente ora anche per i grillini e con i quali si sciacquano la bocca, in un processo inedito di sbandieramento nazionale: abbiamo aperto le porte, si apre una nuova fase.

Abbrancato al mio territorio, pardon al mio collegio, con i confini disegnati da lor signori, secondo criteri che mi sfuggono perché non hanno spiegazioni nella logica della appartenenza, osservo le evoluzioni del Pd. Renzi si è chiuso nel fortino e ha scelto i fedelissimi anche qua. Ma come si può mettere nel primo posto del proporzionale, quindi certa della elezione, la Raffaella Paita delle grandi sconfitte, quella che ha “minato” il Pd in Regione, perdendo le regionali e favorendo lo strappo Cofferati-Pastorino, facendo il capo dell’opposizione in Regione in modo tanto flebile da permettere la vittoria della Destra a Genova, Savona e nella “sua” La Spezia, il suo trampolino di lancio?

Premio a lei e, sotto i baffi, riconoscimento postumo a Claudio Burlando, il suo mentore, spazzato dalle sconfitte ma sempre in azione nell’ombra dei boschi, dove cerca funghi, delle taverne dove gioca a scopone e dei corridoi della fu-politica, dove tesse tele trasudanti di vendette sottili come questa, arrivata postuma, una freccia dal buio che raggiunge il bersaglio di una candidatura e di una poltrona alla Camera, che diventerà l’ultimo avamposto del burlandismo inteso come residuo, scheggia di un potere abusato, frantumato, ma ancora resistente con la sua punta acuminata, ancora una goccia di veleno.

C’erano due ministri da piazzare su questa mappa dei democratici arroccati nel fortino di Renzi e che ministri! Avevamo Andrea Orlando, Grazia e Giustizia, il “re” della minoranza democrat, spezzino di quelli che fuori dell’Arsenale e dei confini patrii è sempre un po’ straniero in Liguria, ma ha le spalle forti di una carriera sempre molto centrale e non lo candidano qua ma in Emilia. Lo esiliano lontano, sicuro dell’elezione, ma staccato da un territorio con il quale ha sempre avuto un rapporto un po’ ispido, malgrado il grande potere di ministro, deputato, uomo di partito, capocorrente.

Avevano la “zarina” Roberta Pinotti, ministro della Difesa, tanto forte nel suo sempre più importante dicastero, quanto un po’ fragile elettoralmente dopo la sconfitta nelle Primarie per il sindaco di Genova nel 2012 e le hanno sminuzzato un collegio senatoriale nel cuore di Genova, fornendole un mazzo di paracadute proporzionali nel resto d’Italia. Due superministri, tutt’ora in carica e in odore di prosecuzione, se Gentiloni farà la transizione al “dopo” e questa miseria di ancoraggio al territorio, quasi li volessero tenere lontani…..Mah.

Ritrovo in lista Pd il “vecchio” Mario Tullo e il galleggiante Pippo Rossetti, ambedue in posizione di battaglia dura, sopratutto il Tullo, nel collegio di Sergio Cofferati, il “cinese” eurodeputato, che è ancora qui e lotta con noi, “libero e uguale”, mentre il giovane Lorenzo Basso, considerato il futuro moderno dei democrat liguri, ma orlandiano di osservanza, viene mandato in trincea, terzo in lista nel proporzionale alla Camera. Sul filo, insomma.

Se i mei occhi girano verso il centro destra non posso non avere nelle orecchie lo stop intimato ai candidati assessori regionali, che il governatore Giovanni Toti voleva schierare tra Camera e Senato, Giampedrone, Marco Scajola jr, nipote di Claudio, Ilaria Cavo: così ha deciso Berlusconi. Si confermano Sandro Biasotti alla terza legislatura e Roberto Cassinelli, rientrato in Senato dopo le dimissioni di Augusto Minzolini, il giornalista con la carta di credito facile, espulso dal Senato, ma non sono giovani virgulti.

Dal governo del centro destra in Regione, trionfante due anni e mezzo fa, esce anche Edoardo Rixi, superassessore leghista, chiamato a superiori destini parlamentari, accentuando uno sguarnimento che colpisce. Li hanno eletti lì per lavorare in Regione e ora li dirottano in una serie di giravolte delle quali non si nota il senso, se non quello che mancano grandi ricambi.

E’ un ricambio l’ex direttore di “Panorama” Giorgio Mulè, candidato nell’estremo Ponente? Che ci azzecca? Che faceva le vacanze in Liguria e magari ha la buena suerte di Giovanni Toti, il governatore che prima passava le vacanze con residenza ad Amelia, nell’estremo territorio spezzino, ed ora ha conquistato la Liguria intera, amministrandone l’80 per cento dei Comuni. Forse è lui il più “dolente” in questa spremuta elettorale che si ammira, chinandosi sui collegi liguri e accingendosi – se si ha questa intenzione – a segnare le due schede.

Lui sì che aveva giocato la carta del rinnovamento ed ora inghiotte qualche riconferma e il lancio di qualche “stanziale” promosso, come l’ex presidente della Provincia di Savona, Angelo Vaccarezza e l’ex candidato alla presidenza della Provincia di Genova e consigliere regionale, Roberto Bagnasco, candidati in modo solido alla Camera. Non tanti paracadute, dunque, per il signor governatore, ex speaker di Berlusconi, ma stop alla sua linea “verde”. Lui è troppo rapido a non cogliere i movimenti del quadro che ha prodotto la spremuta elettorale e disegnato il geroglifico dei collegi uninominali e proporzionali.

Incassa e rigioca d’anticipo. Questo centro-destra avrà quasi sicuramente la maggioranza nell’arcobaleno ligure nel numero dei seggi alla Camera e al Senato. Poi vedremo. A parte il “cinese” Sergio Cofferati, la riserva indiana della sinistra di Liberi e Uguali corre con Quaranta e Pastorino in una pattuglia che ha anche un altro giornalista, della Rai, Roberto Amen, già caporedattore del Tg3 Liguria.

Si può, alla fine, provare un po’ di vertigine se ci si concentra troppo sullo scenario che si distende lungo l’arcobaleno ligure. Ma poi si scopre che è una sintesi quasi perfetta: guazzabuglio di legge elettorale con candidati nominati e ultraassegnati, partiti “divisi” e separati in casa, territori colonizzati sui quali si aprono i paracadute come sulla spiaggia di Saint Mère Eglise dello sbarco in Normandia, coalizioni inimmaginabili, rinnovamento a quasi zero. E un grande mal di testa. Votate se avete il coraggio, magari turandovi il naso.