Genova, 20 progetti per il nuovo Morandi e 290 mila euro per una casa sotto il ponte che ne vale 40.000

di Franco Manzitti
Pubblicato il 7 Dicembre 2018 - 13:09 OLTRE 6 MESI FA

 

Genova, 20 progetti per il nuovo Morandi e 290 mila euro per una casa sotto il ponte che ne vale 40.000 (Nella foto, Renzo Piano, ptimo a sinistra, presenta il suo progetto)

Genova, 20 progetti per il nuovo Morandi e 290 mila euro per una casa sotto il ponte che ne vale 40.000 (Nella foto, Renzo Piano, ptimo a sinistra, presenta il suo progetto)

E ora dopo 110 giorni di ponte spezzato, monco, rotto, incombente, pauroso e, infine, maledetto, sbizzarriamoci pure nel gran sogno di quello nuovo, di quello da ricostruire, perchè, come in una supermostra spettacolare, la Valpolcevera e tutta la città si rianimano con i progetti presentati al sindaco supercommissario Marco Bucci.

Si sono accese le luci, non solo quelle di Natale, che dal Morandi le vedi un po’ pallide, nella grande valle della sofferenza, ma anche quelle, appunto, di una ventina di progetti, depositati, firmati, illustrati, che i tecnici stanno vivisezionando uno a uno, modello per modello, plastico per plastico, diagramma per diagramma.

Il sindaco commissario Marco Bucci deve decidere quale sarà quello giusto entro il 15 dicembre, dopo che la sua squadra di tecnici avrà finito di esaminarli. Ma nel frattempo i “nuovi” ponti si illuminano di luce propria, fanno sognare, scatenano fantasie, visioni riparatrici dopo tanta sofferenza, dopo che quei due tronconi, il vuoto in mezzo, la disperazione, poi il caos, poi la rabbia, poi anche la nostalgia di quel che era, anche se non era certo il Paradiso, sotto, nelle case sovrastate dalle campate, hanno segnato, quei tronconi, per sempre il panorama della città.

Magari non li vedevi quei tronconi spezzati con il cemento della careggiata volato di sotto, magari non ci sei mai andato tu, cittadino genovese che abiti lontano da lì, che te ne poteva importare del ponte spezzato, di quella parte di città segata, oltre le colonne d’Ercole una volta rappresentate dal monte di San Benigno, spazzato via dall’esplosione di un treno di munizioni e poi dalla fame di aree del porto di Genova ?

Eppure ciascuno, da quel 14 agosto, sente come un peso, un limite, come una sofferenza, perche sei zeneise e tutti nel mondo parlano del ponte spezzato e continuano a venire da ogni angolo d’Italia, dell’Europa, del mondo, giornalisti, troupe televisive, grandi inviati, a scarnificare questa storia di un ponte che cade in mezzo a una città, con un’autostrada, con le macchine sopra e i morti nelle auto e quelli nel greto del fiume e la storia continua, non si ferma, come in in un sequel che aggiunge ogni giorno un capitolo: il crollo, i morti, le bare, i salvataggi nella giungla del cemento spiaccicato, i funerali di Stato e i funerali privati, la sfilata delle autorità, le promesse di costruire, di fare presto, i traslochi strazianti di quelli che stavano di sotto, i pezzi di vita raccolti uno a uno, le scale dei Vigili del Fuoco, gli scatoloni, la vita lacerata che, invece, magari te la andrai a ricostruire in un posto migliore, ma intanto piangi i tuoi luoghi, le tue strade e poi gli sfollati, i decreti del governo che non arrivavano mai, e i soldi promessi e i conti alla rovescia per sapere quando si comincia a demolire, a ricostruire, e il caos nella valle e le polemiche perchè il Governo ha messo anche Ischia nei provvedimenti di Genova e non capisci …….

Questa storia sembra non finire mai ed ecco che i venti progetti compaiono di colpo su questa scena ancora dolente, come se ogni rito fosse ancora di suffragio e, invece, arriva la luce della speranza .

Ed allora non solo il derby tra Renzo Piano, il suo disegno, schizzato a pochi giorni dalla tragedia sull’onda dell’emozione, subito sposato dai supercandidati a vincere, la cordata Impregilo Salini, Fincantieri e Italferr e Sebastian Calatrava, archistar spagnola, con Cimolai, la grande azienda esperta di ponti nel mondo, che hanno sciorinato ben quattro progetti, il più costoso da fare proprio sognare, con un grande arco nel cielo, che parte nel mezzo della campata più lunga e copre dall’alto proprio il tratto spezzato, come se volesse “risarcire” il vuoto, cancellare lo scempio con l’eleganza della nuova struttura.

Non solo Piano e Calatrava nella disfida del ponte, ma anche tanti altre idee per riempire quel vuoto abissale. Ci sono perfino i cinesi della CCC, che alleati con gli italiani della Salc, hanno disegnato un ponte strallato e immaginato di fare tutto, demolizione e costruzione in 11 mesi: quasi i più veloci. C’è la società messinese Ricciardello, che punta a recuperare il ponte nei tronconi che non sono caduti, rinforzando e non modificando troppo: 9 mesi per fare tutto, questi sì i più veloci.

La fantasia e la creatività galoppano, per esempio, con la Sogeco, che vuole ricostruire su più piani in cemento, acciaio e policarbonato: anche in questo caso solo 9 mesi. La Italiana Costruzioni ha immaginato il ponte rovesciato, con i piloni e le traverse sotto la sede stradale. Una delle pile del vecchio ponte diventerebbe un memoriale. Pizzarotti di Parma sciorina due soluzioni, una molto spettacolare, con le careggiate sovrapposte .

Vincerà il progetto che Renzo Piano ha abbozzato per primo, rivendicando il suo orgoglio, ma anche la sofferenza di genovese, un ponte semplice, classico, poi tradotto da Impregilo Salini, realizzabile in 12 mesi, esclusa la demolizione?

Tutto sembra andare in quella direzione, perché c’è la matita di Piano, perché Impregilo Salini sta anche costruendo il Terzo Valico, che è un’opera sorella del viadotto e ha già promesso di assumere, se danno loro l’incarico, complessivamente tra le due opere 5.000 operai e perché anche la demolizione andrebbe a un pool genovese con la ditta Carena, storica firma edilizia genovese.

Ma non è detto, non è sicuro e ora l’attesa diventa quasi spasmodica, malgrado le rassicurazioni del supercommissario che si dice tranquillo: “ Tutti i progetti sono belli ed efficienti, quale che sia la scelta, sarà una soluzione favorevole alla città”

Centodieci giorni dopo c’è un uomo solo alla fine davanti a quei progetti, il sindaco supercommissario Marco Bucci, che avrà ascoltato tutti, che avrà selezionato, ma che poi dovrà decidere in solitario.

Bucci corre da un angolo all’altro della città, inaugura nuovi bypass che cercano di alleviare un traffico sempre più complicato, vola a Londra per publicizzare Genova all’estero, per non disperdere una politica di marketing territoriale appena incominciata e ora contrastata dall’immagine negativa della città spezzata. Affronta in assemblee pubbliche gli sfollati e danneggiati, come è accaduto nella delegazione di Bolzaneto, nel teatro Gilberto Govi, dove i rumors della protesta sono oramai attutiti tra chi ha perso la casa, ma sta per ritrovarla e a condizioni migliori.

Il Comune ha già preparato i documenti per 56 notai della circoscrizione di Genova, incaricati di far firmare gli atti con i quali i 250 propietari sfollati vendono al Comune la loro casa sotto il ponte. E’ un’operazione di compravendita preparata dallo staff del commissario con tutte le cifre dei risarcimenti materiali e morali fissate nero su bianco sul tavolo dei rogiti.

La signora X, che aveva una casa del valore di circa 40 mila euro (la zona è una delle più disagiate) riceverà una contropartita tra i 250 e i 300 mila euro.

In questa cifra si deve calcolare non solo il disagio dello strappo violento di quel 14 agosto, con la fuga da casa, il ponte che cadeva, l’impossibilità di rimetterci piede, se non dopo mesi e solo per pochi minuti, ma anche il prezzo del mobilio, degli elettrodomestici, che sono rimasti al loro posto, non sono trasportabili e non hanno fatto parte del trasloco lungo un mese con il quale le famiglie hanno potuto recuperare un pezzo della loro vita, i vestiti, i ricordi più cari, le foto, la chitarra.

E così incomincia la processione dai notai, con la ricerca affannosa negli scatoloni accumulati dei rogiti che dimostrino come tu sia padrone di quella casa, che ora il Comune ti compra e ti paga, speri presto. E la maggior parte ci vanno con le lacrime agli occhi a questo appuntamento che porta dei vantaggi spesso anche molto consistenti, ma certifica anche lo strappo finale.

Intorno a quella casa ci hai girato per mesi, da quando ti hanno fatto scappare di corsa e poi stavi di sotto a aspettare chissà cosa, forse il trasloco, l’idea di tornare sù a sentire anche l’odore delle tue stanze della vita, che il ponte ti ha distrutto.

Chi piange nell’anticamera del notaio, chi senza farlo vedere si frega le mani, quando vede la cifra che gli sarà versata, chi non riesce a staccarsi.

È proprio una storia infinita, questa del ponte, di tutte le sue procedure, mentre tutto si focalizza sulla decisione del supercommissario, sui suoi rapporti con l’Autorità giudiziaria, con la Procura di Genova, con il Gip, che devono dare il permesso di demolire, perchè le ruspe, le gru spazzeranno necessariamente le prove che la magistratura cerca per stabilire bene le responsabilità del crollo.

E allora il sindaco media, perché nel suo spirito manageriale ha scritto e conclamato che il piano di demolizione è da consegnare il 7 dicembre e il progetto vincente per la costruzione sarà annunciato il 15 seguente. Si vuole che la luce di Natale illumini la speranza, non il groviglio delle scelte, le mediazioni con i tecnici della Procura, che temono di vedersi polverizzare i reperti di prova e scomparire gli argomenti dell’accusa ai killer del ponte.

Ma il sindaco-commissario va avanti come un caterpillar e cerca soluzioni che contemperino la demolizione con la preservazione delle prove. Tiriamo su il cantiere, mentre i tecnici raccolgono le ultime prove, incarichiamo i costruttori, che intanto si preparano. La speranza da accendere, oltre agli Alberi di Natale, ecco quello che vuole perseguire questo sindaco-manager indefesso, per impedire che la città si pieghi nell’incertezza del futuro.

Quel ponte da rifare subito, e sono già passati 110 giorni, è come il sol dell’avvenire, senza nessuna confusione ideologica. Se non sorge, le cifre sono da collasso con il Nord intero, che perde 500 miliardi per quella frattura infrastrutturale, il patatrac del traffico portuale, con cifre del 20 per cento di calo, la fuga e la chiusura delle piccole e grandi imprese nelle zone, nere, rosse, arancioni del sotto-ponte, oscurano ogni orizzonte.

Intanto si sentono partire le prime scintille della grande battaglia giudiziaria che si scatenerà intorno a Autostrade, alla Aspi, alla sua concessione triturata dal Governo giallo verde. In un grande convegno di diritto amministrativo, organizzato nel nobile Auditorium del Carlo Felice da “amministrare Giustizia”, grande circolo giuridico nazionale, c’è stato lo scontro, il primo, a questo livello tra uno dei cannoni della avvocatura e docenza del diritto civile, Enzo Roppo, il legale che fece vincere a De Benedetti il famoso processo contro Berlusconi e il senatore-avvocato dei grillini, Mattia Crucioli.

Roppo, incaricato di studiare il caso da Autostrade (come ha dichiarato chiaramente nel suo intervento), ma intevenuto “accademicamente”, ha così giudicato il decreto legge che sega fuori Autostrade da ogni operazione di ricostruzione del ponte: “ Questo decreto non persegue né l’interesse della celerità della ricostruzione, né la legalità. Nel nostro sistema se c’è una fonte interna in contrasto con il diritto europeo, la norma interna va disapplicata automaticamente“. Il decreto Genova toglie ad Aspi “il dovere e il diritto di ricostruire una parte fondamentale del suo complesso aziendale.”

Certo: Roppo non esclude che Aspi risarcisca le vittime del crollo, “anche a prescindere dall’eventuale colpa”. Autostrade, ripete anche Roppo, non intralcerà la ricostruzione con ricorsi e richieste di sospensive, ma “sul terreno della legalità Autostrade valuterà se e come difendersi dalle illegalità che possono essere commesse a suo danno dal decreto e dai suoi atti esecutivi….”

La linea è tracciata, anche se poi Autostrade, al margine del convegno, preciserà che l’insigne prof  “ha parlato a titolo personale”.

Il senatore grillino Crucioli, ha ribattuto durissimo, rivendicando il decreto, la esclusione della concessionaria, “sparando” pezzi della perizia pubblicata dal Ministero delle Infrastrutture, che condanna la condotta di Autostrade sul ponte, moralmente e tecnicamente.

“È come scrivere con la requisitoria la sentenza del processo”, gli ha replicato a muso duro Roppo. Più che scintille , già un incendio, che sicuramente la decina di avvocati di Autostrade appostati nella molto qualificata platea dell’Auditorium sono già pronti a rinfocolare, appena partirà l’operazione ricostruzione.

D’altra parte, in un altro convegno di pochi giorni prima, organizzato dalla Associazione “Le radici e le ali” in un altro nobile palazzo genovese, quello di San Giorgio, che ospita la Autorità portuale, il Decreto Genova era stata scarnificato da altri due big del mondo giuridico e della politica. Il professore avvocato Giuseppe Pericu, professore emerito di Diritto Amministrativo e per dieci anni sindaco di Genova per il Pd fino al 2007 e Enrico Morando, già vice ministro Pd all’Economia nei governi di Renzi e Gentiloni, esperto di legge finanziaria, avevano esaminato sia l’aspetto dei poteri dei commissari straordinari all’emergenza e alla ricostruzione nel quadro del sistema italiano, sia i “buchi” delle misure economiche varate con il decreto Genova.

Per Pericu la struttura dei commissari super crea una struttura parallela, che cela pericoli di giurisdizione e non solo. Per Morando le cifre di risarcimento stanziate e, soprattutto, quelle per il rilancio del porto sono sia insufficienti sia sottoposte al vincolo del tetto nella legge finanziaria che non possono sforare. Quindi i maggiori investimenti decisivi per far scattare vere operazioni di rilancio, degne del ruolo di Genova e delle sue banchine spezzate dal crollo del ponte, sono subito varati nella legge di bilancio 2019-2021, oggi in discussione in Parlamento, o per Genova sarà un patatrac irrecuperabile.

O nel decreto ci finiscono i soldi per costruire le infrastrutture, il Terzo Valico, la Gronda e ovviamente il ponte e rendere competitiva tutta l’area che va da Trieste a Lione (che ha il Pil più alto della Spagna intera e dei distretti tedeschi di Bavaria e Bad Gutenberg messi insieme) oppure si perde un’occasione storica.

La luce ancora fioca che illumina quel ponte, mentre arriva Natale, fa risaltare anche questi scontri, questi scenari forse molto larghi, europei, quasi mondiali, essenziali nella vorticosa competition delle infrastrutture.

Ma poi, alla fine, tutto torna lì, sulla scena del commissario straordinario, Marco Bucci, davanti a quei progetti, a quella scelta epocale da fare, sempre più pressata dallo stato della città, ma anche dal grande significato strategico del fu Morandi, che deve diventare il post Morandi, con i suoi piloni, le strutture rovesciate o sovrapposte, gli archi e i non archi, il memoriale, il parco sottostante. Centodieci giorni dopo almeno con il tempo non si può giocare più.