Genova. Banca Carige, crisi, calcio: autunno di alluvioni, non solo pioggia

di Franco Manzitti
Pubblicato il 27 Agosto 2013 - 07:49 OLTRE 6 MESI FA
Genova. Cassa di Risparmio, crisi, calcio: autunno di alluvioni,non solo pioggia

Genova tre il mare e le sue crisi

GENOVA – Durante la prima partita di campionato della nuova stagione nello storico stadio di Marassi, nel quartiere popolare di Genova, in riva al torrente Bisagno, mentre in campo scendevano la Juventus, scudettata e riscudettabile e la Sampdoria, una specie di nubifragio si è scatenato su Genova.

E sono incominciati gli scongiuri, perché Marassi, il Bisagno, tutta l’area circostante rappresentano l’ombelico del terrore alluvionale genovese, l’epicentro delle ultime tragedie di una lunga serie cominciata nell’Ottocento e sempre in agguato. Appena si profila l’autunno.

Un muro d’ acqua, o come le chiamano oggi, “una bomba d’acqua” è esplosa sulla città e ha centrato quella zona dove il cosiddetto fiume, in realtà torrente, può esondare, dove il suo affluente killer Fereggiano due anni fa ha fatto sei vittime a poche centinaia di metri dallo stadio.

Tutte le paure alla prima di campionato si sono materializzate perché a Genova l’autunno, la fine dell’estate, soprattutto di un’estate con picchi di calore, può portare il rischio della catastrofe alluvionale di fronte alla quale la città resta indifesa, senza le opere che potrebbero proteggerla, che vengono invocate all’indomani di ogni tragedia e che poi non si fanno mai, gli scolmatori solo in parte finanziati, mai costruiti e scavati, gli alvei dei corsi d’acqua che solo nella città sono più di trecento, per lo più tombati dalla cementificazione delle colline, ridotti a tappi se non a selve amazzoniche che le autorità costituite non possono pulire o perché non hanno più soldi (il Comune) o perché non esistono più funzionalmente e amministrativamente (la Provincia).

Juve e Samp nel diluvio sono riuscite a finire regolarmente la partita e il pericolo è passato, ma quella bomba d’acqua, piovuta sullo stadio e sulla città è stata come un allarme che non riguarda solo il rischio numero uno, quello che dipende dal cielo (anche se l’incuria degli uomini lo ha moltiplicato per mille), ma le altre emergenze che fanno prevedere un autunno non caldo, quasi incendiario.

Alla faccia del pericolo pubblico numero uno, appunto l’acqua dal cielo. Le nuvole cariche d’acqua, innescate dalla solita perturbazione e dai vapori che salgono dal Mare Ligure sono state, quindi, come un segnale, un sos che richiama la città alle sue emergenze,ai suoi sette dolori, dei quali il rischio idrogeologico è, quindi, il primo.

Il secondo è ora quello di una battaglia che può mettere a repentaglio la sicurezza della cassaforte genovese per eccellenza la banca Carige per il cui controllo si è scatenata una battaglia inattesa e durissima, della quale Blitzquotidiano ha già raccontato la prima puntata, ma che rischia di diventare una vera emergenza. Dopo la sicurezza del territorio, minacciato dalle piogge, che cosa c’era di più certo a Genova della banca, e poi di quella Cassa di Risparmio che raccoglie da sempre i risparmi della gente più avveduta, più geneticamente adatta a accumulare, investire, contare?

I geni dei genovesi vibrano sopratutto in questa materia della finanza che li ha resi celebri nel mondo e per la quale si sono beccati alternativamente onori imperiali e anatemi danteschi e scomuniche papali. Bravi a maneggiare soldi, avari in tutto e anche a fare figli……..gente diversa….

La contesa che oggi riguarda la Carige, dove è scoppiata la polemica tra i vertici della banca stessa e quelli della Fondazione sull’aumento di capitale da 8oo milioni di euro, che la Banca d’Italia vuole, con coda sul rinnovo dei vertici della banca stessa, sta incendiando ora anche gli ambienti politici, che avevano assistito in silenzio.

L’uomo che presiede la banca, da oltre venti anni, Giovanni Alberto Berneschi, presidente e prima amministratore delegato e direttore generale, oggi 76 anni, è più di un doge per la Genova di oggi. Ma il suo potere è subordinato a quello della Fondazione Carige, che è l’azionista di maggioranza al 47 per cento, il cui vertice, impersonato dal cavalier Flavio Repetto, noto imperenditore dolciario (Elah, Dufour, Novi, Baratti), ottantenne di grande energia imprenditoriale e finanziaria.

Il duello tra Berneschi e Repetto, molto frontale sul piano dei contenuti, molto corretto sul piano personale, si era consumato, prima del periodo alluvionale, solo tra loro. La Fondazione aveva messo in mora la Banca, facendo dimettere uno a uno otto consiglieri di amministrazione: come dire a Berneschi ora dimettiti tu.

Berneschi non si era dimesso ed anzi aveva giocato la carta Unipol, sostenendo che la grande compagnia del fronte coop stava per entrare nell’azionariato Carige e nella acquisizione degli asset messi sul mercato per varare la patrimonializzazione kolossal al suo fianco di presidente e di azionista (la famiglia Berneschi ha otto milioni di azioni Carige).

Unipol aveva ritirato la mano e allora la Fondazione aveva invitato la banca a convocare il consiglio di amministrazione, a suo avviso decaduto, per rinnovare i vertici, operazione per la quale è necessaria un assemblea dei soci. La banca aveva risposto “ad horas”, riunendosi in pieno agosto e convocando l’assemblea dei soci per il prossimo e vicinissimo nove settembre. Tutto questo, appunto, in quel sepolcrale silenzio, un po’ delle vacanze, un po’ dell’imbarazzo politico.

Come facevano a intervenire i due registi politici che in passato avevano giostrato le nomine della Carige e del suo Consiglio, della Fondazione , della sua presidenza e dei suoi due consigli, di amministrazione e di indirizzo, dove si sono seduti i principali leader professionali, imprenditoriali, istituzionali della Liguria?

Come facevano a scendere su quel campo, così spinoso, il prode governatore della Liguria Claudio Burlando, presidente della Regione, ex deputato, ministro del Governo Prodi, sindaco di Genova, assessore di Genova, segretario del Pci, una carriera fluviale alle spalle e molte aspettative anche per il futuro alla faccia delle rottamazioni e Claudio Scajola, pluri ministro dei Governi Berlusconi, il vero Lazzaro della politica recente, tre dimissioni, tre cadute, tre resurrezioni e forse ora alla quarta, dopo la storia della casa comprata “a sua insaputa” con vista Colosseo?

Erano stati loro, sei anni fa, lungo l’asse inedito detto “dei Claudii” a scegliere come leader della Fondazione Flavio Repetto e a offrirgli la carica e a piazzare nel consiglio della prestigiosa Fondazione perfino un monsignore della Curia genovese, ovviamente gradito e suggerito da sua Eminenza reverendissima il cardinale Angelo Bagnasco, che allora aveva appena aggiunto alla sua veste cardinalizia, alla cattedra genovese, anche la prestigiosa carica di presidente della Cei.

Per un po’ sia Burlando sia Scajola hanno taciuto davanti al duello Carige, magari per cautela, l’uno ancora coinvolto in importanti ruoli istituzionali e politicamente scalpitante ( è recente il suo avvicinamento clamoroso alla linea Renzi nel Pd, che a Genova domina da un trentennio con una posizione definibile ultraterrena, nel senso che non si impiccia, ma influisce molto dall’alto), l’altro semi scampato non si sa del tutto alle innumerevoli trappole giudiziarie seminate sul suo percorso e che lo hanno condotto fuori dal Parlamento e perfino dal ruolo di deus ex machina imperiese.

Poi di colpo, girato il Ferragosto e arrivato il primo acquazzone pre alluvionale, i due Claudi sono sbucati nella vertenza che preoccupa la città e la Regione. In una intervista a Repubblica, che rompeva un lungo silenzio, Scajola ha fatto sapere che il cavalier Repetto era suo ospite in una cena nella sua villa sopra Imperia. Un po’ come dire che l’argomento era molto all’ordine del giorno e che la sua parte pendeva per la Fondazione e la sua sventagliata contro Berneschi.

E in un’altra intervista alla emittente televisiva Tele Nord, subito ripresa niente meno che sulle pagine economiche del Corriere della Sera, l’altro Claudio, Burlando ha messo in mora la Fondazione e Repetto, ricordando che gli organi esecutivi della stessa erano in scadenza e come si permettevano di aprire il can can sulla banca? Come dire: altolà a toccare Berneschi.

In campo è entrato, anche lui appena girato il Ferragosto, l’ex senatore Luigi Grillo, ex presidente della Commissione Trasporti, politico di lunghissimo corso, grande esperto di banche, autore della legge sulle Fondazioni bancarie, scampato a qualche trappola giudiziaria, amico stretto di Antonio Fazio, l’ex governatore di Banca d’Italia.

Grillo ha sparato una osservazione tecnica sul ruolo delle Fondazioni, che non sarebbe quello di determinare le politiche bancarie, gestendo pacchetti di maggioranza nei consigli. Insomma un altro assist a Berneschi. In questa sarabanda ovviamente le indiscrezioni sul possibile successore di Berneschi, che viene considerato forse un po’ frettolosamente giunto al suo passo d’addio, rispetto alla presidenza, sono state il gossip estivo.

Tra i candidati alla successione ci sarebbe un altro Repetto, Alessandro, per nulla parente del cavaliere, per dieci anni presidente dalla defunta Provincia di Genova, ex deputato, postdemocristiano molto prudente e gran manovratore, che per la politica lascia una brillante carriera bancaria. E che ora è stato uno dei dimissionari-spinta per mettere fuori campo il presidente. Indovinate dove era un superdirigente? Ma nella Carige, ovviamente di cui era, a metà degli anni Novanta, direttore centrale con la carriera sicuramente frenata dalla ascesa inarrestabile di Berneschi.

L’altro nome che si fa è quello del principe Cesare Castelbarco Albani, nobiluomo, che è già presidente di Carige Italia, la sezione della banca recentemente inaugurata per gestire gli sportelli extragenovesi, acquisiti proprio da Berneschi nella sua fantastica galoppata di crescita, che ha fatto passare l’istituto genovese da settanta a settecento sportelli in una quindicina di anni. Castelbarco, che è anche un imprenditore del settore marittimo navale, gran consigliere e pubblic relation man, sull’asse Genova-Milano, “copre” molto bene l’arco moderato del fronte politico. L’ex governatore della Liguria Sandro Biasotti, oggi deputato azzurro, lo aveva nominato presidente della Filse, la Finanziaria regionale.

Si fa anche il nome di Piergiorgio Alberti: fama di persona onesta, stimato nel centrosinistra e nel centrodestra e anche in Curia (è nei Cda dell’Ente Ospedaliero Galliera e della Fondazione Opera di Padre Pio),  è nel Consiglio e nel Comitato esecutivo di Carige, avvocato cassazionista e professore di diritto amministrativo.

Ma queste candidature, che non rappresentano certo una scossa di novità, ma semmai di solide e vecchia garanzie del quadro, potranno non essere le uniche che i soci presenteranno all’assemblea del 9 settembre. A parte il massiccio peso della Fondazione che ha quel 47 per cento, le quote francesi e quelle strettamente genovesi potranno sfornare delle soluzioni importanti.

Ci sono soci come il gruppo Gavio, la importante azienda di infrastrutture che lavora nel mondo, vicina a Berneschi a suggerire le sue soluzioni. E ci sono ovviamente gli ex “padrini” politici, i due Claudi che seppure in posizioni di potere tanto diverse rispetto al passato, sono pronti a fare i loro passi. Non si deve dimenticare che il vice di Berneschi è proprio il fratello di Claudio Scajola, Alessandro, anche lui con un curriculum lungo lungo: ex sindaco di Imperia, prima del fratello, deputato Dc, segretario della potente Camera di Commercio di Imperia. Che fine farà?

In ogni caso la soluzione della battaglia della banca porterà con sé due conseguenze secche sullo scenario pre alluvionale di Genova. Il ridimensionamento della politica nelle decisioni che hanno oramai una catena forte di comando più imprenditoriale-finanziaria che non politica. Mica siamo a Siena qui.

Flavio Repetto in posizione di forza e Giovanni Berneschi in posizione di debolezza hanno riferimenti sempre meno forti, sponde più deboli, tra i partiti in dissolvenza sopratutto in Liguria. E l’operazione come quella di cinque sei anni fa con la porpora e l’ermellino della Curia cardinalizia genovese, fatta entrare in campo, nesssuno se la sogna più. Che ci azzeccherebbe la politica di papa Francesco in queste scelte?

Il Pdl si dilania, il Pd in Liguria discute su chi è stato il primo a sostenere Renzi con una serie di voltafaccia e di recuperi tali che la credibilità degli attori, a incominciare dallo stesso Burlando, si è sicuramente indebolita. Contano sicuramente di più i collegamenti imprenditoriali bancari, le relazioni pubbliche di Repetto e Berneschi, che i loro interlocutori politici.

La seconda soluzione secca è che lo scenario di quello che potremmo definire lo sbraccio finanziario sulla città e sulla regione, messo in azione da decenni, sotto la regia di Berneschi, cambierà completamente e non solo perché il presidente oggi messo in discussione potrebbe uscire di scena ridimensionato. I nuovi equilibri, che si creranno nella banca e nella Fondazione, produrranno sterzate davanti alle incalzanti emergenze genovesi.

La Carige è straimpegnata, al di là delle sue emergenze segnalate da Banca d’Italia, nell’operazione degli Erzelli, la costruzione sulla collina sopra l’aereoporto di un centro high tech, dove si sono già insediati colossi come Eriksson e Siemens e dove dovrebbe attecchire la facoltà di Ingegneria dell’Università alla fine di un processo decisionale eterno. Burlando ha perfino lanciato l’idea di spostare in quel centro futuribile un nuovo ospedale che tutta la città aspetta, ma la proposta è rimasta sospesa come la stessa Erzelli nel cielo di ponente della città.

Dalla Carige forse si aspettano collaborazione nella più Kolossal delle operazioni disegnate dai genovesi in questi tempi, lo spostamento a mare della diga foranea del porto per allargare le banchine e misurarle sulle stazze e le lunghezze delle nuove supernavi da crociera e da carico, verso le quali ci porta la nuova politica mondiale dei trasporti, tutta spostata verso Oriente.

Se il porto di Genova, ex leader del Mediterraneo non vuole morire deve ingigantirsi, come le navi , oramai lunghe quattrocento metri. Il porto è stato ampliato l’ultima volta a fine Ottocento, grazie al munifico intervento del duca di Galliera Raffaele de Ferrari, che regalò alla Municipalità una cifra di 20 milioni dell’epoca, consentendo alla città di garantirsi uno sviluppo, su cui si fondò l’industrializzazione genovese, da Cavour in avanti.

Oggi non ci sono duchi di Galliera e solo lo Stato e un pool di banche potrebbero studiare un’operazione enorme, che riguarda, ovviamente, non solo Genova, ma il Paese. Il nuovo timone della Carige dirigerebbe la prua in quella direzione, per restare in tema marittimo, o le nuove politiche in tempi nei quali la crisi affonda le unghie ben dentro il corpo vecchio e malato della città saranno diverse? Genova battezza in questi giorni i suoi nuovi record di anziani, è la città che ha più ultracentenari d’Italia e d’Europa.

Si pongono immensi problemi di assistenza, in una fase nella quale la città si svuota di industrie con Finmeccanica che sta per vendere il suoi gioiello di Ansaldo Energia agli indonesiani. Insomma, ci sono tante alluvioni oltre a quelle che porta il cielo da bombe d’acqua del nuovo clima e non si capisce bene chi aprirà gli ombrelli giusti.