Genova capitale del calcio, la domenica bestiale di Genoa e Samp

di Franco Manzitti
Pubblicato il 13 Dicembre 2014 - 13:32 OLTRE 6 MESI FA
La domenica bestiale di Genoa e Sampdoria

Massimo Ferrero, presidente della Samp

GENOVA – E’ una città schizofrenica, piegata dalla crisi, alluvionata, franata, asfittica, scelta dal segretario Fiom, Landini come palcoscenico migliore dello sciopero generale. Apparentemente senza speranze, che non siano i disegni di Renzo Piano del nuovo water front e qualche ciancia su un possibile futuro postindustriale o cultural turistico. Ma nel calcio Genova, in questa vigilia di Natale è tutta Superba, con la maiuscola e gli attributi che tra la fine del 1500 e quella del 1700 la facevano temere nel mondo. Con il terzo posto del Genoa, la squadra più antica d’Italia e il quarto, a un solo punto, della Sampdoria, la capitale del calcio è qua, altro che Milano di Inter-Milan, altro che Roma di Roma-Lazio, altro che Torino di Juve-Toro, altro che Napoli, la potenza del Sud calcistico.

Genova svetta e se passa indenne i match di domenica 14 dicembre, giorno della grazia calcistica possibile, il suo primato diventa una svolta contro ogni previsione della vigilia, contro ogni scommessa, contro ogni sentenza dei Soloni del calcio. Che non avevano previsto per le genovesi altro che più o meno disperate salvezze e risicate permanenze nella massima serie.

Sembra incredibile, ma il destino del calcio italiano, la sua gerarchia passa per quello stadio di Marassi, Luigi Ferraris, riedificato nel 1990 dall’architetto Vittorio Gregotti, nello stesso punto dov’era, di fianco al maledetto Bisagno, quattrocento metri sopra a dove il torrente dei mali genovesi straripa, è straripato non più di due mesi fa e ha minacciato di farlo ancora un mese fa e minaccerà ancora.

Il luogo del maggior dolore, dei maggiori danni, il buco nero della città intorno a questo fiume, diventato celebre come una star nera del grande dissesto idrogeologico, si è trasformato, tra una alluvione e l’altra, di questo micidiale 2014, come il punto del massimo godimento genoano e sampdoriano, il posto dove si puntano le telecamere miliardarie, dove con un po’ di puzza sotto il naso corrono i migliori ossservatori di quella materia delicata, in crisi, ma pur sempre il più forte oppio dei polpoli che è il foot ball, il pallone.

Uno stadio da 35 mila posti , in riva al Bisagno, in mezzo a un quartiere che lo ama e lo odia, che lo fa diventare un bunker nei giorni delle partite, in mezzo alle case tra due muri di collina cementificata come nessun’altra , sul cui prato verde le maglie rossoblucerchiate stanno dettando la legge, dove non corrono top players, ma squadre costruite proprio per il gioco di squadra, quello che i politici e gli amministratori non sanno fare nella città in decadenza e che invece Giampiero Gasperini, il mister di Grugliasco per il Genoa e Sinisa Mihialovic, il serbo che cita Dante e Romeo e Giulietta hanno saputo dare a giocatori che potevano essere anche delle Armate Brancaleone del calcio globale e ora fanno tremare i colossi di Milano, Torino, Roma, Napoli…..

Questo destino capovolto, che spacca in due i sentimenti genovesi affondati nel degrado decadente e esaltati dal calcio vincente, incrocia nella domenica fatale le due squadre più importanti, quelle che giocano un palmo sopra, la Juve degli Agnelli e la Roma degli amerikani.

Il Genoa ha già battuto a Marassi la Juve e il Milan e la Lazio e ora aspetta i giallorossi come si aspetta in un torneo tra cavalieri medioevali il quarto campione, sperando di infilzarme l’armatura un po’ ammaccata dalla recente esclusione in Coppa dei Campioni.

La Samp che ha perso una sola partita e ingiustamente a Milano contro l’Inter va in casa della Juve, imbattuta in quel suo stadio da un numero infinito di partite. Sarà la volta buona di violarlo?

Comunque vada a finire questa incredibile domenica bestiale il primato genovese fa già schizzare gli occhi dalla testa a una città e a tifosi fieramente contrapposti in un derby eterno, ma che in questo caso pur vivendo la competizione interna con tutta la polemica ironica della loro storia contrapposta, si guatano con una inconfessabile reciproca ammirazione.

“Ma come è possibile che noi, proprio noi, l’una e l’altra sqadra della città siamo qui a dettare legge….” Solo tre anni fa il Genoa spedì la Samp in serie B con un gol in recupero di una carneade argentino tal Boselli, passato alla storia per quella sentenza di morte eseguita con una rasoiata all’ultimo secondo.

E solo tre mesi fa la Samp ha sentenziato il Genoa nel derby che tutti pensavano fosse una partita dove conquistarsi punti salvezza e invece ex post era già una partita da quartieri alti.

Perfino il sindaco Marco Doria, amministratore travolto dai problemi, dalle crisi, un a-calcistico, tifoso un po’ snob della Juve, ha perso il suo aplomb e non solo perchè si chiama con quel cognome, ma perchè attaccarsi all’unica zattera genovese che naviga a tutta velocità, serve anche a risollevarsi dal pantano delle difficoltà.

In realtà dietro al boom delle squadre di calcio c’è molto di poco genovese oramai, anche se per i blucerchiati la proprietà è stata fino al giugno scorso in mano a una delle famiglie più note del più classico establishment genovese imprenditoriale, quella dei Garrone.

Oggi la Samp è intestata a un personaggio che è diventato anche lui una superstar, grazie alle sue performance pubbliche, uno dei soggetti più imitati dal mago comico Maurizio Crozza , anche lui targato Sampdoria, e showman sulla “7”, dove impazza con “Il Paese delle meravigliae.” Ebbene nel “Paese delle meraviglie” questo presidente Ferrero, un personaggio grazie al suo incredibile stile non-sense, è un gestore di circuiti di sale cionematografiche, produttore di film, soprannominato “Er Viperetta” con un look e un modo di fare agli antipodi rispetto a quello genovese, ma che sta dilagando di popolarità tra battute, mascherate, provocazioni e gaffe clamorose, come quella poi autocensurata, di avere dato del “filippino” al presidente dell’Inter Thoir.

La chimica imprevedibile dei rapporti umani ha scatenato un feeleng perfetto tra questo scatenato romano del Testaccio, che nel mondo del cimema tutti conoscevano un po’ come un border line simpatico e sbruffoncello e Mjiaholivic, l’allenatore guerriero, che sa di calcio come pochi e che esprime nel suo lavoro tutta la forza e la duttilità fisica e umana dei serbi.

Dall’altra parte l’accoppiata allenatore-presidente è più collaudata e totalmente diversa. Il Genoa da dieci anni è di proprietà di Enrico Preziosi, il re dei giocattoli, un self made man nato a Avellino, cresciuto in Brianza, carattere rude, gran senso degli affari, uno che ha tenuto il Genoa in A per otto anni di fila, record assoluto nel Dopoguerra, facendoloo risorgere dalla famosa storia della valigetta che nel 2005 lo precipitò in serie C dalla A per un grave illecito sportivo: avere pagato il Venezia nell’ultima partita decisiva per tornare in Paradiso, cioè in A.

Preziosi, un tipo completamente diverso da Ferrero, uno che non gira certo per Genova a fare show e che anzi viaggia come un grande imprenditore tra Asia e Europa per migliorare il suo business ai tempi della crisi (sta trattando un mega accordo della sua Giochi Preziosi, con il colosso Art Sana, quella dei prodotti Chicco) e salvare un’azienda che come tutti i settori ha pagato molto la crisi dei consumi e che ha come emblema l’indimenticabile “Ciccio Bello”, un bambolotto immortale.

E in coppia con Preziosi c’è Gasperini l’allenatore che esplode solo a Genova, che il joker scoprì nel 2007, che lavorò per i rossoblù portandoli ai migliori risultati della storia postbellica con il quarto posto nella stagione 2008-2009 e che poi ruppe con lui. Il Gasp, che a Ggenova, considerano una specie di Fergusson, l’eterno allenatore del Manchester United capace di un ciclo ventennale, è ben diverso da Sinisa Mihialovic, è un piemontese cresciuto all’ombra della Juve, duro e attaccato molto alle sue idee, grande organizzatore di gioco, capace di cavare il meglio dalla legione straniera che il suo presidente gli mette a diosposizione da vero mercante qual è. Si dice che oramai i giocatori trattati, comprati, venduti, imprestati da Preziosi nel suo arco di carriera siano più di trecento e tra questi campioni assoluti o gente di grande valore, come Diego Milito, Lavezzi, Tiago Motta, Boateng, El Sharawj, Criscito, Bonucci, Ranocchia. La macchina Preziosi con i suoi collaboratori, in primis, suo figlio Fabrizio, ha questa abilità straordinaria di scovare nel mondo, ma sopratutto in Argentina e in Spagna giocatori magari spariti dai grandi circuiti e rilanciarli ai vertici.

Tra lui e il Gasp il rapporto oggi è idilliaco, prima è stato anche tempestoso perchè non è facile mettere d’accordo un avellinese diventato joker nel mondo con un piemontese di Grugliasco.

Insomma tutti questi incroci che si fermano a Genova ,colpita dalla crisi più dura dei tempi moderni, hanno provocato una reazione calcistica assolutamente imprevedibile e staccata dal contesto socio economico imprenditoriale. I Garrone, gli ultimi a investore nel calcio ne sono usciti come attraverso una liberazione, lasciando sul terreno diverse centinaia di milioni e hanno trovato “Er Viperetta” al quale hanno consegnato la società pulita dai debiti e qualcuno sostiene che gli abbiano anche lasciato in mano un cospicuo bonus per andare avanti nel primo anno.

E Ferrero è diventato il personaggio “genovese” più noto. I Preziosi a Genova sono arrivati, hanno sofferto, minacciato più volte di disincagliarsi dal vecchio Grifone e ora volano.

Giocatori come l’ultima scoperta, l’argentino Diego Perotti acquistato per 350 mila euro, ora vale già più di dieci milioni di euro, dopo sole dieci partite in serie A. Il portiere-ragazzo Perin del vivaio genoano è già il futuro portiere della Nazionale lo vogliono le più grandi squadre europee e vale almeno 20 milioni di euro. La Samp sta vendendo il suo gioiellino Gabbiadini (in comproietà con la Juve) al Napoli. E un altro gioiello, Okaka, naturalizzato italiano, lo voglion Inter e Milan.

Insomma dietro il doppio miracolo genovese ci sono anche fior di business calcistici.

Quanto durerà e come durerà? A Zena sono molto capaci a dissimulare e a usare le cabale per superare le facili illusioni e mettersi al vento. Ma sicuramente oggi l’ombelico pulsante della città è quello stadio, un po’ malmesso, che Er Viperetta definisce un ospizio, in riva al fiume carttivo. La Lanterna, simbolo della città, non ha più neppure un gestore perchè la società che la amministrava ha dovuto ritirarsi. Cercasi chi riaccende la Lanterna. Intanto la luce viene da Marassi, stadio Luigi Ferraris..