Genova e il crack della democrazia diretta. Da Grillo al salotto buono dello Yacht Club

di Franco Manzitti
Pubblicato il 2 Giugno 2017 - 05:00 OLTRE 6 MESI FA
Genova e il crack della democrazia diretta. Da Grillo al salotto buono dello Yacht Club

Genova e il crack della democrazia diretta. Da Grillo al salotto buono dello Yacht Club

La democrazia diretta non funziona. Almeno a Genova, la grande roccaforte “rossa” dove si sta combattendo la battaglia per conquistare il Comune, ma dove ci sono altri violenti scontri di vertice, sul filo di consultazioni, elezioni, piattaforme Rousseau sbugiardate e bigliettini nelle urne più chic della città che finiscono per contare come le briscole nelle taverne dell’ex angiporto.

Succede che la consultazione per scegliere il candidato sindaco di M5Stelle finisca malissimo per Grillo, il genovese per eccellenza, che è costretto a destituire la vincitrice delle Comunarie, la prof Marika Cassimatiss, eletta via web con 768 voti e piazzare al suo posto Luca Pirondini, il tenore, che vince le elezioni suppletive: il capo aveva di imperio suo annullato il primo risultato, polverizzando il concetto che il giudizio elettronico è definitivo come una sentenza e invocando il suo ruolo di “garante” assoluto.

Ma succede anche che nella apparentemente riservatissima e un po’ snob elezione del presidente dello Yacht Club Italiano, massima competenza velica e luogo del più riservato understatment genovese, scoppi una vera gazzarra, a fatica contenuta sul parquet di legno del circolo, nelle sue sale con poltrone di cuoio scuro, sulla sua terrazza affacciata sulle barche a vela e sul famoso ipotetico Blue Print di Renzo Piano.

Prende più voti di tutti tra i 1.200 soci, diffusi anche nel jet set italiano ed europeo (possono votare anche Tronchetti Provera, Elkan, Perrone) il presidente uscente Carlo Croce, da venti anni al vertice, appena uscito non senza sussurri e grida dal vertice delle vela mondiale e da quella italiana, di nobile famiglia velica e non solo, figlio del “mitico” Beppe Croce, vera autorità mondiale nel Dopoguerra, amico dei più grandi della terra e anche lui per lustri e lustri presidente dello YCI in una sorta di monarchia costituzionale.

Ma il figlio Carlo è lì da venti anni e nel Circolo soffia un’aria di cambiamento, un po’ per la lunghezza del suo regno, un po’ perchè quella presidenza negli ultimi tempi si è un po’ arroccata nella Genova difficile di questi anni e proprio mentre l’area del nobile Circolo, frequentato dai velisti di alto rango e dalla buona società genovese, è coinvolta nel grande progetto di Renzo Piano, denominato Blue Print: progetto per collegare la zona del Porto Antico con la area della decadentissima Fiera del Mare, passando davanti alla palazzina del Club e “tombando” il suo storico porticciolo “Duca degli Abruzzi”.

Croce II non ha accettato il dialogo con la città, rifiutando di partecipare a qualsiasi incontro per discutere traslochi, spostamenti, diverse collocazioni, in un atteggiamento molto chiuso che ha incrinato la compattezza dei soci e scatenato più di una fronda. Il noto imprenditore Davide Viziano, molto attivo in città e socio “storico”, ha addirittura annunciato le sue possibili dimissioni di fronte all’insistenza nella chiusura al dialogo di un circolo nel quale siedono molti rappresentanti della cosidetta classe dirigente genovese.

Così ancor prima del fatidico voto si coalizza una opposizione alla sua riconferma che viene intestata a una altra nobile figura del Circolo, il marchese Nicolò Reggio, anche lui di antica famiglia velica, olimpico, regatante anche in Coppa America.

Croce arriva primo nella consultazione, ma con un distacco molto inferiore alle sue precedenti affermazioni e sopratutto nel consiglio direttivo non ha più la maggioranza. Tenta colpi clamorosi per restare in sella, come farsi ricevere in fretta e furia dal nuovo presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini e attestarsi il risultato di non far tombare il Porticciolo, come avrebbe voluto in un primo tempo il disegno di Renzo Piano. Aveva disertato convocazioni e contatti e di colpo corre a palazzo san Giorgio, facendosi raccomandare per il colloquio. Sembra una mossa un po’ disperata e il presidente del porto non la prende bene. Si sente strumentalizzato dall’improvvisamente attivo presidente uscente YCI.

Niente da fare: il nuovo direttivo, uscito dalla rovente consultazione, non acclama presidente Carlo Croce e i suoi sei fedelissimi, tutti nomi di rilievo del ghota velico, Giovanna Bianchi Risso, Antonio Cairo, Anna De Mari, Chicco Isenburg, Luigi Monaco d’Araniello, Filippo Pastorino Varini, abbandonano la regale seduta, prima che si proceda al voto.

Salgono sull’Aventino con il loro sdegnato presidente e abbandonano i loro uffici a quelli che considerano “invasori”. Viene votato presidente Reggio, mentre Croce rifiuta sedegnosamente sia la carica di presidente onorario, sia quella di Commodoro, offerte come mediazione per superare divisioni non usuali in quel clima molto ovattato. La sua tesi è che la consuetudine, da rispettare in un clima di alte tradizione del vivere civile, indicava di eleggere presidente il più votato, cioè lui.

Parte una battaglia senza esclusione di colpi, mentre il nuovo vertice, nel quale, oltre a Nico Reggio, ci sono illustri professionisti, come l’avvocato Matteo Berlingieri, figlio di Francesco, forse ancora la più alta autorità di diritto marittimo della città e della giurisprudenza marittima italiana, si insedia al vertice del Club.

Il nuovo presidente convoca un assemblea ordinaria il 6 giugno per insediare il nuovo direttivo, mentre Croce dall’Aventino, dove si era ritirato con i suoi sei fedeli, poi ridotti a cinque, cerca di mobilitare i soci per chiedere una assemblea straordinaria che gli consenta di riconquistare il trono che così di malavoglia ha dovuto cedere a Reggio. Si va a caccia di firme tra i soci per convocare questa assemblea straordinaria che in qualche modo viene presentata come una specie di “contro golpe”, se questo termine può essere applicato in quell’ambiente dove l’unico arma forse è stata la sciabola di Cairo, ex ammiraglio in pensione e ora fedele di Carlo Croce.

Nel pieno di un maggio elettorale genovese, con i nove candidati sindaci che stentano a scontrarsi in una miriade di confronti pubblici di una campagna elettorale noiosissima e ripetitiva, la vera battaglia genovese è per lo Yacht Club: sussurri, grida, il vento impetuoso di rivelazioni scottanti, di manovre proibite, voci malevole, l’accusa di spargere calunnie contro il presidente sconfitto, agitano le vele del Circolo, che era sempre stato al riparo da queste bassezze…

Non c’è salotto altolocato, corridoio di circolo, ambiente vellutato dove lo scontro tra Croce, presunto spodestato, non tenga banco. Si rompono amicizie, si schierano fazioni, mentre si scatena la caccia alle firme per chiedere quell’assemblea straordinaria e molte vengono carpite con equivoci in un tam tam che scavalca ovviamente i moli del porto di Genova e raggiunge anche i soci più illustri e più lontani.

Cosa invoca Croce, se non il rispetto della democrazia diretta, la consuetudine: sono stato il più votato, tocca a me. Ancora una volta per favore. L’acclamazione è sostenuta da una tradizione secolare, addirittura risalente al 1880, sostengono gli sconfitti.

Scendono ovviamente in campo grandi avvocati: che il “Corriere della Sera”, in un lungo articolo definisce “blasonati”, scoperchiando il caso a livello nazionale. Genova non è, o forse non è stata, la capitale dei grandi avvocati, sopratutto in queste questioni che riguardano i temi marittimi nautici?

Come in tutte le grandi pochade compare anche un alter ego, Carlo De Thiery, che scrive da un indirizzo milanese lunghissime epistole ai nuovi vertici dello Yacht Club, dando lezioni di savoir faire alla fresca presidenza, invocando il vero spirito “da yacht man”, che dovrebbe animare tutti i soci, censura la sovrabbondante esposizione mediatica che la vicenda sollecita, frantumando quello stile molto english-genovese che contraddistingue da secoli il club velico più antico del Mediterraneo. Le lettere del socio milanese, che appare una lunga e prolissa longa manus, si ripetono e sembrano avvelenare ancor di più un ambiente che non è abituato a queste risse. Si rompono amicizie, vecchi soci abituati a veleggiare insieme o a commentare i fatti del mondo o di Genova nei sobri e austeri saloni del circolo si voltano le spalle. E non sono famiglie qualunque, ma quelle che hanno animato la high society genovese da tempo immemorabile.

Di fronte all’invito di rispettare le storiche tradizioni il nuovo vertice obietta tranquillo che non c’è consuetudine che tenga, la regola è diversa. Si scopre anche che quella consuetudine all’acclamazione del più votato era stata fatta valere quasi esclusivamente proprio da Carlo Croce. Perfino il suo augusto genitore, “padre” della vela italiana nel Dopoguerra, il grande Beppe Croce, amico di Gianni Agnelli e perfino di Jhon Kennedy, preferiva farsi votare dal Direttivo, dopo avere trionfato nelle elezioni tra i soci.

Un importante predecessore, Giovanni Novi, noto broker navale e ex presidente dell’Autorità Portuale genovese, fino al 2008, era stato eletto nel 1995 rifiutando l’acclamazione e chiedendo il voto del Direttivo uscito dalla consultazione dei soci.

Ora non si sa se anche allo Yacht Club si arriverà a elezioni “suppletive”, come è avvenuto nei 5 Stelle dopo il “golpe” di Grillo, che destituì Cassimatis, sostituendola con il tenore Pirondini. Mentre si accumulano le firme lo scontro è in corso. Si moltiplicano, sopratutto sulla stampa specializzata gli articoli prevalentemente non a favore di Carlo Croce, che viene anche chiamato un po’ ironicamente “Charles Cross”. Certo, Genova assiste un po’ sorpresa a questo match, sicuramente laterale e riservato a un pubblico ristretto, ma in qualche modo significativo del clima della città, un po’ chiusa nei suoi cerchi concentrici, dove la parola d’ordine è spesso la conservazione, comunque e dovunque.

Con l’eccezione dei grillini che vorrebbero rovesciare tutto, dimenticandosi, però, di rispettare le regole democratiche, anche quelle che loro stessi si sono imposti.