Genova day after a sinistra: con Doria compagni e borghesi. A destra…

di Franco Manzitti
Pubblicato il 13 Febbraio 2012 - 07:49| Aggiornato il 29 Dicembre 2014 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA -Dopo Milano, Napoli e Cagliari, lo tsunami politico, che si abbatte sulle grandi città italiane alla prova del voto, spazza anche Genova in una gelida domenica di tramontana “scura” e di vento di grecale. Una inedita alleanza tra Don Andrea Gallo, il prete degli ultimi, il nocciolo duro del vecchio Pci e ampi strati della insoddisfatta borghesia di mercanti, professionisti e uomini dello shipping, fa stravincere le elezioni primarie a Marco Doria, nobil uomo dall’antico lignaggio ( discendenza quasi diretta da Andrea Doria e la sua storica famiglia di ammiragli e dogi della mitica Repubblica marinara) e dal credo politico fieramente comunista.

Con oltre il 46 per cento di una esigua schiera di votanti (non oltre 25 mila) il “marchese rosso”, 52 anni,  professore alla Facoltà di Economia, un passato lontanissimo nel Pci e in Rifondazione Comunista, un presente da indipendente, estraneo a tutta la politica fino a tre mesi fa, infilza le due zarine del Pd, Marta Vincenzi,  64 anni, sindaco uscente dopo cinque anni, ex eurodeputata e Roberta Pinotti, cinquantenne senatrice ed ex assessore comunale, che incassano rispettivamente il 27 e il 23 per cento dei voti depositati nei settantatrè seggi di una elezione raggelante.

E’ una clamorosa sconfitta per il partito che governa Genova da molti decenni e che in queste primarie si è letteralmente squarciato nella lotta intestina tra le due signore, la sfidante a sorpresa, Pinotti e la Vincenzi un sindaco, “re sole”, trasbordante, polemica, mezza annegata nella recente alluvione del novembre scorso e riemersa con uno scatto, come l’amante abbandonata del celebre film “Attrazione fatale”, impersonata da Glenn Close, che riemerge dall’acqua della vasca da bagno dove sembrava morta, per pugnalare il suo partner.

Qui il pugnalato, invece, è il Pd che, prima, ha messo in discussione la sindaco alla fine del suo mandato numero uno e poi ha lasciato andare in scena sul palcoscenico di una città divorata dalla crisi, con l’alluvione mortale, le grandi fabbriche ko, come la Fincantieri, il blasone della sua tradizione marinara infangato dalla tragedia della Costa Concordia, un duello quasi indecente.

Le due signore, divise da una rivalità corrosiva e astiosa si sono preoccupate più di affondarsi reciprocamente che di intercettare gli umori profondi della città, la crisi, l’insicurezza, l’avversione verso le caste politiche che ambedue in qualche modo garantivano con le loro lobbies, i loro apparati di potere potentemente schierati durante la campagna. Con un solo candidato il Pd avrebbe comunque vinto le Primarie, “concesse” per gli eccessi della Vincenzi, i suoi scontri clamorosi con i vertici del partito.

Doria si è infilato facilmente nel vuoto pneumatico che la contesa apriva nel cuore di una sinistra abituata a governare incessantemente, a blindare tutto, a licenziare chi non era d’accordo, come, per esempio nel 1997, il sindaco di allora, l’ex pretore d’assalto, Adriano Sansa, scelto dopo Tangentopoli, con la frase di un funzionarietto apparatčik degli allora Ds: “Vai a casa tanto noi qua siamo in grado di far eleggere sindaco anche il primo camionista che passa!”

Spinto avanti da un gruppo di intellettuali, professionisti, sindacalisti, personaggi come Sandro Ghibellini, noto avvocato ed anche campione olimpico e mondiale di pallanuoto, Marco Doria è sbucato a sorpresa alla fine di ottobre e ha fatto una campagna molto soft, molto giocata sul tam tam, sui social network, senza grandi investimenti, con molto volontariato alle spalle e non solo quello tradizionale di Sinistra e libertà.

Una grande spinta gliela ha data don Andrea Gallo che nel vuoto genovese è un opinion leader molto forte. Lo slogan fondamentale di Doria, che in questi mesi ha continuato a fare il professore a Economia, si riferiva alla sua indipendenza e al fatto di avere contro due professioniste della politica: “Se io perdo continuo a fare il professore, loro due cosa vanno a fare fuori dalla politica, non hanno mai fatto altro……”

Alle sue riunioni, agli incontri mai di massa, mai di folla, più tavolate di amici che assemblee (una sola visita a Genova per metterci il cappello sopra di Niki Vendola, nessun altro leader nazionale) ha incominciato a comparire un mondo inaspettato, fatto di una borghesia, media ed anche alta, vicina al Pd e all’Ulivo di Prodi, ma anche ai partiti di centro, abitante nei quartieri residenziali classici della città, da Castelletto, a Carignano, ad Albaro, dove in genere si vota a destra. E più le zarine si prendevano a unghiate, più Doria mangiava loro il terreno anche nell’ombelico storico operaio e portuale, nelle delegazioni di Ponente della città.

Alla fine della domenica di tramontana ghiacciata e grecale, il suo score è clamoroso in tutti i quartieri, ma marchia quelli borghesi sopratutto, dove un candidato dell’estrema sinistra radicale mai aveva battuto un chiodo, verso Quarto, Quinto, Nervi. La sorpresa è stata tale che i giovani segretari provinciale e regionale del Pd, Victor Razeto e Lorenzo Basso (la cui testa potrebbe cadere nelle prossime ore), definiti prima della campagna elettorale da Marta Vincenzi “due quaquaraqua”, non sono stati in grado di reagire se non chinando il capo al risultato.

Un Pisapia genovese non era stato ipotizzato da nessun organo di stampa e di televisione, salvo Blitzquotidiano due mesi fa, e una vittoria di Doria non era stata trattata neppure come ipotesi estrema. Pochissime apparizioni televisive, una attenzione rituale da “Il Secolo XIX” e poco meno da “Repubblica”.

Così la città ha vissuto un vero choc quando il primo exit poll, “sparato” alle 21 in punto dalla emittente Telenord, ha lanciato Doria al 44 per cento e le due zarine sprofondate sotto il 30, con la Vincenzii in leggero e costante vantaggio sulla Pinotti, magrissima e gelida consolazione.

Lo squarcio che ora si apre nel centro sinistra, a neppure tre mesi dalle elezioni amministrative, è enorme perchè mette in discussione non solo le leadership interne, divise più o meno equamente tra Marta Vincenzi e Claudio Burlando, il presidente della Regione, avversario della Vincenzi, mai sceso in campo nella contesa, ma, secondo alcuni, tra i suggeritori della mossa di Marco Doria. Questo squarcio fa anche crollare un intero sistema di potere, quello che la Vincenzi aveva aggluttinato, sfruttando la ragnatele di relazioni del marito, un ingegnere ex Italimpianti, Bruno Marchese, vera eminenza grigia del suo potere e quello che la Pinotti stava mettendo in piedi sotto la regia di personaggi importanti come l’avvocato Vincenzo Roppo, il legale che ha fatto vincere a De Benedetti la sfida della Mondadori con Berlusconi, come Sergio Cofferati, come Stefano Zara, ex presidente degli Industriali.

Ed ora Genova guarda al prossimo voto con una curiosità maggiore, come se il filo che la regge dagli anni Settanta si fosse finalmente spezzato, anche se a vincere la semifinale di quel torneo di elezione comunale è un esponente della sinistra radicale e non certo un uomo di destra o di centro. L’Idv, alleato in Comune, dove conta assessori e grande potere e in Regione, dove la vice di Burlando è la bella Marylin Fusco, dipietrista di ferro, ha già preso le distanze; le grandi manovre per agganciare l’Udc nella maggioranza di Palazzo Tursi si sono sbriciolate nella notte del gelo Pd e tutto il quadro della Sinistra sembra sfarinarsi.

Soffia il vento dell’antipolitica, che raggela il clima sottozero da due settimane e spiana il mare, ma che gonfia le vele dell’erede di Andrea Doria. Dall’altra parte dello schieramento anche il centro destra, dove il potere di Claudio Scajola si è praticamente azzerato e neppure “ a sua insaputa”, la confusione è tanto forte che il tonfo della Vincenzi non trova efficaci eco. Loro un candidato non ce l’hanno ancora e altro che Primarie sanguinarie come quelle del centro sinistra!

Da quel fronte sanno solo sparare addosso all’unico candidato dell’area liberal di centro che si è mosso in anticipo, il senatore Enrico Musso, cinquantenne, già sfidante sconfitto per un pelo dalla Vincenzi, “portato” dai berluscones cinque anni fa. Musso, passato al gruppo misto in Senato, vice segretario nazionale dei liberali, dopo avere strappato da Berlusconi con una certa violenza, è considerato un traditore dal Pdl. A lui guarda il Terzo Polo di Casini-Fini-Rutelli che vuole per Genova un candidato proprio e non condiviso con altri. Ma ora i giochi si sono fatti molto più stretti: l’area di centro destra potrebbe intravvedere la possibilità di strappare la Superba alla Sinistra dopo quasi quaranta anni se giocasse tutta unita. E nel futuro elettorale ci potrebbe essere un duello tra due professori di Economia, Doria e Musso, docenti nella stessa facoltà. E questa non è, in fondo, l’età dei professori?