Genova piange Giuseppe Pericu, il sindaco che fermò le tute bianche del G8 del 2001 e spense i fumi dell’Ilva

Genova piange Giuseppe Pericu, il sindaco che fermò le tute bianche del G8 del 2001 e eliminò senza traumi i fumi dell'Ilva

di Franco Manzitti
Pubblicato il 16 Giugno 2022 - 07:42 OLTRE 6 MESI FA
Genova piange Giuseppe Pericu, il sindaco che fermò le tute bianche del G8 del 2001 e spense i fumi dell'Ilva

Genova piange Giuseppe Pericu, il sindaco che fermò le tute bianche del G8 del 2001 e spense i fumi dell’Ilva

Il sindaco di Genova stava in maniche di camicia, con un megafono in mano quel 20 luglio 2001 nel cuore di Genova assediata dalla violenza delle tute nere che avevano sfruttato il G8 per seminare distruzione e paura.

Il sindaco parlava dalla grata che separava la zona rossa dal resto della città. Chiedeva con forza che si fermasse l’assalto alla zona protetta, dentro alla quale gli Otto Grandi del mondo, riuniti nel Palazzo Ducale, stavano decidendo il futuro.

Sapeva che sui tetti della strada che sbucava nella piazza della riunione, con Chirac, George Bush, Putin, Berlusconi, Prodi, erano appostati i cecchini che avrebbero sparato sugli invasori, se avessero travolto il confine di protezione.

Sarebbe stata una carneficina. Le forze dell’Ordine avevano l’ordine di sparare da parte del ministro dell’Interno Claudio Scajola, perché i Grandi non potevano essere minacciati e quello stava avvenendo.

Il sindaco alzava la voce nel suo megafono, trattava con Vittorio Agnoletto, il leader delle tute bianche, che spingevano quella grata. Lo invitava a desistere. Guai se la protezione fosse caduta. Non solo ci sarebbe stata una carneficina, ma la polizia, i carabinieri, le altre forze militari in campo, avrebbero dovuto accorrere a proteggere i G8, lasciando il resto della città in mano ai violenti che la stavano distruggendo e saccheggiando.

Quel sindaco, che convinse le tute bianche a fermarsi e salvò il G8 dalla violenza peggiore, era Beppe Pericu, allora sessantunenne. Primo cittadino di Genova da quattro anni, grande avvocato, grande docente universitario di Diritto Amministrativo, di origini socialiste laburiste, ma sopratutto già un insigne giurista riconosciuto in tutto il paese.

Oggi che Pericu è morto, dopo una breve, folgorante malattia, quella sua immagine in maniche di camicia con il megafono è tornata in prima pagina, rilanciata in Tv, sui siti per ricordare quel suo ruolo chiave nei giorni bui di Genova sotto il tacco del G8.

Ma sarebbe riduttivo ricordare la sua figura solo in quell’azione coraggiosa, decisa, fondamentale, da vero rappresentante delle Istituzioni.

Giuseppe Pericu, scomparso a 84 anni, un po’ troppo velocemente, quando era ancora nel pieno delle sue forze fisiche e mentali, una specie di coscienza genovese solida e sicura, pronta ad assolvere ancora tutti i compiti che la città e non solo gli continuavano ad assegnare, è stato il sindaco più “forte” del Dopoguerra genovese.

Per meriti suoi, ma anche per il momento nel quale era stato eletto, nella primavera del 1997, secondo sindaco scelto direttamente dai cittadini, quando il destino della città , la Superba, stava cambiando decisamente e aveva bisogno di essere accompagnato da uomini decisi, con un carattere a prova di bomba, con capacità politiche e relazionali un po’ fuori dal comune.

Era la città dove il grande potere del Pci, già diventato Pds e poi Ds, stava incominciando a mollare la presa forte della sua morsa ideologica, di una nomenclatura molto estesa in ogni ganglo genovese.

Era la città uscita con meno danni di altre dall’era di Tangentopoli e dove il berlusconismo era stato contenuto, ma dove i ceti più moderati si guardavano intorno, cercando una bussola che non era più il lungo impero del padre nobile, Paolo Emilio Taviani, il grande leader democristiano, che aveva fatto da contrappeso con le sue truppe a quel potere comunista, costruito nelle grandi fabbriche, nel grande porto appena riformato e privatizzato.

Pericu era il secondo sindaco non uscito direttamente dalle gerarchie di un partito, dopo Adriano Sansa, l’ex pretore d’assalto. Aveva accettato di scendere in campo alla testa di una coalizione di centro sinistra, che sembrava imbattibile, ma che pure aveva rischiato nella sua prima elezione per i rigurgiti della Lega e dei suoi seguaci.

Una vittoria al ballottaggio contro l’ex leghista, diventato civico ante litteram, Sergio Castellaneta, conquistata per pochi voti , 7500, lo aveva portato a palazzo Tursi pochi anni dopo la grande riconversione genovese, quella del 1992 quando, grazie ai miliardi dell’Expò colombiana, la città aveva svoltato il suo destino.

Da capitale Iri, città di tute blù e portuali duri e puri a città di colletti bianchi, di servizi, di proiezione verso il turismo.

Era un’operazione di trasformazione rimasta un po’ a metà. Una parte di Genova riaperta, grazie ai disegni di Renzo Piano che avevano scoperto il porto antico, i vecchi moli da recuperare, l’Acquario, grande attrazione, da lanciare, il resto di una città chiusa ancora nei suoi riti e nelle sue trasformazioni mezze abortite.

Un’altra parte che spingeva per il cambiamento, per sfruttare i grandi spazi abbandonati dall’industria pesante, per collegare meglio il grande hub portuale con la rete infrastrutturale italiana.

Pericu ha fatto questo. Bisognava investire, cucire, portare a compimento tante operazioni appena accennate.

Lui era già stato tentato dalla politica ed era stato deputato per il Partito Socialista Italiano, nel 1994, nella brevissima XII Legislatura, dove il suo impegno da tecnico superlativo si era espresso anche nella riforma radio televisiva.

Aveva un grande bagaglio giuridico, maturato con maestri di diritto come Roberto Lucifredi e Lorenzo Acquarone e anni di studio e insegnamento nelle Università di Genova e alla Statale di Milano, nella sua materia di diritto amministrativo.

Era un grande avvocato impegnato in grandi cause e arbitrati delicatissimi.

Ma la vocazione politica era sempre stata viva per lui. Si definiva un socialista laburista, che il suo carattere pragmatico ed efficiente, aveva portato a restare sul fronte di centro sinistra e poi a diventare nel 2007 uno dei fondatori del Pd genovese.

A Palazzo Tursi aveva messo insieme una squadra forte di competenti, un mix tra tecnici e politici, inaugurando anche l’era dei manager consulenti della giunta con l’insediamento in quel ruolo di un superesperto come Sergio Noce, già superdirigente dell’Iri, tra Ansaldo e Italsider.

Pericu sapeva sfruttare bene le competenze, estraendole dalle pieghe della società genovese e non, senza tante barriere ideologiche e tanto meno sociali.

Aveva rapporti molto proficui con la Camera di Commercio e con Confindustria. Aveva rapporti diretti con personaggi come GianVittorio Cauvin e Riccardo Garrone, i big imprenditoriali di quella Genova in cambiamento e con i gli altri più importanti imprenditori della città.

Sapeva bilanciare tra impresa e lavoro, tra industriali e lavoratori. Grazie a queste liason era stato facile mettere mano alle operazioni in corso, come il completamento della Darsena nel porto antico o come decidere l’operazione Fiumara, un vero “cambio” in una zona chiave della città, dove c’erano gli stabilimenti Ansaldo e che fu trasformata, alla foce del fiume Polvecera, in una grande zona di servizi con Palasport, grande area commerciale, sale cinematografiche, aree commerciali e di tempo libero.

Praticamente una zona libera per il ponente genovese, soffocato dalle fabbriche e dai terminal portuali. Fu lui a incominciare il processo che avrebbe liberato Cornigliano dai fumi della Ilva, la grande acciaieria ex IRI, diventata privata con gli industriali della famiglia Riva.

Ma questo sindaco, dai modi decisi e dal tono sempre dialogante, fece il suo capolavoro sfruttando alla perfezione i finanziamenti arrivati a Genova per preparare la città al G8, che sarebbe stato drammatico per i suoi esiti di ordine pubblico e sicurezza, ma che portò a Genova grandi capitali, restauri fondamentali e il riconoscimento da parte dell’Unesco dei famosi Rolli, i palazzi pregiati, che stanno nel cuore antico della città .

Non solo, poi venne il 2004 nel quale Genova era capitale europea della Cultura, grande occasione per nuovi finanziamenti e per eventi che portarono la città su una nuova ribalta, pronta a trasformarsi definitivamente.

Dopo tanto lavoro, al termine di un decennio molto importante per Genova, Pericu era uscito dalla scena nel 2007, quasi destinato ad avere un ruolo nazionale decisamente meritato (perfino il suo “avversario” Berlusconi lo aveva definito “il miglior sindaco in Italia). Si era parlato tanto di un incarico alla Corte Costituzionale, che avrebbe costituito il coronamento di una carriera giuridica e amministrativa eccezionale.

Invece le spire della politica si avvolsero intorno a questa ipotesi e un ruolo al quale Pericu avrebbe tenuto, senza averlo mai confessato, secondo il suo carattere esplicito ma personalmente riservato, sfumò. Molto ingiustamente.

Questo non vuol dire che gli impegni e il ruolo di un sindaco così decisivo si sarebbero ridimensionati. Anzi Pericu, nel suo dopo sindaco, ha continuato fino all’ultimo giorno ad essere impegnato in ruoli importanti anche come consigliere di Carige, come presidente dell’ Accademia ligustica delle Arti, come consigliere di amministrazione di IIT, per citare gli incarichi più visibili.

Ma soprattutto il suo ruolo ha continuato ad essere quello di grande consulente, di consigliere, di vero intellettuale a disposizione della città, come ha riconosciuto Sergio Cofferati, ricordandolo nel giorno della scomparsa.

Per questo la morte anche un po’ improvvisa, quando ancora l’azione di Pericu era forte e decisa e i suoi impegni ricchi di partecipazione, ha destato una grande ondata di affetto verso la sua famiglia cui era legato in modo particolare. E rispetto a un’epoca che si rimpiange anche nel suo nome.