Genova e il ponte maledetto, Toti contro Di Maio: sì ricostruzione, no tweet

di Franco Manzitti
Pubblicato il 5 Settembre 2018 - 13:10 OLTRE 6 MESI FA
Genova e il ponte maledetto, Toti contro Di Maio: sì ricostruzione, no tweet

Genova e il ponte maledetto, Toti contro Di Maio: sì ricostruzione, no tweet

GENOVA – La voce del sindaco Marco Bucci si strozza nell’emozione due volte davanti al suo consiglio comunale, a quello regionale, riuniti insieme davanti alla folla trasbordante e furibonda degli sfollati del ponte maledetto. Siamo nella sala del consiglio regionale, dove le Istituzioni fanno, dopo tre settimane esatte, il bilancio della Grande Tragedia, nel giorno in cui a Roma il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, riferisce davanti alla Camera riunita sul caso Genova. Siamo nel giorno in cui l’inchiesta giudiziaria fa trapelare il numero di una quindicina di nomi di prossimi indagati tra i responsabili dei consigli di amministrazioni di Autostrade spa, tra i suoi dirigenti nazionali e locali, tra i funzionari del Provveditorato dei Lavori Pubblici e tra i rappresentati del fu Ministero dei Trasporti. E siamo nel giorno in cui escono ancora notizie e indiscrezioni sui controlli non eseguiti, sui sensori non piazzati, sugli stralli che si indebolivano nel ponte delle sciagure, sugli allarmi “coperti”, sui rinvii dei lavori urgenti.

Siamo, insomma, al giorno 21 dopo la tragedia del 14 agosto e il sindaco, insieme al governatore-commissario Giovanni Toti, relazionano su tutta la vicenda, che continua a inchiodare non solo Genova a questa croce di quel mozzicone di ponte sfarinato, ma il Governo all’emergenza Genova, la politica alle sue diatribe su demolizione, ricostruzione, i grandi tecnici, come Renzo Piano sulla soluzione rapida ma vincente, “alla genovese”, per sostituire l’infrastruttura colassata e riabbassare il ponte levatoio di Genova, che si è alzato e ora è un casino gigantesco.

Al giorno 21 il traffico è un calvario nella Genova bassa rispetto al ponte, verso la linea di costa e la ripresa post estiva riempie le strade di auto, malgrado i disperati tentativi della viabilità cittadina di riadattarsi con strade nuove, sensi unici, passerelle pedonali, deviazioni, invocazioni a usare treni più frequenti. Al giorno 21 la Vallepolcevera dei mille dolori, sotto gli occhi della Madonna della Guardia, il santuario che dall’alto domina la scena apocalittica, è spaccata in due dal “muro” del sottoponte, dove stanno portando via i macigni piovuti dal cielo di pioggia e fulmini, dove la zona rossa delle case dove abitavano (e abitano) gli sfrattati, è premuta da una folla in attesa, in un limbo disperato, mentre il Comune ha già trovato e assegnato quasi cento case a questo popolo di 566 anime, 155 nuclei famigliari, ma loro stanno là a guardare il ponte e la loro vita che si disfa e la loro casa, sotto al ponte, di cui si misurano i tempi che la separano dalla inevitabile demolizione.

Che deve fare il sindaco Bucci, che da quel giorno dorme quattro ore per notte e passa da una emergenza all’altra: spiegare, mediare, cercare di tranquillizzare, trovare soluzioni, sospeso come se fosse appeso al filo invisibile che lega i due tronconi del ponte, tra chi vuole ricostruire e demolire subito, anche un ponte di ferro, costruito dal genio militare, tra chi, come i 5 Stelle, scatenati in Parlamento e attraverso le parole del ministro Toninelli e del loro leader Di Maio puntano il cannone mediatico sulla concessionaria di Autostrade da giustiziare subito, via la concessione, fuori i soldi dei risarcimenti, niente elemosine e sulla famiglia Benetton che tace, tace, mentre Genova piange e si dispera?

Che deve fare questo sindaco, che parla dopo il commissario Toti, lui sempre lucido, anche troppo ottimista, anche fieramente polemico con Di Maio, che si butta sempre dove sente il rumore della protesta, della rabbia popolare, come quella degli sfollati che in faccia alle autorità costituire , al giorno 21, gridano : “Rispetto, rispetto, rispetto, non si demolisce nulla, se non ci date una casa”?

Deve stare sospeso su quel filo, il sindaco ex manager capace, venticinque anni negli Usa e oggi catapultato a gestire l’emergenza più difficile dopo la fine della guerra in questa città di orgogli silenziosi e di sciagure improvvise e lancinanti, le alluvioni che hanno crocefisso la sua predecessora, Marta Vincenzi, del Pd, a una condanna penale intollerabile per la morte di sei persone trascinate da un fiume straripato nel cuore di un altro di questi quartieri sotto scacco della citta che fu Superba?

Gli si rompe due volte la voce a Bucci, che regge la barra del timone nella tempesta, quando ricorda il suo passato di ragazzo scout tra i terremotati del Friuli e spiega come quel popolo si risollevò dalla sciagura con le sue mani e i genovesi possono fare uguale e quando alla fine del suo discorso chiede, ma forse prega, che Genova “torni più forte e più bella.”. E lo applaudono anche quelli che urlavano “rispetto” e che premono le vetrate del Consiglio regionale e sono venuti in cinquecento nel cuore di Genova, a invocare che non ci si dimentichi di loro, che il gorgo delle polemiche, sempre più dure, delle soluzioni sempre più controverse, delle discussioni sul passato, sull’abbandono dei controlli, dell’inchiesta giudiziaria, che fa la sua strada, lasci loro al bordo di questo Stige, di questo inferno di una terra di mezzo, dove hai perso anche la tua identità di cittadino-abitante e forse ti trovano una casa, ma si recide tutto il resto.

Il sindaco Bucci e il governatore commissario Toti stanno fermi e decisi, anche con il filo umano della commozione nelle corde vocali del primo cittadino e contrappongono il lavoro permanente, la presenza costante sul pezzo di questa vicenda, ma il quadro, a questo giorno 21 dalla data fatidica, si complica perché lo scontro di vertice sulla soluzione più forte che viene invocata, quella della ricostruzione immediata del ponte si inasprisce. Quel Di Maio che ha tagliato fuori Autostrade dall’operazione e insiste sulla revoca immediata della concessione, ponendo un problema politico generale, mette un ostacolo ai tempi della possibile rinascita. E i tempi sono essenziali per una città che deve veder “sorgere” un segnale forte di riscossa, appunto di rinascita, come potrebbe essere il cantiere che incomincia a costruire il ponte, che sostituisce quello vecchio e maledetto, sul quale si stanno accanendo le indagini, le inchieste, indietro nel tempo, dal febbraio del 2017, quando si scoprì che ci voleva un superappalto da 20 milioni per fare il reffitting degli stralli, indietro, indietro fino al 1967 dell’inaugurazione, quando lo stesso”inventore”Morandi non dormiva pensando alle cure che quel miracolo dell’ingegneria dei ponti avrebbe dovuto avere sempre e continuamente.

Quel Di Maio, che si butta a pesce con i suoi tweet sulle proteste degli sfollati, mentre chi stava a Genova a farsi il mazzo sull’emergenza ha appena finito di elencare l’immane lavoro per impedire che la città si strangoli di traffico, muoia dentro alla zona rossa, resti una città spezzata, con il ponte levatoio alzato e l’ottimismo doveroso che incomincia a stracciarsi davanti ai dati negativi, diventa un caso di scontro più globale dentro al Governo, che era corso a Genova, 21 giorni fa, a promettere sforzi comuni, sintonie, ripresa e vicinanza.

Toti, che sa usare le parole fin troppo, gli ha rimandato indietro con gli interessi il tentativo di speculare un po’ troppo sulla disperazione degli sfollati, battendo il chiodo dell’emergenza numero uno, che è quella di ripartire e di non far pagare alla “ferita” di Genova le discussioni sul tema delle concessioni in Italia. Lo spiega, come se fosse un mantra da ogni microfono che gli piazzano sotto il naso, e lo dice in ogni intervista di quelle a getto che gli fanno su ogni mezzo di comunicazione dal giorno della tragedia.

Ma l’impressione è che la mancanza di decisioni rapide sui temi “demolizione e costruzione” incominci a far serpeggiare un sentimento di sfiducia, mentre lentamente la città va sott’acqua, cioè incomincia a contare i deficit della sua situazione mutata completamente. Non è vero che è una città irraggiungibile, come urla Bucci nel suo discorso, perché la Milano-Serravalle e la A 26 che la collegano con il Nord Ovest garantiscono il contatto con i suoi grandi bacini non solo commerciali, ma anche turistici. Ma è difficilmente raggiungibile per le migliaia di Tir che alimentano i traffici del porto e che ora riempiono in code ininterrotte la vecchia “Camionale” e si mettono in fila dal casello di Genova Sestri Ponente, dove l’autostrada A10 finisce contro il muro dello sbarramento, un chilometro prima della voragine, che si è aperta sotto le ruote degli sventurati del 14 agosto.

E’ difficilmente raggiungibile dai treni che caricavano in porto vagoni e vagoni di container e che non possono più passare per la Valpolcevera, chiusa dal muro del ponte, dove le linee ferroviarie sono troncate e ci vorranno quindici giorni dopo la messa in sicurezza della valle, che non si sa quando ci sarà, per riprendere i loro viaggi così preziosi non solo per l’economa di Genova, ma per quella del Paese che ha qua il suo porto principale e i traffici da difendere contro la concorrenza non solo di Livorno, la Spezia, ma dei grandi porti del Nord Europa.

E poi sotto quel ponte e intorno ci sono 1200 aziende, censite dalla Camera di Commercio di Genova, che vivono enormi problemi. Sono grandi aziende, come Ansaldo Energia, piccoli imprenditori da 15 dipendenti e piccoli esercizi commerciali, che sono stati “disconnessi” dal loro territorio e ansimano, rischiano di collassare: i 1500 dipendenti del colosso Ansaldo Energia che hanno prolungato le ferie perché non si sapeva come farli arrivare in fabbrica e il piccolo negozio che non ha più clienti, perché non arrivano, non riescono a arrivare. La strada di sopra è chiusa, quella di sotto è piena di traffico.

E così avviene per il merciaio di via Fillak o per il colosso Ikea o per Maison du Monde o Decathlon, grande distribuzione, che vedono tranciarsi il loro affari, dimezzati, forse di più.

Lancia pure segnali di allarme la grande attrazione di Genova, che è l’Acquario, gestito dalla Costa Edutainment che ha visto crollare i suoi clienti. Ne aveva 8000 al giorno in questo periodo, sono scesi a 4000 e il presidente, il neo Cavaliere del lavoro Beppe Costa, della storica famiglia, annuncia che chiederà i danni. A chi? Ma alle autostrade, ovviamente, cui si ascrive la responsabilità del crollo in quanto concessionario, mentre i magistrati del pool sulla tragedia macinano carte, esperti, perizie, interrogatori nel processo forse più complicato che il palazzo di Giustizia genovese abbia mai affrontato, tra ricerca di responsabilità, pareri tecnici, indennizzi, risarcimenti e decisioni sul filo, per non ostacolare le operazioni di ripresa, che passano sempre sopra “il corpo del reato”, quel mozzicone di ponte sospeso sulla città e spezzato, quelle macerie sul greto del fiume per ora secco, ma in preoccupante attesa delle piogge autunnali.

Dalla coda di automobili che avvolge come una spira il Ponente della città arrivano messaggi disperati di chi deve andare a lavorare, tra poco di chi andrà a scuola e ieri ci metteva dieci minuti e domani ci impiegherà un’ora. “Usate il treno”, “Non usate da soli la macchina”, “Prendete i bus gratis”, raccomandano il sindaco e i responsabili del traffico, mentre il piccolo metrò di Genova che arriva quasi sotto il ponte ha raddoppiato i suoi passeggeri.

Di notte si accendono le fotoelettriche per far lavorare i cantieri che allargano strade, come il Lungomare Canepa, la via che scorre dietro i grandi terminal portuali di Sampierdarena, l’unica arteria, a parte le strette vie della delegazione, che consente di arrivare verso le banchine e di collegarsi alla Sopraelevata e quindi saltare verso il centro di Genova, là dove il sindaco rende conto del calvario della sua città e gli si spezza la voce.