Genova e Savona, Claudio Burlando vs Federico Berruti: Matteo Renzi chi sceglie?

di Franco Manzitti
Pubblicato il 15 Luglio 2013 - 10:01 OLTRE 6 MESI FA
matteo renzi

Matteo Renzi (foto Ansa)

GENOVA – Va bene che tra Savona e Genova non è corso mai buon sangue, almeno da quando la Repubblica interrò il porto della città rivale, tanto per chiarire chi dominava sul Mar Ligure e Oltre. Va bene che nei secoli seguenti a quello scacco, Savona fu molto più supina ai Savoia, più maledetti dalla Suberba che dalla capitale savonese, il cui centro cittadino sembra “timbrato” urbanisticamente dall’architettura piemontese.

Ma chi si aspettava che all’alba del terzo millennio i leader delle due città si mettessero a litigare per conquistarsi i favori di un doge toscano, quale il Matteo Renzi?

Eppure in Liguria, nello scatafascio della politica di oggi, tra un Beppe Grillo genovesissimo che tempesta tutti dalla collina di Sant’Ilario e un Crozza, altro comico zeneise che, destra e sinistra, prende tutto in giro dal tubo catodico, questo sta succedendo: una nuova guerra di confine.

Chi è il più renziano del reame? La bega scoppia tra il sindaco di Savona, Federico Berruti, un ultraquarantenne, primo cittadino da sette anni, in gioventù socialista duro e puro, oggi Pd convinto, anche se un po’ lib lab e Claudio Burlando, il presidente della Regione, che ha sulla schiena un curriculum tanto lungo come nessuno nelle fila del Pci, Pds, Ds, Pd, della Quercia e dell’Ulivo: assessore, sindaco, ministro, dirigente nazionale e ora da sette anni Governatore della Liguria.

Berruti è, in realtà un renziano della prima ora. Non solo, fa parte del gruppo ristretto che ha aiutato il decollo del sindaco di Firenze, quando anche a Genova il Renzi lo snobbavano, manco fosse uscito da uno dei gironi infernali del suo concittadino Dante.

Mentre a Genova Burlando, già presidente della Regione e l’allora sindaco Marta Vincenzi, relegavano il sindaco di Firenze negli sgabuzzini a presentare il suo primo libro sulla rottamazione (febbraio 2011), ben saldi nella loro roccaforte rossa, Berruti, cinquanta chilometri più in là, già lavorava in sintonia con il suo quasi coetaneo fiorentino, limando programmi e studiando strategie.

Quando, con un certo clamore, nel novembre dello stesso anno, Renzi nel suo primo supertour per le Primarie perse contro Bersani, a bordo del suo camper, rimbalzò da Albenga, provincia di Savona, dentro a uno stracolmo Teatro della Corte Genovese, Burlando manco ci pensava ed anzi a lui, ex figlioccio di Massimo D’Alema, quel ragazo-sindaco che saltava con le snikers ai piedi sulle assi del palcoscenico, invocando la rottamazione e subito, incendiando la sua prima platea zeneise, proprio non interessava.

Non aveva mandato neppure uno dei suoi colonnelli o sergenti a controllare l’esplosione vulcanica.

Ma oggi che tutto si è capovolto, che Renzi cavalca verso la leadership del Pd, che il partito sta nelle mani del Reggente Epifani, e che ci avviamo a Primarie un po’ diverse dalle ultime, dove se ne stavano tutti coperti sotto l’ombrello di Pierluigi Bersani, ecco la folgorazione sulla via non di Damasco, ma di Firenze.

Improvvisamente il Governatore ligure, esperto navigatore della politica della Prima, della Seconda e della Terza Repubblica, fa una bella virata e Renzi diventa subito confidential “Matteo”, non solo, ma come un vero agit prop il presidente della Regione Liguria annuncia che sta consultando uno a uno i sindaci liguri a lui vicini per farli salire sulla barca di Matteo.

E, seconda mossa di inversione a u, uno degli assessori più fedeli a Burlando, Raffaella Paita, una vera e propria zarina, moglie del presidente dell’Autorità Portuale genovese, Luigi Merlo, spezzina come lui, quindi di quella razza politica e geografica, che sta dominando la scena ligure da sinistra, annuncia di avere scelto Renzi.

Anche lei faceva parte della roccaforte bersaniana, avendo timbrato una carriera folgorante, da semplice segretaria dello storico sindaco di Spezia, Giorgio Pagano, al vertice regionale, con la promessa sottintesa di essere la prossima presidente della Liguria, dopo lo stesso Burlando, che ha già comunicato di non puntare più a un terzo mandato regionale, mica è Formigoni, e nel suo futuro vede altri orizzonti, magari nazionali, magari nella squadra di Renzi….

Sembra che il link difficile da fare scattare tra l’introverso Burlando, figlio di camalli, con la tessera del Pci in tasca da quando ancora aveva i pantaloni corti, ex enfant prodige di Occhetto&D’Alema da una parte e dll’altra Renzi, ex boy scout, cattolico, democristiano, show man dalla lingua tagliente e iperveloce, capace di recitare tre Canti dell’Inferno e del Paradiso, mentre Burlando riesce a articolare quattro “insomma”, intercalare classico del suo eloquio molto zeneise, lo abbia fatto scattare Oscar Farinetti, il patron di Eataly, grande sponsor e finanziatore del rottamatore e in sintonia con il genovese, sopratutto dopo le aperture della sua mega casa dal grande marchio anche a Genova nel Porto Antico di Renzo Piano e a La Spezia.

Tout se tien, quindi, tra Spezia e Genova, che ora hanno il vento in poppa verso Renzi, con il duetto Burlando-Paita, in un gioco a incastro che già prevede le future collocazioni?

Tutto si terrebbe, se non ci fosse il renziano della prima ora, appunto il savonese Berruti, rispetto al quale Renzi ha notevoli crediti. Chi gli ha aperto lo scrigno della Liguria se non il sindaco di Savona, non certo Genova che lo trattava fino a pochi mesi fa come un saltimbanco?

E poi Berruti ha anche lui una prospettiva davanti, terminato il suo secondo mandato di sindaco o magari anche un po’ prima, se le esigenze lo richiedessero: correre per governare la Liguria. Chi meglio di lui che ha fatto bene il sindaco ed ha la fiducia del futuro capo?

La guerra Genova-Savona, con il trono regionale in palio e un ruolo futuro per l’ immarcescibile Burlando, ovviamente non si svolge a cannonate come ai tempi dell’interramento del porto savonese, che poi nella storia le sue vendette se le è riprese ed oggi è diventato l’home port della megaflotta Costa Carnival, scippandola ai moli della Lanterna, ma con sottili stilettate.

Burlando annuncia la sua azione pro Renzi e Berruti gli risponde che quel lavoro di sensibilizzazione sulle nuove idee e programmi per il Pd lui lo sta facendo da anni. La bella zarina Paita, una che non è strategicamente mal messa tra il porto nelle mani del consorte e la Regione che Burlando le vorrebbe lasciare in eredità, esce allo scoperto con la sua professione di fede renziana e Berruti replica, piccato, che è troppo facile salire ora sul carro del vincitore.

Tutti si scherniscono pubblicamente, strombazzando che poi chi vota sono i cittadini che vanno alle urne e scrivono il nome del prescelto sulla scehda, mica i bigs che si schierano ( parole di Burlando), ma in realtà la partita o lo scontro è senza esclusione di colpi.

In Liguria, dove l’opposizione alla sinistra di governo che regna ovunque da Ventimiglia a Spezia, incluso Imperia, ex reame di Claudio Scajola, esclusa la ricca e riservata città di Chiavari, in mano a un ex forza italiota oggi Pdl Roberto Levaggi, il vero scontro è dentro al Pd, alle sue diverse anime e tra quelle che Eugenio Scalfari ha appena chiamato “fazioni” nel suo articolo domenicale su Repubblica.

La prima posta in palio è la Regione nel 2015, dove l’attivista Burlando si muove in anticipo cercando di piazzare bene le sue pedine, ma il gioco è già molto più largo, a incominciare dalla stessa città di Genova. Qui il sindaco Marco Doria, eletto tredici mesi fa da una coalizione di centro sinistra allargata e oramai largamente riveduta, che scelse lui indipendente Sel, vacilla come uno dei pilastri della saggezza politica perduta.

La crisi sta divorando Genova, che non riesce a fare nessuna scelta sul suo futuro, paralizzata dalle emergenze ed anche dalla caparbietà del sindaco che non molla nella sua politica di decrescita felice e sbarra la strada alle grandi opere, che potrebbero scuotere un disastro occupazione e un declino industriale inarrestabili: la Gronda, una tangenziale già finanziata da Autostrade, già approvata con il Via ambientale del Ministrero e il Terzo Valico, la linea ferroviaria veloce tra Genova e Milano, diventato il paradigma dell’incapacità di decidere.

Ma in Comune, dove siedono già cinque grillini, eletti appunto un anno fa, Renzi e i suoi epigoni non ci sono ancora. Anche qui, come in Regione e come a Spezia, si aspettano le prime conversioni, che non tarderanno.