Genova sceglie il sindaco numero 13: ce la farà Doria al primo turno?

di Franco Manzitti
Pubblicato il 7 Maggio 2012 - 08:24 OLTRE 6 MESI FA

Sotto un cielo grigio da quasi un mese, macaja appicicata ai tetti e alle colline, la cosidetta Superba è andata a votare in un clima quasi surreale. Si deve scegliere il sindaco numero 13 del Dopoguerra, il quarto direttamente eletto dei cittadini, dopo il pretore Adriano Sansa, l’avvocato Giuseppe Pericu, la prof Marta Vincenzi e un po’ per colpa del clima, un po’ per colpa delle condizioni generali del paese, questa volta sembra tutto diverso e più incerto.

Sono chiamati alle urne in 502 mila e nella prima giornata siamo andati sotto al 50 per cento dei votanti, con una percentuale inferiore a quella della tornata precedente.
Vuol dire che alla fine il sindaco numero tredici potrebbe essere scelto da meno di trecentomila genovesi, esattamente la metà della popolazione dell’ultimo censimento. Gli aruspici non danno più interpretazioni sul significato del calo votanti: chi colpisce di più, che segnale è, come misura l’antipolitica? Troppo difficile capire nel marasama di 13 candidati sindaci, mille candidati consiglieri, una quarantina di liste, in maggioranza civiche, staccate più o meno dai partiti. La scheda elettorale azzurrina è tanto grossa che i presidenti di seggio nella prima giornata hanno avuto come problema numero uno quello di farle stare dentro all’urna. Erano più grandi del solito di un bel po’ e, sopratutto, non erano spesso piegate correttamente.
La suspense del risultato non riguarda certo queste interpretazioni e queste difficoltà, ma un paio di interrogativi-chiave che investono la tenuta dei due partiti architrave, il Pd e la Pdl, pronosticati in calo pesante di consensi e l’eventualità che Genova vada per la seconda volta nella storia a un ballottaggio.
Riuscirà il candidato Marco Doria, figlio del marchese diseredato, discendente “per li rami” intricati della storia genovese di quell’Andrea Doria che “lavorò” per Francesco I di Francia e per Carlo V di Spagna, a evitare il testa a testa? E se non lo eviterà, chi sarà il contendente: il collega professore a Economia, Enrico Musso della lista civica Oltremare, appoggiato dal Terzo Polo di Casini e C, che giocano su di lui una partita non da poco per il futuro “centrista”, o sarà Pierluigi Vinai, il candidato Pdl, ex fattorino della Dc, che è arrivato alla sfida dopo una carriera in gran parte spiegata dalla sua adesione fervida e appassionata all’Opus Dei che, insieme al suo diretto datore di lavoro l’ex ministro imperiese Claudio Scajola, lo aveva issato, a soli 39 anni, alla vicepresidenza della potente Fondazione bancaria Carige?
O ci sarà una grande sorpresa con i grillini, la lista Cinque Stelle che abbassando la quota di voti del Doria, capaci di salire oltre il 10 per cento?
La macaja pesante degli ultimi giorni, i bollettini gravidi di paure della Protezione Civile, che annunciano nuove piogge torrenziali, perfino nella zona dell’ultima tragica alluvione, non hanno spento né attutito le polemiche della coda di campagna elettorale, anche durante il giorno del silenzio elettorale. Si è andati a votare in una domenica nella quale il prete ribelle don Paolo Farinella, autore di una insistente campagna personale a favore di Doria, dal pulpito della sua chiesa nei caruggi e sui mezzi di comunicazione, ha infranto i comandamenti del suo vescovo. Il prete ha insistito, invitando a votare Doria, malgrado l’ingiunzione di Bagnasco che aveva raccomandato ai suoi preti di non dare indicazioni precise di voto.
Il reverendo, anche collaboratore della rivista Micromega, ha spiegato che non si sente in stato di censura rispetto alla Curia e che la sua azione a favore del candidato del centro sinistra fa parte delle iniziative pastorali che un buon parroco deve esercitare, quando si trova ad aiutare le sue pecorelle smarrite nelle difficoltà dei tempi moderni e nella crisi profonda economica e morale della società.
Il caso dei “preti ribelli” e del ruolo della Chiesa ufficiale di fronte alle elezioni e alla politica è diventato centrale nella domenica genovese elettorale. Non solo perchè don Farinella insiste, alla faccia di ogni regola di par condicio e di silenzio nel giorno del voto, ma perchè a livello molto più generale il suo arcivescovo, il cardinale Angelo Bagnasco, è coinvolto in una dura polemica nel suo ruolo di presidente della Cei. Lo accusano di essere orientato versoo la Pdl, quasi in contrapposizione alla tatatica del Vaticano e del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, molto più favorevoli al governo Monti che non al partito berlusconiano e alle sue presse di distanza dalla politica dei tecnici.
Non passa giorno che Bagnasco non “esterni” sui disagi sociali, sulle necessità di spingere misure verso la crescita, che non chieda una politica più concreta per il lavoro. E che sembri sempre più critico verso il governo di Roma.
Tradotta in genovese e rispetto alle elezioni locali, questa politica del presidente Cei, tanto forte da meritare un ampio servizio domenica sulle pagine di “Repubblica”, a firma di Claudio Tito, significa un assist al candidato Pdl, quel Vinai di grande fede cattolica e “figlio” dell’Opus che non a caso ha fatto tutta la sua campagna schierandosi, per esempio, duramente contro l’Imu?
Il palcoscenico genovese, con un arcivescovo così esposto da una parte a contenere i suoi preti ribelli (oltre a Farinella c’è anche il celebre don Gallo, un vero agit propr per Doria, come Blitz ha raccontato) e dall’altra a spalleggiare, stando nei limiti di forma e di stile di un principe della Chiesa, una parte e un candidato rispetto agli altri, diventa molto più largo ed esposto. Tanto esposto che ci sarebbero state proteste informali ma ferme verso il Vaticano e la segreteria di Stato da parte del Governo. Insomma si sarebbe riattizzato il derby che si gioca da tempo tra Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Genova e il suo predecessore, che mantiene contatti costanti con la sua vecchia diocesi. Genova e la sua contesa elettorale potrebbero essere un episodio significativo di questo scontro.
Ma sotto la macaja pesante, in attesa della tramontana capace di spolverare da Nord con le sue raffiche i caruggi e i moli del grande porto genovese, altre grane infiammano la viglia della sentenza e riguardano proprio il discendente del grande ammiraglio Andrea Doria. Diseredato, come il padre Giorgio che fu privato dell’eredità, perchè aveva aderito negli anni Cinquanta al Pci? Manco per idea. Nelle fasi finali della campagna elettorale sono emersi, grazie alle inchieste de “Il Secolo XIX”, le manovre immobiliari di Doria, ancora proprietario di molti beni al sole, malgrado le scomuniche famigliari. In particolare sono state svelate le variazioni catastali che Doria avrebbe apportato, attraverso i suoi consulenti , alla principale proprietà ereditata: il famoso palazzo di via Garibaldi un vero gioiello, protetto dall’Unesco. Grazie a queste variazioni che hanno modificato il “titolo” di queste proprietà, da uffici ad abitazioni eccetera eccetera, si inciderebbe sulle aliquote che saranno applicate al momento di pagare l’Imu.
E’ chiaro che non sono manovre di un diseredato e che chi le compie è un “rentier”, non, quindi, il candidato ideale di una sinistra allargata molto verso le ali estreme dello schieramento. Nei quartieri periferici della città in Valpolcevera e sulle colline dei quartieri di edilizia popolare spinta, la eco di quelle manovre “speculatire” non sembra avere suscitato grandi entusiasmi e, anzi, il filo della disaffezione al voto sarebbe alimentata da queste rivelazioni. Mentre nei salotti radical chic della città, dove Doria è stato invitato a pranzi e riunioni molto compunte da nobili dame e cavalieri, tutta quella attenzione nel proteggere i propri beni avrebbe rafforzato la decisione di “saltare il fosso “ e di andare a segnare sulla grande scheda azzurrina proprio il nome del candidato democrat.