Ilva, Genova beffata dal Governo, abbandonata dai politici

di Franco Manzitti
Pubblicato il 30 Gennaio 2016 - 12:12 OLTRE 6 MESI FA
Ilva, Genova beffata dal Governo, abbandonata dai politici

Maria Teresa Canessa, vice questore in assetto anti sommossa, si è tolta il casco e ha evitato lo scontro

GENOVA – Ilva: Genova presa in giro, il Governo nomina la mediatrice e subito la cambia di posto. Ilva: un nome che fa tremare i politici. Infatti si sono dati tutti alla latitanza: Marco Doria, sindaco, Giovanni Toti, presidente della Regione, Andrea Orlando e Roberta Pinotti, ministri. Sono rimasti, titani dell’era dei giganti, i capi del sindacato, un sindacato che quasi non c’è più: Bruno Manganaro, Claudio Palombo, Franco Grondona.

Tre giorni di cortei duri, la città di Genova bloccata, spaccata a metà dalle barricate organizzate dalla Fiom per ottenere un incontro con il Governo sul futuro dello stabilimento di Cornigliano e alla fine una presa in giro. Il sottosegretario indicato da palazzo Chigi per l’incontro, Simona Vicari del Ministero dello Sviluppo Economico è stata spostata, nel rimpastino del 29 gennaio, alle Infrastrutture. E allora? I ribelli della Ilva, il sindacato Fiom che gestiva la protesta, giunta al limite dello scontro fisico con la polizia, aveva ritirato le truppe davanti al nome di quel sottosegretario, scritto su un foglio dal prefetto, un’altra signora di Genova, sua eccellenza Fiamma Spena. L’incontro è fissato per il 4 febbraio. Salterà e torneranno in piazza gli operai metalmeccanici di Genova?
Aveva deciso da sola “di istinto” di levarsi il casco azzurro davanti alle proteste, alle invocazioni di quel muro di operai metalmeccanici, che urlavano contro la polizia. Lo aveva tolto insieme alla maschera anti lacrimogeni e lo aveva alzato, stringendo contemporaneamente la mano al sindacalista più vicino. A quella mossa di Maria Teresa Canessa, 41 anni, vice questore aggiunto a Genova, un curriculum da vice capo della Squadra Mobile, sposata, tre figli gemelli, la grande tensione che contrapponeva ai poliziotti gli operai in corteo, con i monumentali mezzi meccanici dello stabilimento di Cornigliano, enormi pale con benne, grandi camion, trattori, gru alte come mezzo palazzo, si è tradotta in un applauso sdrammatizzante.

In quel momento la distanza tra i caschi blu della Polizia e quelli gialli e rossi degli operai e i beretti di lana dei sindacalisti, calati quasi sugli occhi, era di centimetri, davanti al muro delle autoblindo militari posteggiate una accanto all’altra per bloccare Lungo Mare Canepa, quella strada di Genova dove si riassume tutto, all’ombra vicina della Lanterna, il porto commerciale con i suoi terminal, il via vai dei Tir, carichi di container, sullo sfondo lo stabilmento siderurgico di Cornigliano, dimezzato dal 2005, quando hanno spento l’altoforno e mantenuto la lavorazione a freddo.

Per quello Maria Teresa Canessa e gli altri duecento poliziotti, con gli scudi, i manganelli Tonfa anti sommossa, i lacrimogeni in canna erano lì davanti agli operai.

Milleseicentoquaranta dipendenti dell’Ilva di Cornigliano, l’insediamento più grande dopo quello di Taranto, che avevano occupato da tre giorni la fabbrica e con loro, sotto le bandiere della Fiom (Cisl e Uilm dissidenti), quel giorno del casco di Maria Teresa, tutti i metalmeccanici genovesi che si erano aggiunto, come piccoli rivoli rimasti da un fiume di fabbriche, oggi defunte o chiuse, o trasferite altrove, stavano a difendere un accordo firmato nel 2005 dal governo, dagli enti locali e dall’Ilva, allora nelle mani totali del patron Emilio Riva, che garantiva i loro salari e tutti gli accordi di un pacchetto complesso con il quale Genova usciva da una specie di incubo, rinnovando la concessione all’industriale lumbard, in cambio dello spegnimento dell’altoforno e delle cookerie inquinanti.

“ L’ho fatto per istinto” diceva la vice questora Canessa, spiegando al circo mediatico piazzato in quella Striscia di Gaza che era diventato il Lungomare Canepa, luogo del muso a muso di operai e polizia. E tutti le battevano le mani sulle spalle e Bruno Manganaro, segretario Fiom, il condottiero della ribellione, con il casco giallo in testa, poteva insistere sul suo telefonino per convincere il prefetto a lasciar passare gli operai in corteo, ma senza mezzi meccanici, per arrivare in delegazione nel palazzo del governo e ottenere la garanzia che il governo avrebbe tenuto conto degli accordi.

“Pacta sunt Servanda” era scritto da tre giorni sullo striscione curiosamente in latino di apertura dei cortei che trafiggevano la città.

Tutti i giornali del giorno dopo, tutte le televisioni e tutti i video, sparati su ogni sito web avrebbero immortalato quel gesto di Maria Teresa Canessa, come la svolta che permetteva di uscire da un possibile scontro fisico tra polizia e operai, qualcosa che in Italia non si vede da decenni, e che avrebbe incendiato una città prostrata già da mille emergenze e da tre giorni paralizzata nel suo traffico, ma anche incredibilmente solidale con gli operai.

Solo poche proteste tra automobilisti ingabbiati per ore e ore in code senza remissione davanti al muro dei blocchi, anzi parole di totale condivisione sulla protesta. “Anche loro hanno famiglia, anche loro devono mangiare”, dichiaravano dai finestrini delle auto congelate nei blocchi automonilisti compresivi partecipi, per nulla infuriati per non poter tornare a casa o di perdere la giornata di lavotro.

Era come se la questione esplosiva e delicatissima dell’Ilva di Cornigliano, appendice di Taranto, una battaglia oramai di retroguardia, perchè la siderurgia è in una tempesta che potrebbe spazzare via quella italiana dal mercato con un colpo solo, fosse il riassunto del disagio complessivo della città, chiusa nei suoi problemi, soffocata dalle emergenze.

È come se il caso di Maria Teressa Canessa, poliziotta e mamma, lo avessero sollevato in quel gesto distensivo tutte le mamme e le lavoratrici che stavano intorno al corteo, ai blocchi, alla contrapposizioni dura. “Levatevi il casco, levatevi il casco”, ritmavano gli operai invitando i poliziotti a lasciarli passare, a lasciar arrivare fino in fondo la loro protesta.

Gli operai, i poliziotti, la città e in fondo la signora prefetto, una donna anche lei: in questa vicenda magari un po’ periferica, la grande assente è stata la politica, quella locale del sindaco di Genova Marco Doria, del presidente della Regione Giovanni Toti, gli assessori comunali e regionali, i diciassette deputati liguri e perfino i due ministri liguri che siedono nel governo di Roma, Andrea Orlando alla Giustizia e Roberta Pinotti alla Difesa.

Nelle ultime piazzate genovesi la politica è diventata “incorporea”, affidata solo a comunicati che i leaders preparavano nei loro uffici, per dimostrare una vicinanza alla protesta e il loro tentativo di convincere il Governo a sedersi al tavolo della trattativa. In quello che è stato l’epicentro della storia industriale-portuale genovese, la Manchester d’Italia, per la concentrazione di stabilimenti industrial portuali o la Stalingrado italiana, se si misurava la preponderenza politica del Pci e della Sinistra storica, nelle strade dove Maria Teresa si è sfilata il casco, non si è visto un solo amministratore o politico in carne e ossa. Ma neppure un reduce, un nostalgico, non soltanto nessuno del vacillante establishment di oggi, i “re tentenna” del Pd genovese, lacerato da mille problemi, i duri delle nuove Sinistre dissidenti e neppure l’ombra di un 5 Stelle di Beppe Grillo.

“Alla sezione del Pci Cabral, che aveva la sua sede accanto allo stabilimento Ilva, c’erano 1500 iscritti, oggi al circolo del Pd gli iscritti sono due “, tuonava in corteo Franco Grondona, ex segretario Fiom, figura storica del sindacalismo metalmeccanico, uno dei fondatori di Lotta Comunista, partito quasi preistorico della sinistra estrema, che resiste a tutte le trasformazioni politiche e sociali e, finiti tutti i cicli, sta in piazza con i vecchi leoni o con bande di ragazzini, probabilmente inconsapevoli di tutto, che vendono per le strade del centro città il giornale ultra marxista del partito. Solo loro per strada, perché, come aggiunge lo stesso Grondona:

“Non ci sono più forze politiche qua, anzi non ci sono “forze”, sono solo capaci di dettare comunicati al telefono. E qui tutti votano Cinque stelle”. Come dire lapide conclusiva sui decenni di dominio comunista o postcomunista.

E così nelle trasmissioni tv, che mandano in onda nei giorni dopo le piazzate, i reportage sui cortei vintage e su quell’inedito scontro sfiorato e evitato per il casco di Maria Teresa, come “Gazebo” su Rai3, quei sindacalisti, come Bruno Manganaro o Claudio Palombo e lo stesso Grondona, appaiono quali giganti della città e non come residui archeologici di un’epoca politica industriale che non c’è più e della quale lo stabilimento di Cornigliano è una specie di monumento.

Giganti capaci di trattare con le prefetture, di gestire un corteo minaccioso, di spaccare la città in due, senza che la rivolta trabocchi, di arrivare a un risultato politico, l’appuntamento con il Governo, sul quale gli amministratori locali cercheranno di agganciare il loro ruolo decisivo.

Peccato che ora tutto ricominci: intanto il cambio del sottosegretario interlocutore, destinato a trattare, che un giorno viene indicato e il giorno dopo trasferito ad altro ministero appare una beffa che dimostranza la lontananza da Roma, l’assenza della politica e non solo.

E poi l’asta alla quale il governo Renzi ha affidato il destino di tutta l’Ilva, sperando che insieme con la Cassa Depositi e Prestiti una cordata di imprenditori italiani si prenda la siderurgia di Riva. In agguato ci sono i cinesi, gli indiani, i russi, che hanno tutto l’interesse a rilevare gli stabilimenti italiani dell’Ilva, per chiuderli e inghiottire le loro quote di mercato. Allora la tempesta non sarebbe limitata al blocco di una città e non basterebbe il casco di una poliziotta che si alza al cielo, sfilandosi a fermare la rivolta.

In un rigurgito di coscienza il sindaco, indipendente Sel, Marco Doria, a caccia di una riconferma alle prossime elezioni comunali del 2017 ha fatto la Cassandra:

“Della questione Ilva, parleremo per settimane.”

Parleremo solo?