Immigrazione, i numeri veri contro le fake news: il sociologo Ambrosini smonta l’invasione

di Franco Manzitti
Pubblicato il 12 Aprile 2019 - 05:22 OLTRE 6 MESI FA
Immigrazione, i numeri veri contro le fake news: il sociologo Ambrosini smonta l'invasione

Immigrazione, i numeri veri contro le fake news: il sociologo Ambrosini smonta l’invasione (Ansa)

ROMA – Quella dell’immigrazione, della relativa emergenza, del clima che si è creato intorno, è la più pericolosa fake news che una parte del mondo politico ha recentemente creato, sostenuto, continuamente alimentato, storpiando la realtà, ma influenzando in questo mondo l’opinione pubblica e “dirigendola” verso un risultato elettorale costruito con la raccolta di un consenso conquistato a buon mercato, proprio giocando sulle falsificazioni del fenomeno.

Questo il professor Maurizio Ambrosini, docente di sociologia alla Università Statale di Milano e uno dei maggiori esperti italiani in materia di immigrazione, non lo dice, ma traspare in modo evidente dalle sue analisi e dai numeri reali del fenomeno immigrazione, un “movimento” globale che scuote l’intero pianeta e non è certo limitato alla nostra sofferente area europea e italiano-mediterranea, dove continuano le polemiche sui “porti chiusi”, dove si consumano le odissee delle navi che salvano la vita ai disperati e restano in balia del mare, galleggiando tra i porti chiusi e le decisioni perentorie del governo italiano, del suo ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Di fronte all’immigrazione e alle sue epocali problematiche il governo italiano usa gli slogan dei “porti chiusi”, dell’ ”aiutiamoli a casa loro”, dell’ ”invasione”, attacca l’Europa che ci ha lasciato soli sulla sponda del Mediterraneo, blocca le Ong e strombazza che “la pacchia è finita”.

Se si ascolta Ambrosini e si segue il suo ragionamento, l’analisi “rinforzata” dai numeri veri delle statistiche ufficiali e mondiali, il panorama dell’invasione cambia molto e sopratutto cambiano le proporzioni del fenomeno su scala internazionale che rientrano in una dimensione molto diversa.

“Intanto, chi è l’immigrato?”, si chiede Ambrosini, cercando nella definizione una posizione che possa classificare meglio tutto il fenomeno.

“Possiamo definire immigrati coloro che si spostano, attraversano un confine e restano nel nostro ambito da almeno un anno”, spiega il professore, cercando una definizione certa.

Chissà perché non consideriamo immigrati, per esempio, i giapponesi che sempre più spesso sono presenti nel nostro territorio e neppure gli studenti americani che sono qua magari a fare uno stage……..Sono immigrati i calciatori, provenienti da tutto il mondo, che giocano nei nostri campionati?

“La realtà è – dice Ambrosini – che sono classificati immigrati solo i poveri, perché in qualche modo “la ricchezza sbianca”, se possiamo usare questa formula per definire il fenomeno della diversa percezione rispetto allo straniero ricco o in buone condizioni economiche”.

Un altro grande equivoco è creato dalla notizia, fortemente sostenuta, che il fenomeno dell’immigrazione stia aumentando drammaticamente nei nostri confini e che si connoti principalmente con il fatto che “gli invasori sono provenienti prevalentemente dall’Africa, sono in grande maggioranza maschi e musulmani, arrivano dal mare e costituiscono un danno pesante per le finanze italiane”.

Basta leggersi una statistica Istat per smentire uno per uno questi “luoghi comuni”, così assiduamente diffusi. Negli ultimi 4 anni il fenomeno è stazionario, la cifra stabile del “peso” immigratorio in Italia è di 5 milioni e mezzo, gli “irregolari” sono 500 mila e non sono affatto più numerosi di 20 anni fa.

Secondo il professore, che studia minuziosamente il fenomeno, uno degli aspetti meno analizzati per dargli una dimensione reale e non fantastica è quello della famiglia, così in voga anche nel dibattito italiano, dopo il convegno di Verona: uno dei motori dell’immigrazione è prevalentemente il ricongiungimento famigliare.

Si può dire che la famiglia è il motivo principale dell’immigrazione.

L’altra grande sorpresa della analisi scientifica è che la maggior parte degli immigrati sono europei e cristiani. Questo è l’effetto della caduta del muro di Berlino che ha scongelato i confini del vecchio Continente dal 1989, modificando in modo dirompente i flussi “interni” che la cortina di ferro riduceva quasi a zero.

Oggi si può dire che in Italia il 49 per cento dell’immigrazione è donna, prevalentemente europea e svolge il ruolo di badante. Altro che nero e mussulmano!

Non solo, introducendo una analisi più economica si può sostenere che due milioni e 400 mila immigrati pagano le tasse e solo il 4 per cento è pensionato, diversamente da quanto viene fatto emergere nelle polemiche secondo le quali il peso pensionistico è uno degli scandali innescati dalla presunta “invasione”.

A questo punto, davanti a questa realtà documentata e che si può arricchire di altri dati, come quello che almeno 850 mila figli di immigrati sono regolarmente alunni della nostra scuola, Ambrosini si chiede come si spiega una così clamorosa distorsione della realtà: perché tutti sovrastimano il fenomeno e perché ciò avviene ancora di più in Italia?

“Si pensa e si afferma da più parti che nel nostro Paese – dice il professore – gli immigrati sono circa 12 milioni e rappresentano quindi il 26 per cento della popolazione attuale. Assurdo.”

La risposta basata sui dati reali è semplice: “Quella esagerazione, esasperata con numeri fasulli è lo specchio delle nostre paure. L’Istituto Cattaneo, che ha studiato a fondo l’immigrazione, spiega che chi è ostile agli immigrati ne vede tantissimi, chi è sovranista vede dilagare il fenomeno e semina il terrore degli sbarchi, configurando l’invasione incontrollata e senza freni”.

“Gli immigrati regolarizzati sono intorno ai 5 milioni e il loro “status è il frutto di ben 7 regolarizzazione, definite“sanatorie”, che i governi italiani hanno democraticamente varato – osserva Ambrosini – Sarà utile ricordare che le più numericamente consistenti di queste sanatorie sono state decise proprie dai governi di centro-destra che oggi denunciano: la famosa Bossi-Fini, firmata da un governo Berlusconi, ha regolarizzato 680 mila immigrati, la legge Maroni ne ha portati nell’alveo della regolarità 800 mila.”

Non solo sanatorie, ma anche altri provvedimenti del governo italiano hanno gestito il fenomeno, semplificando un ingresso che è molto difficile continuare a classificare “invasione”. Sempre Berlusconi-Maroni hanno tolto i visti per entrare in Italia dall’Albania e nel 2017 Minniti e Gentiloni hanno compiuto la medesima operazione per chi arrivava dall’Ucraina e dalla Moldavia.

Secondo Ambrosini un altro equivoco deve essere chiarito: quello che lega strettamente l’immigrazione alla povertà, nel senso che_ secondo questa deformazione della realtà_ chi arriva in Italia da immigrato parte necessariamente da paesi poveri. Allora perché i poveri sono molti di più di quelli che arrivano e perché non emigrano tutti?

Se si leggono le statistiche e le classifiche dei paesi dai quali in Italia arriva il maggior numero di immigrati, si scopre che sono in ordine: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine.

Si tratta di paesi “intermedi”.

E dove è allora l’Africa, il Continente che rovescia verso l’Italia una sistematica invasione? “Bisogna sempre sottolineare – aggiunge Ambrosini – che per partire occorrono risorse non indifferenti. E’ più facile trovarle nei paesi medi o intermedi che in quelli poveri.”

Poi ci sono le emigrazioni ambientali, quelle spinte dalle catastrofi naturali, la siccità, la fame, gli eventi disastrosi, che mutano repentinamente le condizioni di vita. Anche in questo caso bisogna “misurare” con attenzione: un contadino del Sahel, che ha perso il raccolto, non arriva qua, attraversando i deserti e imbarcandosi verso la costa italiana. Per farlo ci vogliono non solo risorse economiche, ma anche una catena di contatti, di relazioni.

Inoltre anche il tema dei rifugiati merita un chiarimento, a partire dal loro numero complessivo nel mondo, che è di 68 milioni e mezzo. Di questi 40 milioni sono rifugiati “interni”. Di questi 68 milioni l’Ue accoglie solo il 13 per cento.

Anche in questo caso i numeri ufficiali chiariscono molto bene l’impatto: la Turchia ne accoglie 3,5 milioni, il Pakistan 1,4, l’Uganda 1,4, il Libano 1 milione, l’Iran 0,98, la Germania 0,97. Su mille abitanti in Libano 164 sono rifugiati , a Malta lo sono 19 su mille, in Italia 6 su mille abitanti.

Ambrosini affronta anche il tema degli immigrati italiani, dei nostri concittadini che, appunto “emigrano”, un fenomeno che continua e che si può calcolare in circa 100 mila soggetti all’anno. In questa forma di immigrazione italiana verso l’estero c’è molto di nuovo rispetto al passato che ha portato tra l’ Ottocento e il Novecento oltre 50 milioni di italiani fuori dai nostri confini. Oggi si può stimare che gli italiani all’estero siano circa 5 milioni.

Il dato serve a dimensionare tutto il fenomeno e a collocarlo nelle giuste proporzioni: in Italia si sono circa 5 milioni di immigrati stranieri e gli italiani in questa posizione nel mondo sono la stessa cifra!

Altri dati “forti” sono il numero degli immigrati che lavorano per le famiglie italiane: sono 1 milione e 600 mila dei cinque milioni e mezzo del dato complessivo.

Spesso passa, o viene fatta passare da quella facile propaganda così esagerata, l’idea che la maggior parte degli immigrati in Italia arrivino dall’Africa: niente di più sbagliato. Sono poco più di 1 milione. Eppure fanno paura e incidono sulla sensazione di sicurezza che l’italiano prova.

Come si spiega? Ambrosini cita il grande filosofo svedese Zigmund Baumann, il “padre” della “società liquida”, recentemente scomparso, che aveva analizzato bene questa sensazione di insicurezza, calcolando in quale misura è diminuita negli ultimi anni-decenni.

Le ragioni – secondo Baumann – sono da ricercare anche nelle minori certezze morali, nella secolarizzazione delle società, nella difesa della propria incolumità, malgrado il numero dei reati sia diminuito.

“Gli immigrati sono diventati il nemico, il capro espiatorio della nostra insicurezza – dice Ambrosini – l’africano è quello che temiamo, mentre molto più prosaicamente sono le politiche economiche di Wall Street, le bolle speculative finanziarie che ci hanno messo in crisi”.

La paura dell’invasione, il timore di essere circondati dal nemico in casa propria – dice ancora il professore – ci porta a temere di continuare a vivere in certi quartieri delle città, ritenuti pericolosi, “invasi” dagli immigrati. Sono, molto spesso i quartieri dove siamo nati, dove abbiamo le radici e ora sono diventati un territorio terribilmente ostile. Perché? Semplicemente perché vogliamo tenere una distanza tra noi e “quella” povertà, che loro, gli invasori, ci rappresentano e ci portano sulla porta di casa. E’ la competizione con loro che ci spaventa: abbandoniamo quei quartieri anche perché abbiamo paura di apparire come loro, lasciamo i mestieri che ci occupavano, se sono simili ai loro. “ Divento un fallito, se abito nella strada dove vivono loro”_ è il ragionamento che facciamo e che certifica l’”invasione”..