Mario Sossi, fiction Rai e segreti dopo 40 anni esatti

di Franco Manzitti
Pubblicato il 17 Gennaio 2014 - 11:28 OLTRE 6 MESI FA

Mario Sossi, fiction Rai e segreti dopo 40 anni esattiROMA – Un giudice “spezzato” Mario Sossi, il dottor “Manette” di quaranta anni fa, lo è sempre un po’ sembrato, anche prima che le Brigate Rosse lo rapissero, il’18 aprile del 1974, nella azione che incominciò a dimostrare la loro ”geometrica potenza”. Un giudice poi definitivamente “spezzato” dalla sua vicenda , dal suo processo nel Tribunale del Popolo e poi dal suo ritorno a casa, dopo 36 giorni e nel suo ufficio alla Procura di Genova, palazzo di Giustizia , apparentemente come se nulla fosse accaduto e prima che per i brigatisti, per vendicarsi dal mancato scambio con i terroristi della XXII Ottobre, trucidassero il suo “capo”, il Procuratore Generale Francesco Coco, esattamente due anni e due mesi dopo, il 6 giugno del 1976, sempre a Genova.

Spezzato da quel sequestro che divise la sua vita di uomo e di giudice in due e che “dopo” lo avrebbe segnato per sempre, come colui che era stato rapito, liberato a un prezzo poi pagato in modo sanguinoso con l’omicidio di Coco, il suo “capo” e della sua scorta, gli agenti Antioca Dejana e Giovanni Saponara.

Un giudice “spezzato”, ora nella Fiction Rai, che proprio con il titolo di “Anni spezzati”, pretende di riproporci gli anni di Piombo, ricostruiti e semplificati ad uso audience, mettendo nel ruolo di Mario Sossi, alto, magro con quell’andatura pesante da alpino e l’eloquio perentorio, l’attore Antonio Preziosi, dagli occhi cerulei, uno dei superbelli della tv, prontissimo a usare il suo sex appeal nel “carcere del popolo” ricostruito da mamma Rai.

La fiction porta a galla quella storia iniziale del terrorismo brigatista proprio nei giorni in cui un grave lutto ha colpito il magistrato, oggi ottantenne, uscito dalla magistratura ed ora anche dalla avvocatura. E’ morta sua moglie, Grazia Costanzo, con la quale era sposato dal 1959, da cui ha avuto due figlie e che fu protagonista di quel sequestro per il ruolo forte che svolse nel pretendere la liberazione del marito contro i primi segnali della linea della fermezza, che spingeva lo Stato a rifiutare la richiesta Br dello scambio di Sossi con i terroristi della XXII Ottobre.

Le coincidenze a volte sono micidiali: i funerali della signora Sossi si sono svolti proprio nel giorno della messa in onda della fiction, quaranta anni dopo e nella chiesa che dista poche decine di metri dalla casa del magistrato e dal luogo in cui avvenne il sequestro, via Forte di san Giuliano, quella stradina di un quartiere residenziale che scende verso il mare, dove andò in scena uno dei sequestri più spericolati, una delle prove generali di tanti altre azioni, molto più cruente, come quella del generale americano Dozier “preso” in Veneto o come il sequestro più tragico di tutti, quello di Aldo Moro, nel marzo del 1978, quasi quattro anni dopo Sossi.

La fiction degli “Anni Spezzati”, tratta dal libro di un giornalista genovese che fece la parte iniziale della sua carriera a Genova nel “Corriere Mercantile”, e poi si impose nel gruppo dell’editore Rusconi, Luciano Garibaldi, ricostruisce abbastanza fedelmente la storia di quei 47 giorni che durò quell’atto di guerra delle Br, i terroristi che allora avevano come capo e fondatore Renato Curcio e nel nucleo originario Alberto Franceschini, il carceriere principale del magistrato genovese, Margherita Cagol, la leggendaria Mara, fidanzata sia di Curcio che dello stesso Franceschini, destinata a morire presto, giovanisssima, nel 1975, quando i carabinieri liberarono con una sanguinosa sparatoria l’industriale Vallarino Gancia, sequestrato e tenuto prigioniero in un casolare sperduto del Basso Piemonte, la cascina Spiotta.

La fedeltà alla storia, con i limiti del racconto “finto”, che deve per forza introdurre nella vicenda reale ingredienti da polpettopne ad uso pubblico e popolare di prima serata tv, finisce così per far emergere anche un particolare che era stato tenuto coperto per anni, anche durante le inchieste, i processi e i resoconti dell’epoca.

Il commando, che si era portato via Sossi sotto casa, chiudendolo in un sacco di iuta, stordendolo e poi trasbordandolo da un furgone al sedile posteriore di una A 112, facendogli fare una trentina di chilometri nell’entroterra genovese, aveva rischiato di auto eliminarsi , sparandosi addosso con un colossale equivoco che la fiction ha raccontato bene e che è inedito.

L’auto con il giudice prigioniero era, infatti, preceduta da una staffetta di una altra auto, guidata da Mara Cagol, la donna che sarebbe diventata la leggendaria “Margherita”, incappata nella serata del sequestro in un posto di blocco dei carabinieri, non preordinato alla caccia ai sequestratori.

L’azione Br era in corso solo da poche decine di minuti e non era ancora scattato un allarme tale da bloccare ogni strada in uscita da Genova. Era un controllo di routine che aveva intimato l’alt alla 128 della Cagol. L’auto con Sossi prigioniero nel sacco, alla guida il “Nero”, cioè Piero Bertolazzi, e a fianco Alberto Franceschini, che Sossi avrebbe indicato come “Il Laureato”, piombò sul posto di blocco dove era ferma la Cagol e lo sfondò, considerando la compagna oramai incastrata.

I carabinieri spararono anche qualche raffica di mitra contro quell’auto che scappava nella notte, ma dopo lasciarono andare la Cagol, che aveva documenti falsi, probabilmente ineccepibili. E così la ragazza si rimise in viaggio dietro la A 112, che i militari non si erano neppure messi a inseguire. Avevano, i militari, in dotazione un vecchio furgone che non aveva speranze di raggiungere l’auto in fuga. E si limitarono a lanciare un allarme via radio, caduto nel vuoto, o meglio nel buio di quella notte di primavera nell’entroterra genovese, che per strade poco frequentate portava verso Torriglia, il paese scelto per nascondervi la “prigione del popolo”.

In quel momento concitato – come ha raccontato lo stesso Franceschini nelle innumerevoli interviste e memoriali e deposizioni giudiziarie- il commando era oramai quasi sicuro che l’operazione Girasole (così si chiamava il sequestro Sossi nel gergo delle Br) stava per saltare.

“Stavo pensando che l’unica soluzione era buttarci nei boschi, uccidere Sossi con un colpo di pistola in testa, non potevamo farci catturare con l’ostaggio in vita, sarebbe stata una sconfitta totale per il movimento” _ raccontò Franceschini, venti anni dopo, una volta che riconquistò la libertà.

E forse la storia delle Br, che stavano incominciando a terrorizzare l’Italia, sarebbe stata deviata e non sarebbe scattato il primo scacco allo Stato che il sequestro Sossi invece scatenò, con la richiesta di scambio tra il magistrato e i terroristi della banda XII Ottobre, detenuti e condannati all’ergastolo su richiesta dello stesso Sossi.

E poi magari non sarebbe caduto sotto il piombo brigatista il Procuratore Generale Francesco Coco, che impedi quella scarcerazione della XXII Ottobre e che nella fiction Rai è uno dei protagonisti, accanto a Sossi, i suoi colleghi e, ovviamennte, i brigatisti.

Un Coco televisivo interpretato dall’attore Enrico Fantastichini, poco assomigliante nei toni al magistrato trucidato, e ancor meno fisicamente.

A volta la storia gira per particolari minimi, come un equivoco o una coincidenza casuale. Scampato il doppio pericolo della intercettazione da parte del posto di blocco, l’auto della bella Mara Cagol si avvicinò a quella dei suoi compagni, che nel buio fitto del bosco non la riconobbero e che si agitarono ancora di più, fino a fermarsi e a decidere di sparargli addosso, convinti che si trattasse di un’auto dei carabinieri.

E cosi, impugnando il suo Mab, il mitra rubato per compiere quell’azione di sequestro, Piero Bertolazzi si mise a sparare contro la 128 bianca, mentre Franceschini stava già impugando la pistola per scappare con il detenuto. Uno, due, tre colpi, che nella Fiction televisiva non raggiungono il segno, mentre la auto sbanda e si ferma al limitare di un bosco. La sparatoria cessa quando la Cagol esce urlando dall’auto: “Ma cosa fate? Ma siete pazzi?”.

Il sequestro, che stava per fallire e che poteva disinnescare la prima azione terroristica in grado di mettere al muro le Istituzioni della Repubblica, rientrò perfettamente nel suo piano iniziale e la fiction ha così potuto farci vedere Sossi-Preziosi, intontito dall’aggressione e della improvvisa detenzione, che entra nel carcere del popolo, una villetta anonima, comprata dai brigatisti, al modico prezzo di 28 milioni, nei mesi di programmazione del “colpo”. Ci resterà 36 giorni, fino a una imprevedibile liberazione.

Si è sempre molto discusso dell’atteggiamento del magistrato in quei lunghi giorni della sua detenzione, mentre l’Italia era come paralizzata dal ricatto. Il governo di centro sinistra era presieduto da Mariano Rumor, con al Ministero degli Interni, un genovese il democristiano Paolo Emilio Taviani, coinvolto dalla vicenda proprio nella sua città….Era un vero attacco al cuore dello Stato, come “urlavano” i volantini brigatisti.

La Rai ci fa vedere un Sossi molto choccato, ma che entra presto in una certa sintonia con i suoi rapitori, come se il colloquio, il processo non contrapponessero visioni duramente antitetiche: il dottor “Manette” che arrestava e condannava solo l’estrema sinistra, i brigatisti che lo accusavano di precostruire le prove contro Mario Rossi, il capo della XXII Ottobnre e di lavorare insieme ai servizi segreti, per colpire la Sinistra, il proletariato.

Un dialogo impossibile, che televisivamente si “sbobina” sinteticamente e durante il quale Sossi vuole mandare un messaggio nel quale chiede ai suoi colleghi di interrompere le ricerche e di non essere difeso da alcun avvocato. I terroristi tentennano ma poi aderiscono e trasmettono il messaggio.

Insomma Sossi e le Br si parlano e si crea quasi una complicità tra detenuto e carcerieri, nella ènclave della prigione, mentre fuori tutti trattegono il fiato sul destino del magistrato.

Il condimento da fiction, con la storia d’amore inventata di sana pianta tra un giovane sostituto procuratore, allievo di Sossi, tale Roberto Nigro e una bella giudice, arrivata a far girare la testa alla Procura di Genova e con il ruolo un po’ caricato della signora Sossi, interpretata da Stefania Rocca, non interrompe il filo dell’angoscia che attanaglia la ricostruzione.

Il clima della primavera italiana 1974, sotto sequestro Br, era quello. La fedeltà cronistica, impiantata da Garibaldi, riesce a contenere anche le svenevolezze femminili del copione televisivo e a far stare le sequenze sempre più drammatiche del sequestro nello scenario di una Genova un po’ anni Settanta e un po’ attuale, che sbuca dalle immagini da sfondo. Si vede il ministro Taviani nel bianco e nero dei vecchi Tg, nell’esercizio della fermezza di chi rappresenta lo Stato. E si vedono le Brigate Rosse perfettamente “compartimentate”, in una organizzazione militare che sarà scoperta solo molti anni e molto sangue e molti attentati dopo.

A decidere di liberare Sossi, senza attendere la scarcerazione dei cinque terroristi della XXII Ottobre, sancita clamorosamente dalla Corte d’Assise d’Appello, è lo stesso commando dei rapitori, autonomamente. I “capi” come Renato Curcio subiscono e non interferiscono, salvo decidere subito dopo il mancato scambio di vendicarsi, condannando a morte Coco. Ci vorranno due anni perchè quella sentenza venga eseguita senza sequestro, ma con un agguato fulminante, la vera dichiarazione di guerra delle Br allo stato”imperialista e delle multinazionali”.

Col sangue di Coco sulla creuza di santa Brigida, che la fiction Rai ha trasferito molto più scenograficamente sulla Spinata di Castelletto, il luogo panoramico clou della vecchia Genova, dove il poeta Giorgio Caproni immaginò il” Paradiso” conquistato salendo in ascensore dallo sprofondo dei caruggi, la puntata degli “Anni Spezzati” si conclude.

Resta di questa storia, oramai così lontana e sconosciuta dalle nuove generazioni, qualche enigma, che gli stessi brigatisti denunciarono molti e molti anni dopo. Nel commando dei rapitori c’era una quarta figura, oltre a Franceschini, Bertolazzi e Mara Cagol e oltre a Bonavita e Ferrari, i terroristi che parteciparono ai momenti iniziali dell’operazione “Girasole”. Probabilmente un “infiltrato”, che neppure Franceschini conosceva_ come ha dichiarato_ e che non faceva parte di altre colonne. Chi era e forse ha a che fare con il fatto che la liberazione di Sossi, avvenuta improvvisamente, tanto che il giudice gunse a casa da solo dopo un viaggio in treno da Milano da solo, era in qualche modo stata conosciuta in anticipo dagli inquirenti?

Insomma, tutta la verità non si è mai saputa, come per tante altre vicende, rosse e nere, degli “anni di piombo” e ci vuole una fiction della Rai per ricordarci il mistero.