Natale a Genova, anche Gesù ha preso il covid, ma un milione di lampadine illumina piazza De Ferrari

di Franco Manzitti
Pubblicato il 20 Dicembre 2020 - 08:13 OLTRE 6 MESI FA
Natale a Genova, anche Gesù ha preso il covid,ma un milione di lampadine illumina piazza De Ferrari

Natale a Genova, anche Gesù ha preso il covid,ma un milione di lampadine illumina piazza De Ferrari

Natale a Genova. Il nuovo arcivescovo, frate Marco Tasca, entra nella sala della Regione con il suo saio da francescano minimo, trentaduesimo successore di san Francesco, da luglio sul soglio genovese di san Lorenzo.

NATALE; ANCHE GESU’ SI PRENDE IL CORONAVIRUS. LA VERA FESTA PER CATTOLICI E NON…..

L’arcivescovo frate Marco Tasca deve benedire il presepe allestito in questa sala di vetro. Dalla quale, da marzo, escono i numeri della tragedia Covid. Una Conferenza stampa al giorno, i morti che sono più di tremila. I mallati ricoverati che scendono lentamente, un po’ meno di mille negli ospedali liguri. Le terapie intensive ferme a 100 da giorni e giorni. I contagiati che ogni giorno salgono di 250, 300 dopo i picchi di novembre.

Solo per lo zucchetto viola lo riconosceresti come arcivescovo questo frate veneto, silenzioso, arrivato da pochi mesi a Genova, che ha scelto un profilo basso di ascolto e di rarissimi interventi. Quasi una retrovia rispetto al palcoscenico dei suoi predecessori, il genovese Angelo Bagnasco, già presidente Cei e tutt’ora presidente della Conferenza Europea dei vescovi. Il piemontese Tarcisio Bertone, già segretario di Stato Vaticano con papa Ratzinger, salesiano irruente e potente. Il milanese brianzolo Dionigi Tettamanzi, grande teologo, diventato arcivescovo della Diocesi di Milano e papabile nel conclave da cui uscì Francesco.

Il vescovo vive in convento

Vive ancora nel convento dei frati sulla collina di Albaro. E non nell’appartamento elegante in Curia, tra i quadri-affresco dei suoi illustri predecessori, all’ombra di san Lorenzo. Questo francescano per ora così riservato, che conduce il gregge dei genovesi verso il Natale più difficile della storia recente. Forse quello più drammatico dopo il lontanissimo 1944-1945 della guerra. Quando il suo predecessore di allora, Giuseppe Siri, il cardinale-principe, cercava di salvare la città dalle bombe tedesche piazzate dentro al porto e dentro alle fabbriche. Mentre l’esercito di Hitler si arrendeva ai partigiani e sfilava con le mani alzate e strette dietro alla testa per le strade distrutte della città.

“Il coronavirus ci ha investito come un treno. Ma il Natale è anche fantasia. E con quella possiamo trovare il modo di superare le restrizioni di oggi, le difficoltà, le sofferenze”, dice il vescovo-frate davanti al presepe regionale. Invocando uno stile diverso, una vicinanza diversa, giustificando quella Messa di mezzanotte che sarà anticipata.

”Non è l’ora della Messa che conta – tranquillizza – ma lo spirito che ci conforta, pensando che il male non vince mai, che alla fine viene la speranza. Appunto la speranza di Gesù Bambino, “che arriva in condizioni difficili. Ma ricordatevelo dove è nato, in una grotta, al freddo, senza che nessuno lo accogliesse…..”

Un milione di luci per il Natale di Genova

Per vincere questo buio del Natale “ridotto”, “confinato”, “spezzato” nella lontananza degli affetti, le luci della piazza ombelicale di Genova si accendono. Mentre monsignor Tasca asperge il presepe dentro al palazzo, si illuminano tutti i prestigiosi edifici che contornano la celebre fontana. E l’albero di Natale, piazzato come ogni anno in mezzo, con le sue luci intermittenti, un abete trasportato da una delle valli della Liguria, terra di mare e anche di montagne.

Ma la piazza è mezza vuota per la pioggia gelida che cade e quelle luci animano una folla rara e infreddolita, che si ripara sotto i portici, timorosa di assieparsi nei negozi semivuoti.

Natale duro, Feste dimezzate, riti sconvolti. Quelli religiosi celebrati nelle chiese contingentate, con le sedie distanziate, le panche “tracciate” da lunghe corde a fare da separé, perfino i fiati dei canti e degli organi ridotti al minimo.

La Chiesa soffre questo silenzio, che come una coltre copre la liturgia, a lungo proibita. E ora ripresa con il contingentamento. E allora se cerchi di capire l’umore dei pastori, che cercano di mantenere vivo il significato del Natale ridimensionato. Non quello dei veglioni, proibiti, dei cenoni a numero chiuso, degli extraconviventi tenuti fuori dall’uscio nei giorni dei regali, degli abbracci, dei doni scambiati. Trovi risposte diverse, anche un po’ contraddittorie.

La chiesa chiusa di don Farinella

Come quella dell’oramai soliloquante don Paolo Farinella, che l’anno scorso provocatoriamente tenne chiusa la sua chiesa nel centro storico, San Torpete, nei giorni sacri. Per protestare contro il “Natale consumistico”. E che ora tuona nel suo monologo ossessivo, generosamente pubblicato dal “Fatto Quotidiano” e sulle pagine liguri di “Repubblica”. Che “tutte le chiese andrebbero chiuse” per far rinascere un Cristo puro e non contaminato dal mondo moderno.

Chiese tutte chiuse oggi che la sofferenza materiale e spirituale sbatte come un’onda incontenibile su ogni stipite sacro e profano. A incominciare da quella di questo presunto prete esibizionista. Il quale confessa di non sapere se è ancora un prete e se veramente Dio esiste. E si è preso come missione di negare tutto, dai miracoli della Madonna della Guardia, alla liturgia, al resto.

E che ora, in mezzo alla pandemia, ai morti a decine ogni giorno, rivendica quasi con un moto di orgoglio di avere la sua chiesa chiusa dal marzo scorso.

L’esegesi del gesuita

Andiamo a due passi dalla piazza centrale, dove il vescovo frate parla un altro linguaggio natalizio, illuminata dalle luci fredde, intanto. Qui uno dei predicatori più ascoltati della città, il gesuita Luigi Amicone, pensiero raffinato, esegesi perfetta dei Vangeli e voce forte che risuona nella Messa del mezzogiorno, ha appena finito la sua omelia. In cui ammette che “solo per obbedienza” non celebrerà la messa di Natale a mezzanotte. Che è il segno vero di quella Festa, cui dobbiamo rinunciare per forza maggiore.

Ma siccome i gesuiti sono sempre prodighi di insegnamenti e interpretazioni, eccolo subito questo seguace di sant’Ignazio di Loyola collegarsi al Vangelo della domenica. Per spiegare che il deserto nel quale si rifugia Gesù è quello che per noi oggi rappresenta la pandemia, le costrizioni, la sofferenza, le separazioni, le lontananze.

Il gesuita batte forte sulla ricerca dell’essenziale. “Nelle privazioni di tante cose della nostra vita, siamo indirizzati a cercare l’essenziale, come Gesù in quel deserto, senza cibo e senza acqua, senza ombra. “

Ecco il compito del cristiano sotto attacco pandemico: una salvezza almeno spirituale, cercando, l’essenza della vita.

Il vero senso del Natale 

Ma Natale resta la Festa con la maiuscola. Anche sotto questo assedio. E come tale va ripensata e pesata più correttamente. Cercando il suo valore “assoluto”, tradizionale. Non fermandosi alle oscillazioni imposte dalle regole pandemiche. La Messa che va bene anche se anticipata. Il cenone solitario con i parenti lontani se non conviventi. L’impossibilità di viaggiare, di inseguire qualsiasi cometa.

“Ci sono due tipi di Feste con la maiuscola” ti spiega don Marino Poggi. È uno dei più grandi pensatori nella Chiesa di Genova, già missionario a Cuba, oggi direttore della Charitas diocesana. La festa che organizzi, che prepari e quella che “irrompe”.

“Il Natale è, ovviamente, una festa che irrompe, con la nascita di quel bambino. Un matrimonio, un battesimo, sono feste diverse che tu prepari. Allora il Natale irrompe con la sua luce che non è quella della Cometa, che infatti sparisce ai pastori e ai Re Magi e poi ricompare.

“Quella luce – continua a spiegare don Marino – scompare poi nel cielo di Gerusalemme e poi ricompare. Secondo quello che spiegano le Sacre Scritture. Cosa vuole dire tutto questo? Che Natale è una festa che irrompe, ma che poi è stata “costruita”. Babbo Natale è stato “inventato” dopo. E importato nei riti natalizi. Il presepe se lo è costruito per primo san Francesco, quando aveva deciso di riprodurre la natività povera in una capanna. Se si crede nel Natale, si sa che tanto è stato costruito intorno alla sua tradizione. Quindi bisogna considerare questa festa un dono di Dio e accettarlo.”

Già, ma nell’emergenza di oggi con il Covid, la pandemia, le grandi sofferenze, come si trasforma questo Natale, “costruito”?

Gesù è uomo al 100 per cento e prenderebbe anche lui il coronavirus

“La speranza non può finire”, ti spiega don Marino Poggi. “Dio è nato e viene sulla terra ed è un uomo come gli altri; si prenderà il Coronavirus anche lui. E’ normale. E’ venuto per questo”.

Quindi ecco il modo di affrontare la Festa in questa contingenza: accettare i limiti, pensando al suo significato profondo.

Gli affetti lontani, l’impossibilità di incontrarsi? Natale era Natale lo stesso, anche 50 anni fa, quando era più difficile viaggiare e stare vicini. Quando si mandavano le cartoline di auguri, sicuri che sarebbero arrivate da un Paese all’altro, da un Continente all’altro, in ritardo, perché c’era troppa posta in giro in quelle giornate.”

Il papa Francesco si era anche raccomandato nella sua ultima enciclica “Fratelli Tutti” di “non ingozzarsi di connessioni”. Alludendo al nuovo tipo di relazioni, ben più veloci delle lettere, delle cartoline.

“ La connessione in rete non è una vera relazione – spiega don Marino- perché la vera relazione è uno spazio dentro di noi. La connessione, invece, con i contatti uno dopo l’altro, è solo un possesso . Non si riceve nulla, forse un’immagine ma niente di più….”

Poi c’è il rito per eccellenza, quello della messa di Mezzanotte, cui è così duro rinunciare. Al punto che quel gran predicatore gesuita nella sera delle luminarie in piazza a Genova, ha piegato la testa solo per obbedienza.

Don Marino la giudica, questa tradizione, un po’ come una finzione. Ci sono culture diverse, fusi orari diversi, il Papa stesso ha sempre incominciato la messa di Natale alle 21,30. Facciamo ridere a impuntarci sull’orario.

Poi perché si è sempre detto mezzanotte per Natale? Ma perché a quell’ora si è a metà del buio per i cristiani che aspettavano Gesù e per gli ebrei, invece, si è all’inizio della notte. Visioni diverse.”

A Natale Gesù è arrivato in quella grotta, ma non è accolto, non è quindi “posseduto”, Non c’è nulla di strano: a Nazareth è pieno di grotte, l’accoglienza non poteva che essere quella.

E il segnale della speranza che Natale, comunque, racchiude nel suo significato anche di Festa, come si concilia con questi tempi bui?

Intravvedere la luce

“Bisogna intravvedere la luce, dice Marino”. “Natale è fatto di luci, di pastori….Se Natale è alzare lo sguardo si deve vedere la luce e non è solo il vaccino che sta arrivando a salvarci. Sono anche gli uomini che devono lavorare insieme, collaborare insieme per essere “fratelli di tutti”, come dice il papa nella sua ultima enciclica, che non è arrivata a caso in questi tempi così difficili..