Mai nella storia della Chiesa i pilastri del vaticano stanno tremando come in questi tempi terribili. Duemilaventidue anni dopo Cristo la grande rivoluzione è alle porte.
È in atto quella che Francesco, l’ultimo successore di Pietro, ha definito da tempo la “terza guerra mondiale”. Senza calcolare la più terribile di quelle guerre, scoppiata dopo quella definizione tra la Russia invasore e l’Ucraina invasa. Con il mondo spezzato tra Occidente e Oriente. Dentro allo stesso Occidente. Con il terribile inizio di altre catastrofi a catena, come la carestia del grano, bloccato nelle navi prigioniere della guerra nel Mare Nero.
I pilastri della Chiesa tremano oramai ovunque, preceduti dagli scandali della pedofilia, esplosi ovunque, dagli scismi minacciati da tempo. Come quello della Chiesa tedesca. O dalle grandi inchieste che minano la dottrina, come nella Francia fedelissima al Vaticano.
Tremano i pilastri della Chiesa
I pilastri tremano in una secolarizzazione della società civile che ogni giorno procede con una velocità impressionante, rilanciata dalla pandemia. Che ha chiuso le chiese a tutti i riti per mesi e mesi, cristallizzati nell’immagine epocale di quel papa sotto la pioggia. Solo in mezzo a san Pietro, marzo 2020, davanti al crocefisso protettore dalle epidemie catastrofiche.
Pochi, molti meno di prima, sono tornati nelle chiese, molti sacramenti della dottrina cattolica, la confessione che ora si chiama riconciliazione, sono stati progressivamente abbandonati. Altri come la comunione, l’atto supremo di fedeltà alla condivisione con il Cristo immolato per gli uomini sulla Croce, si sono rarefatti. La frequenza ai riti religiosi si è ridotta in modo consistente ed ora si abbassa sotto il 10 per cento, che era il tetto minimo.
Crollo delle vocazioni nella Chiesa europea
Il crollo delle vocazioni sacerdotali colpisce soprattutto il mondo occidentale, l’Europa. Si fa fatica a trovare un sacerdote con cui parlare in parrocchie nelle quali i titolari si vedono affidare anche dieci chiese per uno, per amministrare il proprio ministero di discendenti dei discepoli di Cristo.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, duemila anni dopo, può capitare a un cattolico di non avere un sacerdote vicino in tutto l’arco della propria vita.
I vescovi stanno pensando ovunque di cambiare i confini della proprie diocesi, stabiliti magari nel Medioevo per allargarne i confini storici e controllare meglio il territorio.
Questo avviene in Italia e in Europa, dove la rivoluzione del ruolo sacerdotale è in discussione forte nel paese più avanzati nella richiesta delle riforme, la Germania. Essa chiede, minacciando lo scisma, l’addio al celibato dei preti e la creazione dei “viri probati” e un ruolo diverso per le donne nell’amministrazione dei sacramenti. Ma altri paesi resistono. Mentre lontano dall’epicentro romano, francese, spagnolo, i più fedeli, queste pratiche di liberalizzazione sono già avanzate.
Soprattutto in paesi lontanissimi, come nell’Amazzonia brasiliana, dove da tempo i “viri probati” si sostituiscono ai sacerdoti per amministrate i sacramenti e celebrare i riti.
Neppure i missionari di un altro tempo riescono più ad arrivare
La secolarizzazione avanza ovunque e basta calcolare le percentuali impressionanti di abbandono delle ore di religione nelle scuole superiori italiane, che viaggiano oltre il 45- 50 per cento, per capire cosa sta succedendo nella società italiana.
Ci vuole, secondo il papa Francesco, una nuova evangelizzazione e allora ecco le sue mosse. Faticose perchè il Papa, giunto al nono anno del suo ministero supremo, invecchia, è sofferente nonostante il suo spirito indomito e forte.
E sempre più spesso viene trasportato sulla sua carrozzella, colpito anche se non definitivamente dai malanni della sua età. L’arma principale con la quale questo papa Francesco, “venuto dal mondo alla fine del mondo”, come ripete spesso tornando alle sue origine argentine, è il sinodo. La grande assemblea con la quale si cerca di coinvolgere la Chiesa “dal basso”, radunando i fedeli in assemblee, diocesi per diocesi, parrocchia per parrocchia, per discutere a fondo e per la prima volta nella storia millenaria delle decisioni sulla Chiesa sempre calate dall’alto, dal Pontefice, dai vescovi, dai Concili, dalle oligarchie vaticane.
Una sforzo di “democratizzazione”, che non è un vento soltanto di riforme, ma una effettiva mobilitazione, concretizzata spesso in riunioni e assemblee forti.
E’ come se in qualche modo la Chiesa tornasse indietro indietro, ai tempi delle sue decisioni originarie e rivedesse il suo percorso.
Francesco, in carrozzella o claudicante a piedi, ci mette del suo in questa rivoluzione, che pure spacca di divisioni i diversi fronti ecclesiastici. Arroccando i conservatori nei loro fortilizi di attaccamento alla tradizione più pura, alla liturgia formale, ai leader più duri.
Proccupati dagli scismi
Ma che coinvolge nella discussione anche i mediatori più responsabili, preoccupati degli scismi, degli strappi.
Il Papa parla ogni giorno della guerra, dalla finestra di san Pietro o dalla sua carrozzella, ovunque si trovi nel suo peregrinare incessante, fino che ha forza.
Fronteggia la cultura cattolica, che è necessariamente entrata in crisi, richiamandosi spesso a un pacifismo ideologico e sterile. Richiama i principi sacri di quella cultura, come quello espresso nel 2002, dopo l’attentato delle Due Torri a New York , dal gesuita, suo confratello, Drew Chistensen. Che disse che ” L’unica opzione esclusa dal magistero cattolico è il pacifismo della non resistenza.”
Quel gesuita elaborava una teoria moderna della guerra giusta, che integri la visione di una guerra, appunto giusta, con gli elementi che costituiscono la visione cattolica della pace, ossia il rispetto dei diritti umani.
In una parola questo grande gesuita americano sosteneva: la premessa cattolica è che ognuno ha responsabilità di resistere al male pubblico con la non violenza se ciò è possibile. Con l’uso della forza da parte dello Stato, se necessario.”
Non c’è guerra giusta per Papa Francesco
Papa Francesco ha urlato più volte che la guerra non è mai giusta. Papa Woytila urlava forte che non c’è giustizia senza pace e non ci sarà giustizia senza perdono.
Perdono? Nella via Crucis dell’ultimo Venerdì Santo a Roma con il papa si è visto bene con gli ucraini che è presto per parlare di perdono. Prima va fermata l’aggressione.
E per questo Francesco non passa giorno che alzi la sua voce. Ma gli appelli al cielo per ora poco hanno potuto.
E allora questo Papa, che lotta anche per affermare i principi giusti del pacifismo, non si può fermare, perché la guerra devastante, terribile non è la sola emergenza della sua Chiesa sofferente.
E allora ecco, oltre al Sinodo che avanza imperterrito anche se colto, come nelle catacombe, da un popolo ristretto, le altre decisioni di Francesco.
Zuppi, vescovo di Bologna, presidente della Cei
Matteo Zuppi il vescovo di Bologna diventa il nuovo presidente della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani, dove hanno governato in sequenza Bassetti, Bagnasco e Ruini.
Polarissimo, Matteo Zuppi, è un prete di Francesco, abita come lui in un pensionato di vecchi preti e non in Curia, gira in bicicletta per la città, sta accanto agli ultimi, sorride sempre e ha il compito di “capovolgere la Cei, trasformarla secondo i ritmi moderni di quella chiesa che Francesco ha in testa. Per quelle emergenze, di mondializzaziome, di anti secolarizzaziome, di profonde riforme dal basso, di lotta alla pedofilia.
Questo prete vescovo, che tutti amano, costituisce forse il colpo più forte dentro alle strutture e le gerarchie ecclesiastiche, inferto dal papa che parla un’altra lingua e già aveva capovolto la Curia romana.
21 nuovi cardinali nella Chiesa di Francesco
Francesco ha anche appena indicato altri 21 cardinali che andranno a svecchiare il sacro Collegio e che sono richiamati dagli antipodi più lontani del mondo. Non saranno ancora cardinali il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, genovese, né quello di Torino, né Delpini a Milano, né quello di Genova, il frate Marco Tasca, tutte sedi cardinalizie in secula seculorum.
Francesco ha una visione diversa e i suoi avversari sostengono da tempo che sta preparando un Conclave che faccia scendere lo Spirito Santo su un Papa a sua immagine e somiglianza, che continui la sua strada, impervia ma necessaria, per farsi ascoltare da un mondo così cambiato, tra guerre, pandemie, culture contaminate.
Il papa zoppica, il papa non ce la fa…..E così le voci sulle sue dimissioni vengono soffiate da quei venti maligni dei quali anche il Vaticano è capace. E allora si immagina l’incredibile scenario di tre papi contemporanei, due Emeriti, Francesco, Benedetto XVI e il nuovo, uscito da un Conclave totalmente rinnovato.
Tre papi vestiti di bianco
Tutti e tre vestiti di bianco. Una visione impossibile per la Chiesa, che il teologo Vito Mancuso ha recentemente definito una vera aberrazione, impossibile da accettare. “Almeno non si vestano di bianco, tornino al vestito talare neo o anche rosso, ma non confondano la Chiesa, la gerarchia.”
L’ultimo dei problemi in una chiesa che balla, che trema e che attraverso il papa accetta perfino di apparire in uno dei talk show più seguiti, quello di Fabio Fazio sulla Rai, in una domenica dell’inverno scorso, rispondendo a tutte le domande perfino a quella finale se da buon argentino sapeva anche ballare il tango.
Risposta papale papale: “Ma un porteno, che non balla il tango, non è un porteno.”
Sicuramente Francesco I sta ballando più di un tango, che ha imparato “nel mondo alla fine del mondo” dal quale è arrivato. Sta ballando la rivoluzione della Chiesa, in tempi nei quali il cristianesimo lotta per rispondere alle domande ultime dell’uomo. Se non risponde il rischio di una estinzione e di una trasformazione stile catacombale, o ancor peggio, è più che reale.