Ponte Morandi, 91 giorni: il pugno alzato di Toninelli e i fulmini della Chiesa su Grillo

di Franco Manzitti
Pubblicato il 20 Novembre 2018 - 07:08 OLTRE 6 MESI FA
Ponte Morandi, 91 giorni: il pugno alzato di Toninelli e i fulmini della Chiesa su Grillo (foto Ansa)

Ponte Morandi, 91 giorni: il pugno alzato di Toninelli e i fulmini della Chiesa su Grillo (foto Ansa)

GENOVA  – Chissà cosa hanno pensato sotto il ponte spezzato e maledetto al giorno novantuno, mentre le rose bianche lanciate nel torrente in memoria dei 43 caduti sfiorivano nell’acqua sporca, quando il ministro Danilo Toninelli alzava e roteava il pugno, saltando in aria all’annuncio che il decreto aveva ottenuto la maggioranza?

Chissà se hanno visto quella scena parlamentare e il suo seguito: il presidente del Senato, la signora Alberti Casellati, che redarguiva il ministro pentastellato, la bagarre in aula, le urla, i fischi e la lezioncina finale di rimprovero? Poi un minuto di silenzio per rimediare, ricordando le vittime, novantuno giorni dopo, i senatori in piedi, Toninelli con quello sguardo da furbo-ingenuo, la capogruppo di Forza Italia, Anna Maria Bernini, che gli lanciava fulmini, Matteo Renzi ancora stravolto dopo il suo pesante, e nei toni inconsueto, intervento contro il decreto.

Chissà se la furia contro il suo ministro di Di Maio per quel pugno alzato a rovinare la festa pentastellata sul decreto era arrivata anche là sotto il ponte, chissà… Chissà se c’era una televisione accesa nel tendone della Protezione Civile, nel distacco che da via Fillak porta in via Porro, dove gli sfollati da 91 giorni aspettano notizie, prima sotto la canicola di agosto, poi a settembre, quando il ponte là sopra sembrava un incubo che non li lasciava neppure entrare in casa a recuperare le loro cose, poi in ottobre, nel caos del traffico sempre a aspettare, poi alla fine, tra ottobre e novembre, quando si erano scatenati gli allerta meteo, le tempeste di vento e di pioggia a sospendere e a far rimandare quel sù e giù di scatoloni , finalmente il trasloco con i vigili del fuoco e i volontari intorno.

Il giorno dopo il terzo anniversario, quando si fa qualche bilancio, non solo quello dello strazio dei parenti che piangono sotto il ponte, eccolo il decreto approvato con 67 voti favorevoli, i 49 contrari, i 53 astenuti del Senato della Repubblica che sigilla gli articoli del Decreto Genova, che tutta l’Italia riconosce essere di più il Decreto Ischia o il decreto Amatrice o il Decreto dei fertilizzanti.

Eccolo il decreto diventato legge, osannato dal pugno alzato del ministro Toninelli, che cinquanta giorni fa aveva annunciato un ponte nuovo a misura d’uomo e che rideva divertito con il modellino in mano, ospite di “Porta a porta” da Bruno Vespa o che faceva gaffes cosmiche come quella sul tunnel del Brennero. E’ lui, l’ex assicuratore di polizze antinfortunistiche, che sancisce l’ufficialità di un passo essenziale per Genova, esultando come a un gol in Champions, come se con il quasi miliardo di soldi stanziati subito per le diverse emergenze genovesi e gli altri milioni riscattabili nelle prossime leggi di stabilità, l’emergenza Genova fosse oramai risolta, aiutando gli sfollati, che sono 266 famiglie e i danneggiati, distribuiti tra le zone rosse, arancioni e nere in cui si colora la Valpolcevera dolente.

Come se il decreto consacrato in legge attuativa risolvesse di colpo il problema numero uno che sovrasta i genovesi e non solo da quel 14 agosto, la demolizione e la ricostruzione più rapida possibile del ponte mozzato, che stà la sopra, stagliato in due tronconi est e ovest, una specie di monito che straccia la città, ingabbia i cittadini, pesa sullo spirito della Superba. Come se adesso i poteri assoluti (o quasi) conferiti al commissario straordinario, Marco Bucci che bolliva in attesa del conferimento dal 4 ottobre, diventi lo “stappo” di tutta la situazione, la svolta cruciale che fa passare dalla fase del dolore, del risarcimento, a quella operativa in cui si proietta l’orizzonte che tutti vogliono vedere: i cantieri della ricostriuzione, i nomi delle ditte impegnate, i soldi che arrivano da Roma, dalle casse dello Stato, dal suo bilancio, dopo che per tre mesi e un giorno si sono raspati solo i fondi del Comune di Genova.

Si alza il pugno di Toninelli, che spiega il suo entusiasmo per poter finalmente risrcire “il sofferente popolo di Genova”. E gli fa eco il suo vice ministro genovese, Edoardo Rixi, leghista della prima ora, non sempre in sintonia con lui, a partire dalla folgorante revoca della concessione a Autostrade, il leader che ha sofferto durante le “liturgie”- le ha chiamate così lui – parlamentari e che ora finalmente vede entrare in campo il “suo” sindaco-commissario e l’altro uomo dell’emergenza Giovanni Toti, la coppia di ferro che può spingere fuori dal buio Genova, lavorando concretamente come hanno fatto creando i bypass stradali che hanno in parte salvato la circolazione Ponente-Levante della città dopo il crollo.

E Bucci “sforna” subito, quasi pochi minuti dopo l’approvazione dell’iter parlamentare, le due date che tutti aspettavano, augurandosene la certezza: entro il 15 dicembre si incomincia a demolire, entro aprile si parte con la ricostruzione. Saranno date certe o le nebulose che dal giorno dopo la tragedia appaiono nel cielo della Valpolcevera, oscillando da una demolizione che doveva incominciare a settembre e da una ricostruzione in otto mesi, che doveva partire prima di Natale?

Bucci rinforza, sparando anche i nomi della sua squadra di supercommissario: i sub commissari sono Piero Floreani, giudice della Corte dei Conti, già sostituto procuratore a Genova, delegato alla parte giuridica dell’operazione e Ugo Ballerini, direttore generale di Filse, la finanziaria regionale, storico esponente del fu Psi, corrente non certo craxiana, una lunghissima carriera nella finanziaria. Al primo tocca la parte tecnico giuridico amministrativa contabile, di indenizzi e risarcimenti, al secondo la gestione del personale e dei rapporti esterni commerciali, le consulenze, il sito web, la comunicazione, gli adempimenti relativi all’amministrazione trasparente, all’antiriciclaggio, alla privacy, all’anticorruzione.

Poi c’è tutta la squadra, nella quale spiccano il presidente dell’Ordine degli Ingegneri Maurizio Michelini, Giovanni Battista Poggi, detto Gian, una specie di mostro sacro dell’urbanistica genovese e regionale, per decenni collaboratore stretto di personaggi come Claudio Burlando, Beppe Pericu, oggi program manager dell’emergenza Morandi, Roberto Tedeschi dirigente del settore Demanio di Tursi, Stefano Pinasco, dirigente di Tursi per le Opere idrauliche, l’ufficiale della Capitaneria, Domenico Napoli, poi ci sono gli “esterni” all’amministrazione comunale e regionale, tra i quali spiccano un altro personaggio del mondo genovese della Sanità Luciano Grasso e Erika Falone, una giornalista dello staff di Maurizio Crozza, che si occuperà, appunto, di comunicazione. Questo apparato andrà a occupare un piano intero del Matitone, il grattacielo a punta dove ci sono la maggioranza degli uffici comunali, a due passi dalla Lanterna e si può immaginare che questo diventerà il centro focale della vita ccittadina per quanto tempo? Bucci ha anche fatto uscire un primo elenco di ditte a cui sono state inviate le lettere (tutte spedite nel giorno 91 del decreto approvato) di invito a manifestare un interesse per demolire e ricostruire . Nel mazzo ci sono il gruppo Fagioli, Fincantieri, Siag( esperti in esplosivi), Leonardo, Cimolai, Rizzani de Eccher e Salini Impregilo. Insomma, la macchina si è messa in moto, quella che può cambiare il destino, colorare l’orizzonte fino a ieri buio della Valpolcevera e di Genova tutta e di questo guazzabuglio che sono diventate le comunicazioni intorno alla ex Superba, che da qualunque parte ci arrivi vedi sui cartelloni autostradali di chilometri e chilometri prima l’annuncio tranchant: tratto chiuso, A10 interrotta, per Livorno e per Firenze e per qualsiasi parte del Nord Ovest prendi…” . C’è proprio scritto “prendi” e se poi, invece, arrivi “sotto” all’ultima uscita, trovi quello sbarramento che sta lì da 90 giorni, uno sbarramento totale, ma vedi l’autostrada che continua e sai che poi salterà nel vuoto, tra trecento, quattrocento metri e da lì arriva solo il rumore del vento e di un silenzio siderale, di morte, ti verrebbe da dire, anche ora che sono passati tanti giorni.

La macchina è ripartita, le date ci sono, i nomi possibili di chi aprirà il cantiere della speranza eppure che cosa è che non va, cosa sta dietro il tripudio smodato del Toninelli e il bilancio un po’ sganasciato di altri, come il suo vice minuistro Rixi, che si spolvera le mostrine di governante venuto da Genova, che ha risolto il caso, ora sì che si può sperare, uscire da quel lago nero di diperazione, di futuro che si è chiuso di colpo nel nubifragio di quel 14 agosto, vigilia di Ferragosto, quando il tempo si è fermato con quell’urlo che le televisioni, i video ogni tanto ti sparano come un messaggio di morte: “Oh Dio il ponte, oh Dio il ponte che cade, o mio Dio…..”.

Cosa è che non va? Prima di tutto non va che la partenza tanto agognata potrebbe esere fermata da un semplice ricorso al Tar della concessionaria di quella autostrada, di quel ponte, anche di quel vuoto tra i tronconi che è la Autostrade spa, che lo è ancora e cui toccherebbe demolire, ricostruire e lo farebbe più rapidamente di chiunque altro e ci ha nei cassetti già i piani, gli assetti, perfino le perizie geologiche, ma è stata fermata dall’anatema dei 5 Stelle tredici ore dopo la sciagura, con Di Maio che ha subito chiesto lo scalpo della società concessionaria e lo ha ripetuto e tutti continuano a recitarlo, come in una giacultaoria: “Non costruiranno neppure una mattonella, non toccheranno nulla, loro, i Benetton azionisti, che hanno fatto cadere il ponte…. Autostrade pagherà tutto, demolizione e costruzione, ma non farà nulla.” .

“Se qualcuno ci fermerà con i ricorsi è come se ci sparassero nella schiena” _ dice il sindaco commissario, nella conferenza stampa che celebra il decreto. Ma qualcuno sparerà sicuro, dagli studi professionali agguerriti che già da mesi stanno preparando le carte per difendere Autostrade a meno che…… a meno che nelle pieghe del decreto Genova non ci sia quel “passaggio segreto” che potrebbe consentire alla concessionaria di partecipare all’operazione, almeno contribuendo a demolire. Tanto per non sbagliare Autostrade, a poche ore dal decreto, aveva già spedito al commissario e a Toti, presidente della Regione, il progetto definitivo di costruzione e demolizione, con i lavori conclusi nel settembre del 2019 e addirittura una penale di 20 milioni per ogni mese di ritardo……

L’ipotesi, quindi, di una ricomparsa di Autostrade non è esclusa del tutto. Il commissario ha chiarito che ha sul tavolo già le offerte delle aziende che si candidano anche a questa delicata operazione. Si incomincerà a demolire dal pilone ovest, dove non saranno necessarie cariche esplosive , che, invece, mineranno gli altri piloni, quelli che incombono sulle case e che saranno demolite prima, nel passaggio inverso della storia incredibile di questo quartiere, costruito per dare una casa ai ferrovieri negli anni Cinquanta-Sessanta, sul cui tetto dal 1963 hanno incominciato a tirare su il ponte, che poi è diventato il loro tetto definitivo nel 1967, data fatidica dell’inaugurazione. Bucci fa le prime riunioni dello staff e “cria”, grida in genovese, come è nel suo stile di sindaco-manager, ora commissario, che alza il tono della voce o per sgridare come fece con i dipendenti comunali o per motivare, come fa ora davanti alla squadra con la quale “bisogna fare la storia”, dice lui che non è certo un retorico.

Ma il cammino del decreto, che ora sta per diventre “attuativo”, è subito accidentato: mancano i fondi per gli affittuari, cioè per gli sfollati, che non avevano la proprietà della casa nella zona rossa, i sindacati sostengono che i fondi per la cassa integrazione delle ditte danneggiate non sono sufficienti, si forma subito un comitato perchè in quegli articoli, annegati tra Ischia, Amatrice e lo smaltimento dei fanghi tossici, non c’è una sola parola (e sopratutto non c’è solo un soldo) per le famiglie delle 43 vittime. Come è possibile che si siano dimenticati di loro, di quelli che hanno perso la vita? E così le rose bianche gettate nel Polcevera, al terzo anniversario della tragedia, sfioriscono ancora più in fretta. Mentre di fianco al ponte una campana tibetana scandisce con il suono di altre latitudine il numero dei morti: uno, due tre……fino a 43. C’è poco da esultare con quel pugno alzato e c’è poco da spiegare, come fa il ministro Toninelli urbi et orbi, davanti ai microfoni che piazzano davanti al suo viso mezzo attonito, che era un gesto liberatorio e di gioia per avere aiutato il “popolo di Genova”. Li hanno veramente aiutati, hanno fatto 91 giorni dopo tutto quello che si poteva e si doveva?

La città è troppo rattrappita nel dolore, nell’incazzatura, nel lento declino che sta vivendo. Il sindaco-commissario continua a dire che il 95 per cento delle richieste sono state accolte, il vice-ministro Edoardo Rixi salta da un’intervista all’altra, per dimostrare che a Genova arrivano quel miliardo più altri fondi e che meglio non si poteva fare. La città è ancora ripiegata su se stessa, anche se Bucci continua a gettare ponti di collegamento tra una parte e l’altra per migliorare l’isolamento delle zone rosse, arancioni e nere, che si sono aggiunte anche queste. Ora hanno addirittura costruito in tempi record un cavalcavia di acciaio per collegare il casello autostradale, dove tutti sono obbligati ad uscire, alla strada veloce che porta nel cuore della città. Illumineranno la zona di Certosa, poco dopo il ponte, ai confini tra la zona rossa e il quartiere ex popolare e commerciale di Rivarolo, con una coreografia natalizia mai vista.

Ci metteranno un grande abete, un albero di Natale, come nel centro della città, come per dire: non vi dimentichiamo, anzi il vero Natale si celebra qua. Ma dalla chiesa ufficiale, cioè dalla Curia, il Capellano del lavoro, don Massimiliano Moretti, va giù duro e annuncia come con un fulmine: “ Novanta giorni di inutili discussioni, 90 giorni persi in guerre di lurido potere, 90 giorni sono una vita per chi perde casa e lavoro. SVEGLIA. “ E poi aggiunge: “Sì al Terzo Valico, sì alla Gronda, si al raddoppio ferroviario, al Superbacino delle Riparazioni navali, al riempimento a mare di Fincantieri per fare di Genova il motore trainante dell’economia nazionale. “ Tutte opere che rilancerebbero lo sviluppo genovese insieme al ponte. Don Moretti è una voce ufficiale della Chiesa di Genova, quella che fu di Giuseppe Siri, il cardinale-principe ed ora è di Angelo Bagnasco, l’ex presidente Cei. “Il mio_ precisa_ non è un discorso politico, ma è un invito a scuotere le coscienze.” Le parole del monsignore sono anche dialetticamente crude e vanno a colpire, sulla dorata collina di Sant’Ilario, direttamente Beppe Grillo, il genovese che tace sulla tragedia, salvo battute a casaccio nei suoi show da finto comico: “ La decrescita felice è una belinata pazzesca, che forse va bene per chi possiede ville in collina, ha il portafogli pieno e non vuole essere dusturbato dalla vitalità del lavoro che porta con se vita e energia.” Più chiaro di così. E don Giacomo Martino, responsabile dei Migrantes, gli fa eco con ancora più rabbia: Ponte Morandi, è tempo di scendere in piazza e di rimanere sino a una risposta concreta. Lo dico e sono pronto a farlo…”  ripete con toni alti ai cronisti de “Il Secolo XIX”.

Bisogna scendere in piazza: dopo Roma e Torino ecco allora la parola d’ordine, che rimbalza non solo sotto il ponte, ma per tutta la città, come una febbre che sta coinvolgendo tutti, per rifare il ponte presto e per salvare Genova. Il 28 novembre sono convocati a Genova gli Stati generali dell’imprenditoria del Nord Ovest, in una assemblea che si terrà nello stabilimento dell’Ansaldo, sotto il ponte. Verranno i vertici di Confindustria Milano e Confindustria Torino. Lanceranno un grido di riscossa per spingere le infrastrutture e le grandi opere. Spingeranno la piazza genovese dopo quella di piazza Castello a Torno e quella del Campidoglio a Roma?