Regionali Ligura: gaffe di Toti e odor di Nazareno inquinano il voto

di Franco Manzitti
Pubblicato il 3 Aprile 2015 - 06:37 OLTRE 6 MESI FA
Regionali Ligura: la gaffe di Toti e la puzza del Nazareno che inquinano il voto

Giovanni Toti (Lapresse)

GENOVA – Che ci azzecca il delfino berlusconiano Giovanni Toti con la Liguria, se non per gli avi di La Spezia e per la sua gaffe iniziale che ha collocato la ridente cittadina di Novi Ligure appunto in Liguria, mentre anche i bambini delle scuole elementari sanno che si trova in Piemonte, provincia di Alessandria. Non ci azzecca nulla, se non l’accordo tra il Berlusca e Matteo Salvini di sparigliare le loro carte per le prossime elezioni regionali del 31 maggio prossimo, piazzando un candidato che non ha alcuna possibilità di vincere.

Gli equilibri tra il Cavaliere e il leader leghista hanno fatto digerire alla Liguria moderata un altro boccone amaro e hanno messo in mutande Edoardo Rixi, il candidato “padano” già in lizza da un mese, quarantenne e rampante, molto ligure e molto ferrato nelle battaglie regionali per il suo ruolo di oppositore che dura da cinque anni in Liguria e da dieci in consiglio comunale, un patrimonio disperso.

Toti è entrato in campo con la sua gaffe geografica per colpa indiretta di Sergio Bondi e Emanuela Rapetti, il senatore e la deputata appena dimissionari da Forza Italia, che vivono a Novi Ligure e che hanno appena lasciato il partito con grande clamore e conseguente grande incazzatura di Berlusca, del quale erano creature e, nel caso di Bondi, anche devoti fino alla piaggeria e alla prosternazione mai vista in politica.

La mossa dell’asse Salvini -Berlusconi, annunciata a tarda serata e poi spiegata dal capo leghista con un blitz notturno a Genova, è una specie di harakiri per la Destra moderata e non, che avrebbe potuto sfruttare meglio gli sbandamenti della sinistra, la sua flebile candidatura di punta della signora Raffaella Paita e le conseguenti divisioni su tutto il fronte della Sinistra-sinistra, della Rete di sinistra, della Altra sinistra , il pulviscolo nel quale si disperde l’alleanza che ha a lungo retto la regione Liguria.

Ma ci voleva una candidatura forte, autorevole, magari preparata da tempo, invece di un balletto irrefrenabile, che ora sforna l’ex direttore dei tg belusconiani, che ignora perfino la geografia del territorio, che nei prossimi cinquantacinque giorni dovrà battere a spron battuto, se non vuole sprofondare in una figuraccia che ne indebolirebbe, comunque, il peso politico di consigliori del Berlusca, di eurodeputato e di coordinatore nazionale.

La decisione è talmente autolesionista, che spiazza anche tutta una serie di accordi che stavano rinforzando la candidatura di Rixi, il leghista, gradito anche a moderati di altro stampo e perfino a un fronte di centro sinistra, deluso della candidatura Paita e schifato dalle lotte intestine nelle quali sta naufragando il dopo Burlando, il leader uscente che aveva investito della candidatura la sua pulzella Paita quasi due anni fa.

A Blitz risulta che un autorevole schieramento di imprenditori genovesi e liguri stesse schierandosi con Rixi, anche superando quella ritrosia che in Liguria c’è nei confronti della Lega, considerata un po’ fuori dallo schema dei partiti tradizionali di una terra molto caratterizzata a sinistra o con opzioni di destra ben più soft della linea dura dei verdi padani. Del giovane rampante, figlio di un noto intellettuale democristiano degli anni Ottanta, piaceva la competenza sui problemi del territorio, la sua verve dispiegata sia in Comune che in Regione, dieci anni di opposizione, e cinque anni fa perfino la rinuncia al seggio in Parlamento, già conquistato, per restare a fare le battaglie liguri.

Tutto questo è stato spazzato dall’accordo di Salvini e Berlusca, compreso l’endorsment a favore di Rixi di molti forzisti delusi, come alcune macchine da voti, quali il noto medico Matteo Rosso, traslocato camici e bagagli nella lista fiancheggiante il candidato leghista. Insomma, si stava creando un fronte che forse inquinava un certo fondamentalismo padano, quello aggressivo delle sparate xenofobe, un po’ lepenista, ma che avrebbe quanto meno minacciato la corsa in testa della candidata Pd, appunto la Paita, per tradizione e storia considerata la grande favorita in Liguria, non solo perchè l’erede di Burlando, il dominatore della scena da qualche decennio.

Con una battuta folgorante oggi lo scontro in Liguria viene sintetizzato come “una battaglia tra Toti e Totani”, alludendo al nome del candidato della destra e, in modo un po’ irriguardoso, anche agli altri concorrenti, non proprio dei titani della politica e della amministrazione.

Questi “Totani”, che si trovano sul ring ligure, finalmente a bocce quasi ferme, ma non del tutto (potrebbe scendere in campo ancora un terzo candidato di sinistra-sinistra), continuano a darsele di santa ragione e senza che un orizzonte nuovo venga in qualche modo presentato per una regione che il declino inarrestabile mette in crisi, addirittura rispetto alla sua identità.

Perchè non immaginare, nel patatrac delle candidature così frammentate o paracadutate da Roma o inquinate da Primarie con il trucco come quelle che hanno “nominato” la Paita, nella perdita di una ispirazione identitaria che non ricorra ancora alle definizioni storiche di Fernando Braudel, nel disfacimento della storia industriale, nell’incertezza di un pauroso isolamento infrastrutturale (la Liguria è pesantemente isolata per terra mare e cielo), perchè non immaginare, una macroregione nella quale cercare un altro sviluppo? Con il Piemonte e con la Lambardia?