Regionali Liguria big bang. Regge Paita tra Grillo, Lega, FI, sinistra in polvere?

di Franco Manzitti
Pubblicato il 11 Marzo 2015 - 07:34| Aggiornato il 9 Agosto 2019 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA – Big bang. La preparazione delle elezioni regionali in Liguria, previste al 31 di maggio, sta praticamente disintegrando il quadro politico che reggeva nei trapassi dalla Prima alla Seconda e alla ipotetica Terza Repubblica. Si sbriciolano i partiti uno per uno e cadono a pezzi le coalizioni, sia a destra che a sinistra, lasciando al centro un buco nero, perfetto per una visione siderale, spaziale, di vera o falsa fantascienza. In una regione che freme di scandali piccoli e grandi, ma soprattutto di dismissioni postindustriali, di incertezze strategiche, di visioni non condivise e di scelte non fatte, fosse solo quella del giardinetto sotto casa, in una regione in potente calo demografico, dove il crack immobiliare sta assumendo scenari da fine del mondo, con interi quartieri svuotati, in una regione dove l’immigrazione stessa si ritira perchè non c’è più da lavorare, che ti combina la politica?

Invece di arginare il dissesto socio economico, di alzare barriere contro il declino ambientale, contro il dissesto del lavoro, che una volta qua si chiamava “saper fare”, contro le emergenze della città capoluogo più vecchia del mondo (record di vecchiaia anche in Europa, conclamato proprio ieri a Bruxelles, con una percentuale di anziani over 65 anni del 27 per centro contro il 20 della Ue) , la politica sceglie di affrontare questa corsa polverizzandosi come con lo spray e già, da de-ideologizzata come è, fa emergere preti stregoni, cambiabandiera di ogni risma, traditori, candidati cercati con la scritta Wanted sui muri screpolati della città Far West della dismissione a tappeto, una generazione intera, quella dei 25-35 anni in fuga ovunque, basta non restare qua, in un mix di ambizioni e presunzioni ingiustificate e di ritorni al passato, di recuperi di vecchie figure e rilanci di presunte giovani promesse.

E’ come se l’enormità dei problemi mettesse in fuga i possibili candidati veri e aspirasse nella esclusione del big bang un battaglione di dilettanti allo sbaraglio, di pretendenti a vanvera e di vecchie glorie sognanti un recupero insperato, dove è difficile scovare qualche candidato vero. Si incomincia, ovviamente dal Pd, che ha dato inizio alle danze più di un anno fa, lanciando la delfina di Burlando, Raffaella Paita, la quarantenne spezzina, regina del continuismo di un regime lungo dieci anni e radicato da ben oltre nel sistema del potere dem, post Pci e aprendo la strada al Big bang.

Essendo la Paita una clonazione del suo presidente Burlando e una proiezione monarchica del suo potere da non sperperare, chi si è opposto è stato prima di tutto il Pd stesso, spiazzato dal gioco d’anticipo ed anche dal folgorante aggancio al carro del premier Renzi del duetto Burlando-Paita. Li ci sono stati i prodromi delle maledette Primarie, cui il Pd è sottostato, provocando il secondo passo verso il Big bang: discesa in campo imprevista e clamorosa di Sergio Cofferati, il leone della Cgil, eurodeputato appena rieletto, “mostro sacro” della Sinistra-sinistra nel panorama genovese e ligure e anche nazionale, inquinamento del voto con 113 seggi censurati dagli organi interni di garanzia e due inchieste della magistratura penale, dimissioni dal Pd del Cofferati stesso, con strappo storico, successo della Paita, ma non certo sua consacrazione globale nella corsa alle Regionali.

L’effetto Big bang dentro al Pd ha prodotto un esito come le faglie di un terremoto che non si ferma e anzi si irradia con l’affannosa ricerca di alternative da schierare a sinistra, con separazioni e divorzi nel cuore dell’ ex grande “partito rosso”, di fronte alle quali i crolli dei matrimoni nella vita civile sembrano barzellette. Un esempio per tutti: il vice presidente di Burlando, Claudio Montaldo, potente assessore alla Sanità, già vice sindaco di Genova e dirigente Pci, PDS, DS e Pd ha rotto con il suo amico Claudio e dopo essersi schierato con Cofferati ora corre dove si riunisca qualsiasi assemblea pronta a sfornare qualsiasi candidato anti Paita. Ma oramai in qual che sia vertice, riunione o assemblea lo sport preferito degli osservatori è pescare gli ex amici di Burlando, passati altrove, distanti, critici, perfino incazzati.

Un Big bang che separa vite in comune, militanze storiche, sintonie quasi ataviche, amicizie fedeli, solidarietà a prova di bombe e cataclismi superati indenni e uniti. Il mondo alla rovescia, soprattutto in una città come Genova, fatta per decenni di battaglie muro a muro, perfino di separazioni geografico ambientali, dove il Pci e il post Pci erano una roccia non scalfibile, la “linea” di partito forgiata da un acciaio duro come quello che usciva dall’altoforno della mitica fabbrica Italsider di Cornigliano.

Ora sono briciole , frammenti, neppure un partito “liquido”, piuttosto la dissolvenza di una aggregazione che “spara” pezzi a destra e a manca. Si salvi chi può a sinistra e allora ecco che sul pulpito proprio quello vero, non figurato, salgono i preti-stregoni della politica, come l’oramai dirompente don Paolo Farinella, un sacerdote militante della Sinistra che si è piccato di trovare lui un candidato che “salvasse” il Pd e la sinistra dallo sfacelo Paita. E’, questo prete, il parroco di una chiesa nel cuore ombelicale dei caruggi genovesi, nella piazzetta di san Giorgio, intitolata a san Torpete, un prete che in mezzo al Big bang più del Vangelo sembra amare la politica o meglio mixa la predica delle parole del Signore con la spinta a tradurle nella diffusione di un credo politico. Salvare le anime, ma anche gli uomini dal Diavolo più cattivo, che spesso è il nemico politico, mica quello tentatore del deserto.

Il cardinale principe Giuseppe Siri lo aveva spedito a Gerusalemme da una parrocchia nella periferia genovese a studiare testi sacri e forse le radici di quel Vangelo. Poi lui è tornato a Genova e si è trasformato, magari anche in buona fede, in una bandiera politica, mescolando nella sua chiesa raffinatissimi concerti di musica barocca e tonanti prediche politiche con dure intemerate anche contro il suo vescovo, fosse il potente cardinale Tarcisio Bertone o il più defilato cardinale Angelo Bagnasco.

In una rubrica domenicale, pubblicata sull’edizione ligure di Repubblica, questo don Farinella ha mandato per anni in brodo di giuggiole il suo pubblico “rivoluzionario” ed ha indignato, invece, i cattolici meno barricadieri, ma si è conquistato un ruolo pubblico ben diverso da quello delle sue mani consacrate e della sua veste di sacerdote.
Si e spinto, don Farinella, a un attacco frontale contro la Madonna della Guardia, cui i genovesi sono devotissimi, arrivando a trasformare un culto popolare in una scelta “a tavolino” fatta dalla elite cattolico industriale: basta una visita al deposito degli ex voto per capire la forzatura. Non era certo, nella multiforme città di Genova, quel ruolo politico con la tonaca una novità, anzi. I predecessori più recenti del parroco di san Torpete sono stati niente meno che il leggendario don Andrea Gallo e don Gianni Baget Bozzo, preti diventati figure di primo piano, non solo dentro la loro Chiesa e nelle loro attività di magistero ecclesiastico, ma proprio nella politica e nella pubblicistica in generale.

Ma don Andrea Gallo, icona del prete da strada, coscienza civile dalla testimonianza viva e potente, capace di salvare chissà quante vite umane nelle sue battaglie contro la droga nelle sue comunità e nel lottare a mani nude contro il disagio sociale, tornava sempre al vangelo, lo predicava, lo traduceva, ne testimoniava il messaggio, partendo dagli ultimi e lasciando ai politici gli scampoli del suo carisma. E’ stato lui a scegliere Marco Doria come sindaco di Genova e a farlo vincere inaspettatamente nelle elezioni comunali di tre anni fa. E dopo la sua morte la forza del sindaco-marchese, schierato a sinistra, si è come affievolita, come se la protezione “superiore” fosse venuta meno.