Scajola: la casa di Roma con vista sul Colosseo? “Congiura Usa”. “Ora penso alla Patria”

di Franco Manzitti
Pubblicato il 6 Maggio 2011 - 12:10| Aggiornato il 28 Gennaio 2014 OLTRE 6 MESI FA

“Mi sono dimesso”, dice ora Scajola , “perchè ho un’idea della politica e delle istituzioni diversa da quella di molti anche della mia parte politica. Non sopportavo di dover andare in giro e dover affrontare un’accusa, degli insulti che per me si reggevano su una falsità, di cui non sapevo nulla, massacrato da una campagna mediatica totale, alla quale non potevo reagire, perchè tutto era avvenuto “a mia insaputa”. Temevo di non reggere. Ho sempre fatto politica per passione, mica per farmi regalare le case! E così, in quei giorni infernali, tornando da un viaggio di Stato in Tunisia, e vedendo che i giornali erano tutti dedicati a me, non ho retto più. Ho pensato che dimettermi era tirarmi fuori da quel massacro e salvare il Governo da un tiro al bersaglio che non finiva più.”

È la terza volta che Claudio Scajola si dimette e anche in questa occasione la decisione è privata, di famiglia. “Con chi ho deciso? Con i miei due figli Lucia e Piercarlo, sdraiati sul lettone della casa di Roma, quella dello scandalo, come quando loro erano piccoli. Mia moglie non c’era, era a Imperia, ad assistere sua madre. La mattina dopo mi chiama Gianni Letta e mi chiede: cosa fai? Gli rispondo: mi dimetto oggi. Lui insiste ma io vado in conferenza stampa e faccio l’annuncio. Credevo che quel gesto inusuale in Italia significasse qualcosa: non ero indagato, non avevo ricevuto una sola carta dai Pm di Perugia e non ne avrei ricevuto mai. In Italia c’è gente avvisata di reato, rinviata a giudizio, condannata a anni e anni, anche del mio governo, magari fatta anche ministro in condizioni giudiziarie non perfette, che resta al suo posto e non fa una piega…

Invece, per me, che avevo staccato è continuato il macello. Qualche giorno dopo uno dei Pm di Perugia ha perfino chiesto al mio avvocato: “Ma perchè Scajola si è dimesso?”. Levarmi da tutto, tornare a casa è stato difficile, pesante.”

L’ex ministro torna a casa, nella sua villa sopra Oneglia, Diano Calderina, un angolo di paradiso e si chiude come in un fortilizio. “Ho passato un’estate terribile. Giornate che incominciavano con la rassegna stampa della mattina e si chiudevano con quella della notte. Per sapere cosa dicevamo del mio scandalo. E nella giornata cercavo di verificare ogni cosa che veniva pubblicata. Non riuscivo neppure a uscire in giardino a respirare. Quando è stata pubblicata la notizia che la famosa contropartita della “donazione” ricevuta per comprarmi la casa era un superappalto per costruire la caserma Zama a Roma, di cui avevo dato disposizione al generale Mori, mi sono venuti gli incubi. Mi vedevo, io, ministro degli Interni, che dava ordine al generale di piazzare l’appalto. Mi sembrava reale. Poi mi svegliavo di colpo, correvo a farmi una doccia gelata e ricostruivo che quell’appalto era del 2004 e io non facevo più il ministro dell’Interno dal 2002…”

Quella estate l’ex ministro, già definito universalmente come il politico “a sua insaputa”, si era trasformato in una specie di Sherlock Holmes, l’investigatore di se stesso, che accumula montagne di carte per scoprire se l’hanno fregato e come: “Per stabilire quale fosse il prezzo autentico della casa di via del Fagutale ho addirittura speso 10 mila euro in quella perizia speciale, che confermava il primo valore che avevo accertato: 750-800 mila euro. Cosa ho pensato? Che c’era stata un’operazione di riciclaggio alle mie spalle: l’autista tunisino che porta la valigia con i 900 mila euro a Zampolini, l’appuntamento nella banca di largo Argentina, la trasformazione in assegni, ottanta assegni che io non vedo e che, durante il rogito notarile durante il quale io velocemente passo i circolari del mutuo e il “nero”, passano da una parte all’altra del tavolo chissà come. Io entro e esco da quella sala riunioni. Poi ci sono le dichiarazioni sui giornali delle venditrici, del notaio… Il cerchio si chiude perfettamente e sei anni dopo, sei anni dopo, la trappola si chiude.”

Ora l’ex ministro “ a sua insaputa” trova anche la forza o la faccia direbbero i suoi avversari, di tentare un sorriso. Perugia ha chiuso le indagini e il suo nome non c’è.