Vittoria Castellini nuotava nel mare “sicuro”: autostrada fra motoscafi e surf

di Franco Manzitti
Pubblicato il 5 Agosto 2013 - 03:55 OLTRE 6 MESI FA
Vittoria Castellini nuotava nel mare "sicuro": autostrada fra motoscafi e surf

Il corpo di Vittoria Castellini nascosto da un lenzuolo dopo il recupero in mare

GENOVA – Vittoria Castellini nuotava nel mare “sicuro” che ormai non è più tale, ma è una  autostrada fra motoscafi e surf.

Bisogna sapere bene cosa significa nuotare in mezzo al mare per passione, a lungo, tra la costa e l’orizzonte, tra il cielo e le onde su cui plani come se volassi lentamente, aprendo le braccia per spingere l’acqua avanti. Guardi giù e vedi il fondo del mare, gli scogli, o la sabbia e i pesci, molti più pesci di quelli che potevi immaginare. Giri la testa per respirare e scopri il cielo blu d’estate, il sole, la superficie del mare, le piccole creste delle onde se ci sono e la calma piatta di cristallo, se non c’è vento.

Bisogna capire tutto questo per spiegare la tragedia di Vittoria Castellini, 49 anni, madre di due figlie, impiegata in un albergo di Santa Margherita Ligure, grande nuotatrice, maciullata da un motoscafo al largo della scogliera di Camogli, mentre faceva il suo esercizio quotidiano, che non è ginnastica, non è jogging, è una passione vera.

Ora le polemiche infiammano questa vicenda, che ha straziato le vacanze della Riviera Ligure più bella, quella che sta sotto il Promontorio di Portofino, tra il porticciolo di Camogli e la Punta Chiappa e che si estende verso Genova, a Levante e verso gli scogli dorati del Promontorio e poi del Golfo del Tigullio: praticamente un paradiso per le barche, per i turisti, ma sopratutto per chi ama tanto il mare da tuffarsi tutti i giorni e nuotare, nuotare.

Chi ha sbagliato, la povera Vittoria, nuotatrice provetta che batteva il suo crawl, bracciata dopo bracciata in una zona pericolosa, proibita, cioè oltre i duecento metri dalla spieggia e cento dagli scogli o lo sventurato ormeggiatore Daniel Lagno, che guidava il motoscafo Chirigiò e non ha visto la sua vittima, magari perché era entrato nella zona proibita, dove il motore va spento?

Le indagini proseguono tra le boe gialle e rosse che delimitano la zona “nuotabile” da quella esterna, proibita ai nuotatori. Si interrogano i testimoni, mentre un cordone di protezione isola Daniel Lagno, che nega di esersi accorto di avere colpito la nuotatrice: lui ha riportato tranquillamente il suo motoscafo in porto e ha avuto coscienza di quanto era successo solo quando ha visto le motovedette della Finanza intorno alla sua barca. Questo ha dichiarato, prima che il caso esplodesse e che lui fosse isolato.

Chi ha sbagliato? Vittoria Castellini era una notatrice esperta, abile, sicura dei suoi mezzi e della sua esperienza. Sapeva che non si può uscire dalle boe, che bisogna controllare la distanza da terra, sia dalla spiaggia come quella dalla quale era partita praticamente a Recco, il paese che precede sulla costa il goiello di Camogli, o sia dagli scogli, che si incontrano dopo avere attraversato tutto il litorale di Camogli, il porticciolo favoloso, la spiaggia di sassi e poi subito la costa a picco del Monte, quello dove esiste una vera e propria pista per nuotatori, che sono protetti da una grande corsia fino alla Punta, la storica Punta Chiappa.

Ma anche Daniel Lagno era un grande esperto del suo mestiere, manovrare le barche, ormeggiarle e condurle in quella specie di autostrada trafficata che è diventato lo spazio davanti a Recco, Camogli, Portofino, Santa Margherita.

Manovrare il timone, controllare la velocità, rispettare le distanze, controllare la rotta degli altri, stai attento a quella barca a vela che ha la precedenza sempre, occhio a quei turisti che sono usciti sul pattino e chissà dove credono di andare, in guardia con quel gozzo che pesca al bollettino. Manovrare è, o sarebbe, soprattutto, anche guardare il mare dove ci sono i segnali che indicano i sub con il loro pallone rosso e anche i nuotatori long distance che hanno anche loro un pallone legato ad una sagola, rosso con una striscia gialla.

Vittoria non aveva quel segnale che non è obbligatorio, che molti nuotatori considerano un peso, una specie di zavorra alla libertà di volare, pardon di nuotare.

Vittoria non aveva il pallone, era abituata a nuotare a lungo nei limiti consentiti, costeggiando come è prudente fare sempre, mai andare in verticale verso il largo, se sei solo in mare, immerso nella tua beatitudine che è insieme l’immersione a pelo d’acqua, quello stato di sospensione sull’abisso trasparente che ti regge, una bracciata dietro l’altra, una boccata d’aria ispirata e magari la bocca aperta anche quando risprofondi la testa per spingerti più avanti che puoi, il corpo che è teso come un arco, ma senza sforzo, un movimento ritmico, ma senza automatismo, neppure nel ricadere delle goccie in acqua dal braccio disteso o nella respirazione.

Stai sempre all’erta quando nuoti in quel modo, sopratutto d’estate in un mare più popolato e stava sicuramente all’erta Vittoria Castellini quel pomeriggio avanzato, dopo essersi tuffata dalla spiaggia con la sua cuffia, gli occhialini ben aderenti e l’idea di farsi la sua nuotata senza un obiettivo.

Quanti metri, un miglio, due miglia, tanto per arrivare a annusare tra il sale del mare il profumo del Monte, del Promontorio di Portofino che precipita in mare tra pitosfori, agavi, pini a distesa e poi tornare indietro, verso la spiaggia, i vestiti, l’asciugamano, verso il punto di partenza.

Ci sono voluti due giorni per identificare il corpo e quattro per capire il percorso compiuto da Vittoria Castellini, che si era tuffata a Recco, non lontano dalla spiaggia dei Frati ed è stata travolta dal motoscafo quasi seicento metri verso Levante. Indagini da segugi per risalire da una borsa abbandonata sulla spiaggia alle chiavi dell’automobile con il telecomando. Quale era la macchina della sventurata, posteggiata lungo la strada sopra la spiaggia? Roba da Sherlok Holmes per la Capitaneria di Porto, i vigili urbani di Camogli, che non riuscivano a dare un nome a quel corpo sfigurato dall’elica.

Troppo distanti la borsa, la macchina finalmente aperta con le chiavi che hanno fatto scattare il dispositivo, dopo decine di tentatvi, dal punto della tragedia.

Chi ha sbagliato la povera nuotatrice solitaria o il ragazzo che guidava il motoscafo? Nella quarta giornata dopo la sciagura un pezzo di verità è saltato fuori con l’improvvisa testimonianza di un altro nuotatore, che aveva visto tutta la scena dell’ ”investimento” e che si è presentato alle autorità per raccontare quello che aveva visto da non più di quindici metri di distanza, mentre nuotava dietro la Castellini.

“Parlo solo perché bisogna rendere giustizia a quella povera signora, perché al suo posto potevo esserci io – ha racccontato il teste -non eravamo certo a più di centro metri dalla costa, anzi forse meno e il motoscafo è arrivato alzando una onda alta di prua. L’ho visto travolgere la nuotatrice e proseguire senza cambiare rotta. Ho visto le motovedette della capitaneria che poi lo inseguivano per segnalargli di andare in porto…….”.

Parole che pesano come pietre, come gli scogli di quel mare da favola se saranno confermate davanti ai giudici, perchè significano che Vittoria Castellini nuotava nei limiti dello spazio nel quale le barche a motore, di qualsiasi stazza, non possono entrare. Lei, come tutti i nuotatori aveva il suo radar interno, l’esperienza, la capacità di avere un orientamento preciso anche quando sei immerso e nuoti da un tempo anche lungo.

Sapeva di essere in una zona sicura ed avevava anche avvertito il pericolo che si avvicinava, se si era sbracciata, come poi è stato raccontato dai primi testi senza riuscire a farsi vedere dal motoscafo che stava piombandole addosso.

Ma oramai non si è più sicuri, neppure nelle zone protette. Il mare diventa come un’autostrada pericolosa, dove i nuotatori sono pedoni dispersi, senza neppure corsia d’emergenza, difficili da individuare. Gli altri vanno a perdifiato, moto d’acqua, motoscafi, gommoni, gozzi dalla pancia rotonda e il motore inesorabile, perfino wind surfisti che fanno evoluzioni, volando sulla testa del nuotatore, nudo armato solo del suo radar e di un paio di occhialini, che insegue il suo sogno da Forrest Gump del mare, nuotare, andare, non fermarsi, stare in Paradiso, ma basta una elica “pirata” e sei all’Inferno.