Gabbie salariali: l’Italia divisa in due, non solo dai prezzi. La questione meridionale si riaccende

di Stella Morgana
Pubblicato il 5 Agosto 2009 - 11:39| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Dopo i dati resi noti dalla Banca d’Italia sul differente costo della vita tra Sud e Nord, prontamente il leghista Roberto Calderoli  ha lanciato l’idea: tornare alle gabbie salariali. Dalla sua provocazione è nata una vivace polemica che rischia di avvelenare ulteriormente il clima politico dell’agosto 2009.

Caro vecchio Sud: la vita costa poco e forse qualcuno si può permettere qualche lusso in più rispetto all’omologo del Nord. Se il costo della vita nel Mezzogiorno raggiunge soglie decisamente più basse che nel settentrione, i vecchi rancori regionali inevitabilmente si riversano nella politica e così infuria la polemica.

Le cifre di Bankitalia fotografano un meridione dove si spende il 16 per cento in meno per il pane e la casa, così i fautori del nord lavoratore sono tornati alla ribalta, riproponendo il vecchio schema delle gabbie salariali.

Il ministro per la Semplificazione Calderoli ha proposto di  adeguare le buste paga al costo della vita e di vincolare a parametri diversi gli stipendi dei lavoratori del Sud, o almeno quelli che ricevono uno stipendio regolare, non “in nero”, magari da un’azienda con sede nel profondo Nord.

La Lega ha deciso così di rispolverare un meccanismo abolito da quarant’anni, nato nel dopoguerra per differenziare le retribuzioni nelle diverse regioni del paese. Secondo le vecchie tabelle salariali i meridionali già guadagnavano meno dei loro connazionali del Nord, rispecchiando così il diverso livello del costo della vita.

In realtà, come rivela uno studio condotto dalla Cgia di Mestre, i lavoratori meridionali pagano una differenza di stipendio, rispetto ai loro omologhi settentrionali, che raggiunge il 30 per cento. Ovvero un lavoratore settentrionale dichiara mediamente al fisco un reddito annuo di quasi 21.000 euro, mentre un dipendente del Sud ne dichiara 16.000.

Anni di lotte operaie e battaglie dei sindacati hanno smantellato le “gabbie” nel 1969, insieme con le 14 aree in cui era divisa l’Italia. Calderoli aveva già rispolverato i vecchi schemi nel 2004 e il leader del Carroccio, Umberto Bossi ne aveva riparlato nei primi mesi del 2009, suscitando critiche non solo da sinistra, ma dallo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini.

Secondo l’opinione più diffusa, almeno da Roma in su, il Sud spendaccione si fa mantenere dalle fatiche del Nord.In effetti, quando si leggono le notizie sugli sprechi perpetrati nel Sud d’Italia, si veda il caso dell’ ospedale di Agrigento o i vari deficit regionali della sanità, resta difficile dare torto alle critiche. Altrettanto vero però è il fatto che il problemi del Sud non si risolvono con le polemiche strumentali.

Ma nell’Italia divisa e non solo dallo stretto, è proprio in Sicilia che i malumori si riaccendono. In vista del tanto contestato quanto agognato partito del Sud e in vista della discussione sulla redistribuzione dei fondi per le regioni, Gianfranco Miccichè accoglie l’idea delle gabbie salariali, ma con qualche modifica di percorso. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, trascinatore della nuove spinte di secessione del Mezzogiorno replica alla proposta Calderoli: « Se la Lega vuole parametrare le buste paga al costo della vita, possiamo valutare l’ipotesi, purché i costi siano più bassi in tutti i settori: il Sud paghi più basse percentuali Irpef, abbia meno costi per la pubblica amministrazione, compri di meno la benzina… Se dobbiamo ridurre, riduciamo tutto, non solo gli stipendi. E poi, è da dimostrare che al Sud si spende meno. Forse è vero per le case e il pane, ma un maglione Benetton costa lo stesso prezzo al Nord e al Sud».

Nelle parole di Miccichè ci sono elementi di verità: il prezzo di una maglia Benetton. Ci sono anche delle imprecisioni: l’Irpef non è un valore assoluto, ma una percentuale, il cui corrispondente valore sale o sc3ende in funzione della base su cui è calcolato. Miccichè peraltro sembra avere appreso bene la lezione di Bossi e gioca sul terrore che ispira a Silvio Berlusconi il rischio di una secessione, con conseguente perdita di voti in Parlamento, dai due estremi della penisola.

Nonostante le diatribe quotidiane e il solito teatrino di dichiarazioni e smentite dei politici, la questione meridionale è tornata in auge. L’abbassamento delle imposte potrebbe giovare nell’immediato al Sud e soprattutto ai candidati alle elezioni, sul lungo periodo potrebbe fare arenare ancor di più un’economia già affaticata, aumentando così il solco che separa le due Italie.

D’altra parte, una riduzione degli stipendi teorici e ufficiali potrebbe rendere più conveniente l’insediamento di nuove industrie al Sud. L’effetto sarebbe certo limitato, perchè non toccherebbe affatto le retribuzioni del “sommerso”, che già le gabbie le ha ripristinate senza aspettare Calderoli e perché un’azienda non meridionale, sia italiana, sia straniera, ha bisogno certamente di un incentivo sul piano del costo del lavoro, ma questo da solo non basta a rendere competitivi sul mercato internazionale i beni prodotti al Sud: c’è un problema di infrastrutture, di trasporti su strada e su rotaia, ma c’è anche un problema di ingerenze di vario tipo, dal reclutamento dei lavoratori alla sicurezza.