Agenda Monti ambigua. Per i voti moderati secco taglio con la sinistra

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 30 Dicembre 2012 - 16:32 OLTRE 6 MESI FA

Se Mario Monti vuole costruire un’alternativa al berlusconismo e traghettare verso un moderno e riconoscibile rassemblement conservatore di stampo europeo buona parte dell’elettorato che non si riconosce più nel populismo del Cavaliere non può prescindere da due fondamentali direttrici.

Da un lato deve imboccare la strada di una “rivoluzione” antropologica che tenga conto delle sensibilità etiche e culturali di un mondo coincidenti, peraltro, con le sue personalissime sensibilità; dall’altro impegnarsi ad approfondire le differenze – senza per questo assumere le fattezze di “nemico” implacabile (in democrazia dovrebbero esservi soltanto “avversari”) – con la sinistra fugando ogni sospetto di “intelligenza” con Bersani che metterebbe in allarme buona parte dell’elettorato alla ricerca di un equilibrio politico fondato sulla forza dello Stato come garanzia del bene comune.

Il primo obiettivo è di natura culturale, mancato da Berlusconi e generatore della crisi del centrodestra molto più di quanto si sia portati a credere da quelle parti. Perfino coloro che nel Pdl hanno manifestato interesse per il primato dei temi etici, tanto pubblici quanto privati, si sono resi conto (senza peraltro trarne le doverose conseguenze) che la centralità della persona non la si difende con le chiacchiere, ma con l’assidua, tenace, perfino ostinata azione politica volta a stabilire la non negoziabilità di taluni principi.

Monti non ha ancora avuto modo di confrontarsi con una materia tanto magmatica, prima o poi però dovrà prendere posizione se intende dare spessore al suo progetto, che non può prescindere da una considerazione più articolata e complessa della persona in rapporto alla società civile e, dunque, al principio di sussidiarietà, che dovrebbe informare una moderna Big Society, nell’accezione del neo-conservatorismo britannico che sta facendo proseliti ben oltre quei confini politici e geografici. Il che significa riprendere i risultati più significativi derivanti dallo scandaglio dell’economia sociale di mercato e rilanciarli quali fattori di sviluppo sostenibile in un contesto libero dai condizionamenti statalisti ed incline a favorire la crescita di comunità quanto più possibili autonome nella sfera dell’organizzazione dei servizi.

Sul piano più propriamente politico, marcare la distanza con la sinistra, per Monti ,oltre che naturale dovrebbe essere utile alla ridefinizione di un “fronte” non progressista che voglia essere alternativo alla visione del mondo si chi si riconosce nel Pd e potrebbe perfino essere attratto dal “montismo” riguardandolo come elemento di continuità tra un solidarismo depurato dalle scorie del pauperismo ideologico ed un progetto di crescita sostenibile.

Fino a quando Monti, insomma, non assumerà una fisionomia che vada oltre la sua Agenda, sarà ben difficile che i delusi del Pdl abbandonino la prateria dell’astensione per riconoscersi in un movimento di rinnovamento nazionale connotato – forse per la prima volta nella storia repubblicana – da un forte sentimento conservatore che non vuol dire “passatista” o, peggio, reazionario.

È naturale che entrambi gli aspetti rilevati necessitano di una immediata proposizione avviandosi la campagna elettorale prima che nel gorgo delle parole senza idee tutto si confonda e la conflittualità faccia naufragare le buone intenzioni.

Riuscirà il Professore, alle prese con liste e candidature, mettere la testa anche sui contenuti extra-economici e pre-politici, tali da legittimare, ben oltre l’occasione che ha colto, la sua “salita” fin dove un anno fa probabilmente non immaginava di approdare?