Berlusconi ultimo atto. Addio Pdl, ora o mai più

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 21 Ottobre 2012 - 08:34 OLTRE 6 MESI FA
Silvio Berlusconi, nuovo partito? Difficile che lasci il Pdl ora (foto Lapresse)

ROMA – Pdl, ultimo atto. Silvio Berlusconi è ormai prossimo allo strappo finale. Dopo l’uscita di Daniela Santanché, il silenzio eloquente del Cavaliere è apparso come un avallo alla provocazione della sua ex-concorrente nel 2008 che gli portò via più di un milione di voti: è stata poi ricompensata, come si sa, con la poltrona di sottosegretario. Misteri del berlusconismo.

La classe dirigente del partito non ha digerito la risibile presa di distanza che l’ex-leader del centrodestra ha fatto diramare dal fido Paolo Bonaiuti. E respinge, in blocco, al mittente la sconfessione dell’iniziativa della “pasionaria” che si ritiene, a torto o a ragione, partorita ad Arcore.

Intanto Berlusconi, come ammettono alcune sue amazzoni-parlamentari, sta accarezzando l’ipotesi di costituire un gruppo parlamentare autonomo composto da leggiadre deputate e da qualche deputato maschio di complemento, ma non c’è dubbio, da quanto si apprende, che il bastone del comando lo tengono in questa fase le donne che gli sono più vicine le quali pur si affrettano a smentire il nome del nuovo raggruppamento: Fratelli d’Italia.

C’è poco da aggiungere, comunque, alle notizie che si accavallano. La sostanza è inequivocabile. Berlusconi ha bisogno di un nuovo gruppo per potersi presentare alle elezioni senza dover raccogliere le firme che occorrono a chiunque non sia già rappresentato in Parlamento. Tuttavia, il passo finale, cioè il suo distacco dal Pdl, non si decide a compierlo.

E qualcuno dice che è per via dei poco confortanti sondaggi di opinione che lo frenerebbero. A stento, sembra, che il nuovo partitino supererebbe la soglia di sbarramento. Ma per come si sono messe le cose, difficilmente Berlusconi potrebbe tornare indietro. Se lo facesse troverebbe non soltanto un partito disamorato, ma perfino ostile.

Sono tre mesi che lo tiene in agonia e a tempo scaduto non è pensabile che possa rianimarlo con una impossibile iniezione di fiducia posto che lui stesso non ci crede più in quella sua fragile e sconnessa creatura partorita sul predellino di un’automobile in piazza San Babila nel novembre del 2007. Anzi, non fa mistero di provare fastidio per molti dei suoi esponenti che, raccontano i bene informati, quando li vede in televisione ha quasi un moto di disgusto.

Una storia, dunque, è finita. Impossibile riprenderla.

Deve, invece, ricominciare, dopo aver elaborato il lutto, quel che resta del partito. Riunendosi attorno ad Alfano, riequilibrando la classe dirigente, ammettendo i fallimenti, facendo autocritica, ma approntando anche un programma intorno al quale avviare la ricostruzione di un centrodestra che sappia colloquiare con tutti, ma in particolare con i centristi senza soggiacere alle lusinghe di quanti lo vorrebbero ancora alleato con la Lega Nord.

Il Carroccio di Maroni ci sta provando a tornare in pista suggendo sangue elettorale dal Pdl e Berlusconi glielo darebbe volentieri sotto forma della presidenza della Regione Lombardia in cambio di un accordo nazionale, ma se ciò accadesse sarebbe la fine di qualsiasi speranza per quell’area conservatrice, nazionale e liberale di ritrovarsi in una competizione che non può esaurirsi nelle elezioni della prossima primavera e, per dare un senso a se stessa, deve aspirare a poter vincere quanto prima con un’anima rinnovata ed una visione credibile della società italiana ed europea da offrire al proprio elettorato.

La prossima legislatura, infatti, non durerà molto. Se anche dovesse vincere la sinistra, per come sarà composta la compagine bersaniana non potrà aspirare a governare a lungo, sempre che un pareggio non porti, com’è probabile ancora Monti a Palazzo Chigi. Per bene che vada tra uno o due anni si voterà di nuovo, la frammentazione accentuerà l’ingovernabilità, il Parlamento sarà paralizzato dalla presenza di quasi un centinaio di grillini che non saranno propensi a collaborare con nessuno.

La legge elettorale in gestazione sembra fatta apposta per legittimare il caos, con tutto quel che ne conseguirà in termini di tenuta economica e finanziaria. Insomma, un disastro. Se almeno i partiti avessero preso a modello il sistema auspicato dal professor Sartori (doppio turno di collegio e diritto di tribuna per chi soccombe al secondo) probabilmente le prospettive sarebbero state più confortanti.

Su questo orizzonte, dunque, si staglia la fine del Pdl, ma anche il nuovo inizio di un altro possibile centrodestra deberlusconizzato e libero di aspirare a rappresentare le culture di riferimento in un’aggregazione che finora è rimasta informe ed indecifrabile. Ad una sola condizione, naturalmente, che la sua nomenklatura non stia ancora appesa ai fantasmi, che trovi il coraggio di agire, che sia dia una mossa. I suoi “nemici” sono nella cattiva coscienza e nella paura che potrebbe condizionarla. Via dall’immobilismo e fuori gli attributi. Se ne ha, ovviamente. I giochi, paradossalmente, incominciano adesso.