Berlusconi-Bersani: due comizi e un solo risultato, il blocco politico totale

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 14 Aprile 2013 - 13:06 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Due comizi, un solo risultato: il blocco politico totale. Se qualcuno cercava nelle manifestazioni del Pd e del Pdl, a Roma e a Bari, elementi che potessero far intravedere la prospettiva di un superamento dello stallo determinato, ormai cinquanta giorni fa, dall’esito elettorale, è rimasto deluso. Delusione che si poteva risparmiare poiché era prevedibilissimo che i due leader, Bersani e Berlusconi, avrebbero insistito nel ribadire il primo che di “larghe intese” non vuol sentir parlare, mentre vorrebbe i voti del centrodestra sia per eleggere un presidente della Repubblica “condiviso” che per fare dopo un governo; il secondo che o si procede alla costruzione di una coalizione organica tra le due forze maggiori, lasciando da parte Grillo, o non se ne fa nulla: il Pd può anche eleggersi il “suo” capo dello Stato e sperare che dia l’incarico al segretario per costituire un governo di minoranza che altro non potrà fare se non portare il Paese nuovamente alle urne.

Davanti a questo scenario desolante non c’è che prendere atto della fine prematura della legislatura ed attrezzarci psicologicamente a nuove elezioni probabilmente ancora con Monti a Palazzo Chigi (e già questa è un’anomalia gravissima che la dice lunga sullo stato comatoso della nostra democrazia) posto che il nuovo presidente difficilmente darà il via libera a Bersani considerando lo sfacelo del Pd, dove la confusione è al culmine e tutti sono contro tutti: consentire al segretario di andare a Palazzo Chigi e poi candidarsi, contro almeno i due terzi del suo partito nuovamente alla premiership per la quale scalpita Matteo Renzi, sarebbe davvero un azzardo.

Insomma, chiunque sia, anche il nuovo inquilino del Quirinale sarà prigioniero dello “stallo”. E, soltanto per dovere costituzionale, proverà ad affidare l’incarico a qualcuno per farlo battere in Parlamento e per certificare davanti al Paese che non ci sono alternative alle elezioni anticipate. Se il “qualcuno” non fosse Bersani stesso (soltanto Prodi potrebbe osare tanto) inevitabile sarebbe l’uscita di scena definitiva di Monti che avendo già abbandonato il suo partito fondato soltanto quattro mesi si è guadagnato il non lusinghiero primato di “Erode della politica italiana”, con la differenza di aver ucciso nella culla la sua stessa creatura che mai sarebbe dovuta venire alla luce sia perché il Professore non era all’altezza di allevarla sia per il non trascurabile particolare che un’impresa del genere non può nascere dall’improvvisazione di alcuni ambienti tutt’altro che radicati sul territorio, privi di un “sentimento” politico comune e di una visione unitaria dei problemi del Paese. Se poi si aggiunge che la “benedizione” all’operazione Monti è stata data da un vecchio politico in disarmo, ma abbastanza arrogante da immaginare che avrebbe potuto rottamare tanto il centrodestra che il centrosinistra, l’ineffabile Pier Ferdinando Casini che invece dai “montiani”, “montezemoliani” e “riccardiani” si è fatto rottamare, non ci si può stupire che sia fallita.

Ma di queste “patologie” al momento non è opportuno, né interessante curarsi. Rileviamo soltanto che Scelta civica è destinata a confluire in uno dei due schieramenti non appena saranno indette le elezioni e l’apporto che essa darà all’uno e all’altro sarà tutt’altro che decisivo. La più fallimentare esperienza politica degli ultimi decenni non apporterà, insomma, benefici considerevoli a chiunque dovesse accoglierne le frattaglie.

Resta il fatto che di fronte alla settima “discesa in campo” di Berlusconi (annunciata a Bari dove ricandidandosi premier ha posto fine – e per fortuna – alle ambizioni di una classe dirigente destinata a reggere il moccolo: altro che primarie e fanfaluche del genere) sta un Bersani ostaggio di correnti e spifferi che non promettono niente di buono. Che campagna elettorale sarà e soprattutto siamo sicuri che, a giugno o a ottobre, avremo poi una maggioranza abbastanza ampia che possa esprimere e reggere un governo? Il dubbio è forte. I due schieramenti sono divisi da pochissimi punti. E se anche fossero di più, non si diraderebbero le incertezze: al Senato nessuno è in grado di dire chi prevarrà e di quanto. Ecco, basta che nella Camera Alta manchino una manciata di seggi per tornare daccapo alla casella di partenza. In tal caso che cosa si fa? Nuove elezioni ancora? L’effetto Weimar – evocato più volte su questo giornale – non è l’incubo di analisti votati al pessimismo, ma la tragica realtà che sta dietro l’angolo in agguato.

Bersani e Berlusconi, comunque vadano le cose, possono accordarsi su un solo punto (altro che gli otto dell’uno o dell’altro…): ritornare al Mattarellum, una legge che una volta calendarizzata dal Parlamento, può rinascere abrogando semplicemente la vigente: se la Corte costituzionale, come paventa qualcuno, avesse qualcosa da eccepire che eccepisca pure, di fronte allo “stato di necessità” e di “eccezione”, la politica ha inevitabilmente la precedenza. Andiamo a vedere se e dove è capace di spingersi la Consulta considerando che il processo è tutt’altro che incostituzionale, come altri giuristi convincentemente sostengono. Poi, una volta riesumato un sistema elettorale che oggettivamente ha funzionato abbastanza bene (il migliore sarebbe il doppio turno di collegio alla francese), si può tornare alle urne con la fondata speranza di avere finalmente un governo. E’ su questo che il nuovo capo dello Stato dovrebbe esercitare la moral suasion nei confronti delle forze politiche, piuttosto che impantanarsi a decrittare le scartoffie dei “saggi” dentro le quali sfido chiunque a trovare un’ideuzza nuova rispetto a tutte le ipotesi di riforme fritte e rifritte negli ultimi vent’anni.