Daniela Santanchè: Pd non vota, governo a rischio. Chi lo dice agli italiani?

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 3 Luglio 2013 - 15:33 OLTRE 6 MESI FA
Daniela Santanchè: Pd non vota, governo a rischio. Chi lo dice agli italiani?

Daniela Santanchè (foto Lapresse)

ROMA – Oramai è chiaro. Daniela Santanché non verrà mai votata dal Pd ed il Pdl non abbandonerà la sua candidatura alla vice-presidenza della Camera dei deputati. Si può sopravvivere anche con tre vice-presidenti, naturalmente. Ma il regolamento impone che siano quattro a coadiuvare il presidente. Un passo indietro della “pitonessa” verrebbe giudicato dal suo partito “irresponsabile”. Un’insistenza ulteriore il Pd e gli alleati di Scelta civica, oltre i “non alleati” della Lega che pure si sono pronunciati contro l’elezione dell’esponente azzurra, la considererebbero un atto di arroganza insopportabile. E’ probabile che la Camera resterà senza il quarto vice-presidente. Se ne faranno una ragione i deputati, nell’indifferenza dei cittadini che hanno ben altro a cui pensare.

Resta il problema politico. Una impasse di tal genere può giustificare una crisi nella maggioranza? Crediamo di no. Tuttavia è un elemento di frizione che certo non agevola i rapporti tra “diversi” che compongono la coalizione. Ed accentua l’immobilismo che caratterizza il governo Letta. Comprendiamo le difficoltà del premier, ma lui stesso converrà che l’indecisionismo è il male peggiore di qualsiasi esecutivo. Non si può sempre rimandare, prorogare, accantonare e promettere soluzioni che si sa già non vedranno mai la luce propria a causa della singolare composizione della compagine governativa.

Sull’Imu, sull’Iva, sulla legge elettorale, sulle riforme sbandierate, sullo svuotamento delle carceri e perfino sulla messa in sicurezza del sito archeologico di Pompei e sulla precaria situazione in cui versa il patrimonio artistico ed archeologico italiano (su cui si è pronunciato con toni crudi ed ultimativi perfino l’Unesco), dal governo in due mesi non è stato deciso niente, se non appunto rinvii, annunci di mezze misure, rimpalli tra ministeri. Letta sta più a Bruxelles che a Roma: ha tutte le ragioni di questo mondo, naturalmente. Ma dovrebbe capire che non basta rispondere “Vedrò” ad ogni questione che gli viene posta, evocando inconsapevolmente sua associazione bipartisan. Gli italiani hanno bisogno di qualche certezza, non molte: di questi tempi si accontentano di poco.

Vorrebbero sapere se entro la fine dell’anno i loro portafogli resteranno vuoti dopo aver pagato l’Imu e per effetto dell’aumento dell’Iva, spostate di qualche mese per non irritare il Pdl. Oppure se possono farsi un Natale almeno un po’ tranquillo rassicurati che la tassa sulla prima casa verrà abolita, mentre l’Iva non sarà toccata e dunque i prezzi non lieviteranno ulteriormente.

Vorrebbero sapere se le Camere dovessero essere sciolte (evento probabilissimo) la legge con cui voteranno sarà la stessa porcata delle ultime tre tornate elettorali che non ha garantito la formazione di un governo indicato da loro, né la possibilità di scegliersi i rappresentanti oppure verrà totalmente o parzialmente modificata nel senso da tutti sperato.

Vorrebbero poi sapere se alcune riforme strutturali saranno attuate o meno posto che finora non s’è visto niente se non un caotico affastellarsi di commissioni, comitati, sinedri di saggi, tutta roba che li vede esclusi dalle decisioni che attengono alle regole, mentre aspirerebbero giustamente a contare qualcosa partecipando, attraverso una Costituente popolare, alla riscrittura della Costituzione.

Letta non può dare risposte. Ed il suo silenzio, interrotto da sibili che non lasciano spazio neppure a flebili speranze, accentua l’inquietudine dei cittadini che aprono i giornali e leggono che le sorti del Paese sono legate alla soluzione della questione della collocazione della Santanché. Un tempo, quando gli esponenti dell’ingiustamente vituperata Prima Repubblica non davano in pasto all’opinione pubblica i compromessi dai quali nascevano decisioni precedute da inevitabili compromessi che restavano nelle segrete stanze. Oggi accade il contrario: prima l’annuncio, poi il litigio, infine la rottura. Peccato che a pezzi non vadano i partiti, ma quel che resta di una moribonda Repubblica così malamente assistita.