Delinquenti da stadio, i “genny ‘a carogna” d’Italia

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 5 Maggio 2014 - 16:26 OLTRE 6 MESI FA

Delinquenti da stadio, i "genny 'a cargona" d'ItaliaROMA – Ma quale trattativa? I delinquenti travestiti da tifosi non trattano. Decidono. E infatti hanno deciso loro tempi e modi della disputa della finale di Coppa Italia. Al comando di un improbabile capopopolo si sono fatti beffe dello Stato, presente al più alto livello sugli spalti dell’Olimpico, dicendogli, con la volgarità dei gesti, senza sprecare neppure molte parole quindi, che lo stadio, gli stadi, il calcio è roba che appartiene a loro, che nessuno si permetta di metterci sopra le mani. Altro che trattativa.

Con uno che si fa chiamare – e probabilmente se ne vanta  –a carogna o con un altro mitizzato come “Gastone”, reduce da antichi trionfi da curva e munito di armi al punto da usarle a suo piacimento, per quanto noto alle autorità di polizia, si può mai trattare? Il povero Hamsik non avrebbe mai immaginato arrivando in Italia dalla sua civilissima Sovacchia di dover aver a che fare con fini cultori dell’intolleranza che, per quieto vivere, si dice, lo Stato (o meglio il suo simulacro piuttosto grottesco) finge di non vedere per tenersi a debita distanza dai guai. Meglio lasciare nelle mani di guappi di terz’ordine la gestione delle curve piuttosto che opporsi ai gentiluomini che abbiamo visto appollaiati sulle transenne nell’espletamento del responsabile ufficio di rendere note le loro intenzioni allo sconcertato  capitano  di una squadra di calcio, protetto (si fa per dire) da funzionari delle Lega e del Ministero dell’Interno.

La partita andava giocata, si è detto. E soltanto qualche sprovveduto poteva immaginare il contrario. Ma dopo? A bocce ferme, a Coppa assegnata e a festeggiamenti avvenuti, accertato anche che il ferito napoletano era fuori pericolo, un po’ di quella gente che ha deciso unilateralmente la “scaletta” della serata di grande calcio è stata quantomeno avvicinata da chi aveva il potere per farlo tanto per notificarle che, per quanto malmesso, uno straccio di Stato ancora esiste in questa Repubblica di moribondi? Fargli intendere, insomma, che il precario Stato  se ne fotte del Daspo et similia, transitorio o a vita, mentre le galere, per quanto affollate, sono pur sempre eccellenti ricoveri per coloro che sputano  sul cadavere di un funzionario di polizia di null’altro colpevole se non di aver fatto il proprio dovere. Almeno quella maglietta ad un  tale che si fregia del titolo di “carogna” e comanda la “vivace” compagnia gliela si poteva far togliere, senza pretendere che indossasse lo smoking. Ma lo Stato liberale queste imposizioni neppure le prende in considerazione: scherziamo? Per un Raciti qualsiasi rischiare la guerra civile?

E teniamocelo allora questo calcio malato: in fondo rappresenta al meglio lo stato delle cose, cioè a dire la fine dello Stato certificata dalle presenze del presidente del Senato, del presidente del Consiglio, del presidente dell’Antimafia  che sono stati tutti tentati dall’abbandonare l’Olimpico – hanno fatto sapere –  ma nessuno se n’è andato. Se lo avessero fatto un po’ di dignità lo Stato l’avrebbe salvata.

Dieci anni fa, è stato ricordato, uno degli “eroi” di sabato sera impedì la disputa del derby Roma-Lazio; dagli stessi ambienti vennero i ricatti a Sensi; e morti, feriti, minacciati dalle tifoserie non si contano più a maggior gloria di uno sport che è il pretesto per bande di delinquenti per esercitarsi in ciò che meglio gli riesce: praticare la violenza. Che cosa ci vuole per schedarli tutti? Sospendere a tempo indeterminato il campionato fino a bonifica completata? Se ci fosse uno Stato sapremmo a chi chiederlo.

Intanto, non sappiamo perché, ma da dalle 21,00 di sabato scorso scorrono davanti ai nostri occhi le immagini tragiche dell’Heysel di Bruxelles del 29 maggio 1985 e ci accorgiamo che dopo quella strage in nessun Paese europeo è mai più accaduto niente di simile o quantomeno assimilabile. Gli hooligan sono stati sconfitti dal buon senso, le leggi si sono rivelate efficaci, gli stadi sono stati ammodernati e messi in sicurezza. La gente si gode le partite senza temere agguati, scazzottate, intemerate violente tra tifoserie contrapposte. Soltanto in Italia scorrazzano, perlopiù impuniti,  delinquenti che si spacciano per tifosi fidando sull’impunità. Perfino i serbi, se devono sfogarsi senza pagare dazio, si fanno un week end dalle nostre parti, come accadde a Genova il 13 ottobre 2010 quando impedirono il regolare svolgimento dell’incontro tra la loro nazionale e quella italiana. A Belgrado, comunque, a Ivan Bogdanovic, terrore locale degli stadi, avvezzo ad aizzare le curve, come fece a Marassi, non gliel’hanno fatta passare liscia: per le sue imprese è finito in galera, con buona pace dei più facinorosi tra i  tifosi della Stella Rossa che ne avevano fatto un mito, senza peraltro elevarlo al rango di “carogna”.