Elezioni. Ci toccherà rivotare entro l’anno. Sempre meglio della grande coalizione

Pubblicato il 1 Febbraio 2013 - 11:38| Aggiornato il 19 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Prepariamoci a votare un’altra volta entro l’anno o, al massimo, nei primi mesi  del prossimo. Non ci ha dato di volta il cervello. È l’ipotesi che ragionevolmente si profila sulla base dei sondaggi di opinione e delle analisi degli osservatori. Lo spettro dell’ingovernabilità, infatti, si allunga sull’esito della consultazione elettorale e precipita nell’umore più nero i partiti. Tutto dipende dal risultato nelle cosiddette regioni in bilico.

Dato per acquisito il Veneto al centrodestra, restano la Lombardia e la Sicilia a determinare la maggioranza al Senato. Basta che una delle due, più probabilmente la prima, venga conquistata dal centrodestra ed il gioco è fatto. C’è anche chi ritiene pericolante per Bersani la Campania, ma non credo: la composizione delle liste berlusconiane  è stata talmente demenziale da aver regalato in anticipo la vittoria a Pd e a Sel nonostante il disturbo di Ingroia. Adattiamoci, dunque, all’idea che a Palazzo Madama il centrosinistra non avrà la maggioranza e, pertanto, Berlusconi, entrato in campagna elettorale già battuto, potrà cantare vittoria come se avesse ottenuto la maggioranza assoluta.

Se le urne dovessero sancire l’ingovernabilità, è chiaro che la responsabilità ricadrebbe sulla classe politica che in cinque anni, prendendo in giro i cittadini, non ha voluto riformare la legge elettorale varata nel 2005 dal centrodestra, in particolare per impulso di Casini e del suo partito che trovarono nel leghista Calderoli un efficientissimo esecutore. Allora l’obiettivo, certamente non voluto, ma prevedibile, previsto e denunciato fu di impedire un chiaro esito del responso delle urne e rendere problematica la costruzione di maggioranze omogenee in entrambi i rami del Parlamento.

I risultati del 2008 sembrarono tuttavia smentire ciò che si era già verificato due anni prima, quando vinse per pochi voti la coalizione guidata da Romano Prodi, che ottenne soltanto tre seggi in più al Senato. Poi la scissione del gruppo di Fini palesò tutta la fragilità di un sistema che poteva essere sconvolto, per le ragioni più varie, proprio in virtù di una normativa che non lo metteva al riparo dal trasformismo. Una storia che si può ripetere, sia pure in altre forme rispetto ai possibili cambi di casacche che abbiamo visto nel passato.