Gli antinuclearisti dell’ultima ora

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 16 Febbraio 2010 - 17:37| Aggiornato il 30 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Tutti antinuclearisti. A scoppio ritardato, per di più. Ritengono forse di andare incontro allo spirito del tempo, ma non si sono accorti che esso è cambiato. E così i candidati alla presidenza delle Regioni del centrodestra stanno dannandosi l’anima e perdendo credibilità nell’inseguire una sinistra in disarmo nell’opporsi alla costruzione delle centrali nucleari. Non ce lo aspettavamo. Immaginavamo che il realismo avrebbe avuto la meglio sulle utopie che hanno portato l’Italia ad elemosinare energia dai Paesi vicini, ma non è così. Dobbiamo ricrederci.

Nessuno vuole nella propria Regione una centrale ritenendo di assecondare in tal modo un sentimento diffuso, ma si sbaglia. Secondo un recente sondaggio la maggioranza degli italiani, più esattamente sei su dieci, è a favore del nucleare, non temendo contraccolpi per la salute (come ha testimoniato di recente anche il professor Umberto Veronesi), né inquinamento ambientale poiché si tratta di energia pulita. E allora? Ignoranza e demagogia. Non possono esservi altre spiegazioni per giustificare la posizione assunta. Tanto più sorprendente perché in contrasto con il programma del governo e gli impegni assunti dal ministro Claudio Scajola di dotare, in tempi ragionevolmente brevi, il nostro Paese di una struttura nucleare all’altezza dei bisogni della comunità e delle ambizioni produttive e di sviluppo di una grande nazione.

Il ministro dello Sviluppo economico è in difficoltà, oggettivamente. E dopo aver sopportato i pronunciamenti di Formigoni, Polverini, Zaia, Palese, Caldoro, non gli sarà facile continuare a sostenere che i lavori per la costruzione delle nuove centrali cominceranno entro il 2013, allo scadere della Legislatura, a meno che non sia costretto ad ingaggiare con i nuovi “governatori” un braccio di ferro davanti alla Corte costituzionale dal momento che il conflitto sarà inevitabile poiché si è di fronte ad una materia soggetta a legislazione concorrente, grazie alla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione. Riforma che non tenne conto della tutela degli interessi strategici nazionali (ed il nucleare lo è) e, quindi, del “bene comune”.

È di questo soprattutto che si tratta, del bene comune appunto, una volta ritenuto fondamento dell’azione politica, dimenticato tra le anticaglie dove s’affollano tutte le buone idee verso le quali un tempo amministratori locali e politici di primo piano mostravano un rispetto che oggi è difficile riscontrare.

Un certa propaganda, che con difficoltà definirei “ambientalista”, si è impossessata della lotta al nucleare e fa specie che abbia soggiogato anche buona parte della destra, mentre, a dire la verità, non trova più neppure a sinistra accesi sostenitori.

C’è poco da stare allegri. Forse la soluzione sarebbe quella di ricondurre integralmente la politica energetica sotto la responsabilità del governo nazionale, con l’auspicio che si imbocchi la strada giusta dopo aver perso tanto tempo inutilmente. Gli italiani leggerebbero con minore apprensione la bolletta dei consumi elettrici.