Per fortuna che Napolitano c’è

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 28 Giugno 2012 - 19:23 OLTRE 6 MESI FA

Giorgio Napolitano (foto Lapresse)

ROMA – Per fortuna che Napolitano c’è. Più che capo dello Stato, uomo politico di buonsenso. Votato, come attesta ormai tutta la sua non facile permanenza al Quirinale, alla ricerca del bene comune. Nella faticosa e diuturna funzione di moderatore delle intemperanze degli sfasciacarrozze in servizio permanente effettivo più d’una volta, come si ricorderà, è dovuto intervenire per raffreddare i bollenti spiriti di chi spingeva per tornare alle urne. Lo ha fatto per l’ultima volta ieri, 27 giugno, e, da cittadini ancora capaci di apprezzare la ragionevolezza piuttosto che lasciarsi sopraffare dallo spirito di fazione, gliene siamo grati.

Incurante delle pulsioni suicide che percorrono le forze politiche, il presidente della Repubblica è stato durissimo e perentorio: si vota nel 2013 e cioè alla scadenza naturale della legislatura. Non ha avuto neppure bisogno di elencare i motivi elementari che gli impongono di mettere un freno alla furia devastatrice di chi non ha le idee chiare e cerca di annegarle nel cupio dissolvi di una politica nutrita di risentimenti, rancori, rivalse, mentre questo Paese agonizza e non soltanto a causa della crisi economica dalla quale non riesce a venir fuori, ma perché soprattutto ha perduto quel collante morale e civile che in altri tempi è stato l’antidoto a pur incombenti derive antidemocratiche.

Adesso, un giorno sì ed un altro pure, nel bel mezzo di uno sfacelo epocale c’è chi irresponsabilmente gioca sulla pelle del Paese avanzando, senza peraltro neppure dirlo esplicitamente, la pretesa di tornare prematuramente elezioni come se fossero la panacea di tutti i mali. Se Napolitano è dovuto intervenire è perché la conflittualità si è accentuata al punto da diventare incontrollabile. Se avesse ancora aspettato probabilmente la maionese sarebbe impazzita e gettarla nella pattumiera. Non ci illudiamo che con la sua intemerata l’inquilino del Colle abbia messo finalmente a tacere i ridicoli protagonisti di una querelle priva di senso. Torneranno alla carica, vedrete. E ci vorrà tutta la forza dei pochi ragionevoli per arginare la voglia di sfascio che s’è impossessata dei moribondi di Montecitorio e di Palazzo Madama.

Ma quand’anche gli si spalancassero le porte delle elezioni ad ottobre che cosa se ne farebbe, per esempio, il Pdl? Constaterebbe la sua minorità nel Paese ben più di quanto attestino i sondaggi di opinione. Ed il Pd che probabilmente avrebbe tutto da guadagnare, sarebbe poi in grado di governare con Vendola e Di Pietro oppure con Casini e, siccome al peggio non c’è mai fine, magari con tutti quanti insieme appassionatamente, mentre il Cavaliere di nuovo in groppa ad un qualche destriero condurrebbe alla disfatta un improbabile centrodestra costituito da ciò che resta del suo partito e da una “Lega buona” (non abbiamo capito quale sia, onestamente)? Altri straccioni di Valmy, inutile dirlo, si preparano alla bisogna. Non occorre enumerali. Ma nessuno, proprio nessuno, sembra intenzionato a guardarsi dentro, a rimettere ordine in casa sua, a presentarsi con un minimo di decoro all’elettorato quando sarà il momento e chiedere i consensi sulla base di programmi comprensibili e di progetti che potrebbero essere condivisi.

Per dirne una: l’altro giorno il Senato, sia pure per pochi voti, ha approvato i cosiddetto Senato federale. Niente di più di una prova d’orchestra tra Pdl e Carroccio. Non reggerà certamente alla prova del passaggio alla Camera. Ma al di là di questa bruttura, firmata come la legge elettorale dall’ineffabile Calderoli, contraddittoria e sconclusionata giuridicamente, vi è qualcuno che si sia chiesto com’è possibile che s’istituisca uno Senato federale in uno Stato centralista? Banale interrogativo, si dirà. Infatti lo è a tal punto che i Soloni nostrani non se lo sono neppure posto. Per loro, o qualcuno di loro, cambiare un istituto rappresentativo senza modificare la struttura dello Stato è del tutto normale, purché sia funzionale a rappattumare ciò che non può stare insieme, come un’alleanza finita che, oltretutto, non aveva neppure portato tanto bene a chi l’aveva stipulata.

Il centrodestra ed il centrosinistra devono ridefinirsi. E non possono farlo nascondendosi dietro il paravento di Monti. Tantomeno possono evitarlo, tanto per confondere gli elettori, invocando le elezioni anticipate nella certezza di gettare il Paese nel caos e di vederlo massacrato dagli speculatori. Aprile, comunque, è vicino. Le temano le elezioni invece di chiederle i partiti. E, se ne sono capaci, reinventino se stessi. Gli ne saranno grati i loro stessi elettori. Come lo sono a Napolitano.