Partiti senza visione, per Movimento 5 stelle una prateria di voti da conquistare

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 7 Agosto 2016 - 14:59| Aggiornato il 8 Agosto 2016 OLTRE 6 MESI FA
Partiti senza discussione: così appassisce la politica

Partiti senza discussione: così appassisce la politica

Sono passati due mesi dalla prima tornata delle amministrative che hanno provocato un terremoto politico le cui conseguenze sul quadro generale si stanno si stanno manifestando un po’ per volta. Eppure i partiti (o simil-tali) non sembrano interessati all’accaduto distratti come sono dalla conservazione di se stessi e, dunque, incuranti della sostanziale bocciatura da parte dei loro elettorato di riferimento.

Un tempo, quando la politica era un’altra cosa, e la partecipazione dei militanti e dei dirigenti attraverso gli organismi rappresentativi dei partiti, bene o male, favoriva la discussione culminante nella mitica “analisi del voto”, solitamente celebrata nei comitati centrali e nelle direzioni nazionali, da essa veniva fuori quasi sempre qualche spiegazione dell’accaduto e, non di rado, anche soluzioni drastiche o più lievi determinazioni in grado di bloccare le negative tendenze manifestatesi.

Adesso di questi riti giudicati “antiquati” nessuno tiene più conto ed i risultati si vedono. Prendiamo il Pd come esempio emblematico della negazione del confronto politico. Renzi, dopo il non esaltante (per usare un eufemismo) responso elettorale, si è trincerato dietro un ottimismo di maniera, rilanciando la sua autocratica conduzione del partito in una seduta della direzione derubricata a pura formalità statutaria nella quale neppure l’ombra di un dibattito è affiorato.

Antonio Bassolino, con tenacia, reclama una reazione da parte del gruppo dirigente ed osservando la catastrofe napoletana si chiede, senza riuscire a darsi una risposta, che cosa stia succedendo. La minoranza interna cerca, come può (male a nostro giudizio) di riprendere il filo di un’opposizione smarrita al segretario-premier dimentica che è stata essa ad offrirgli su un piatto d’argento le chiavi del potere. La “ditta”, insomma, mettendosi nelle mani dell’ex-sindaco fiorentino ha abdicato al suo ruolo critico ritenendo che basti qualche intervista al vetriolo del solito D’Alema per smuovere le acque. Anche da parte di coloro che si riconoscono in Bersani e Speranza nessun accenno alle cause della disfatta.

Sul fronte opposto, in quel che resta di Forza Italia, ridotta a Roma a poco più del 4% e sconfitta in casa sua a Milano, immaginare una sia pur minima discussione intorno al voto è pura follia. Non c’è stata al tempo dell’incontrastato dominio di Berlusconi, quando il centrodestra furoreggiava, figuriamoci ora nelle mani tremanti dei diadochi che si disputano brandelli di potere consapevoli della difficoltà di conservarli fino alle prossime politiche. Un “alieno” come Parisi, a cui Berlusconi ha dato il mandato di effettuare una ricognizione tra le rovine del movimento, non avrà vita facile. E figuriamoci se proprio a lui, battuto nel capoluogo lombardo, potrebbe venire in mente di proporre un’anacronistica analisi del voto che rinfocolerebbe odi, invidie e diffidenze nel partito illividito da tanti acciacchi non curati per tempo.

Altrove non ci si comporta diversamente, da sinistra a destra, tra partitini e gruppi parlamentari che nascono e muoiono con una facilità impressionante: tutti cercano di tirare a campare dando luogo a spettacoli di puro trasformismo quali mai si sono visti nella pur non avara storia repubblicana. La loro rappresentatività, di conseguenza, inevitabilmente si assottiglia o è irrilevante quando si manifesta eccentrica o estemporanea.

Insomma, non si discute più di politica e la politica appassisce con i partiti che dovrebbero sostenerla. E’ francamente sconcertante. Ed avvicinandosi il referendum sulla bizzarra riforma della Costituzione (mai, in nessun luogo, riformata nel modo in cui sta avvenendo in Italia…) piuttosto che un confronto nel merito della questione le forze parlamentari si accapigliano sugli esiti: vale a dire la permanenza di Renzi o la sua dipartita da Palazzo Chigi. Il tutto, per quanto surreale, dà la dimensione dell’assenza di culture politiche di riferimento che dovrebbero sostanziare l’azione dei partiti.

Hanno un bel dire i sopravvissuti della “vecchia politica” che nella melassa sparsa a piene mani dai “nuovisti” di ogni tendenza affoga la sia pur minima speranza di veder rinascere proposte e visioni. E’ fatale che in questo stato il Movimento 5 Stelle ha davanti a sé praterie infinite da occupare mentre i “partitanti” fanno finta di non accorgersi che il loro tempo è davvero scaduto. Non possono invocare neppure i “supplementari”, esauriti anch’essi. Restano i rigori, ma saranno battuti a porta vuota.