ROMA – Sembra che a Berlusconi il Pdl non piaccia più. Nel suo entourage si dice che voglia ribattezzare la sua creatura politica tornando al passato: Forza Italia. Avrebbe, sostengono i bene informati, più appeal secondo il Cavaliere e, dunque, maggiore capacità attrattiva sull’elettorato di centrodestra.
Del resto, ragiona il capo supremo, che bisogno c’è di chiamare Popolo della libertà un partito che non è più diviso tra componenti fondanti lo stesso, come ha deliberato il Consiglio nazionale? La domanda – se davvero è questa – è posta male. Berlusconi, infatti, sa che l’organismo che ha stabilito, su proposta del segretario Alfano, la fine del riconoscimento delle quote rappresentative (70% Forza Italia, 30% Alleanza nazionale), non si è assolutamente pronunciato sul cambiamento del nome come conseguenza dell’apparentemente riuscita fusione che, del resto, è più una finzione dal momento che nel Pdl continua la proliferazione di gruppi, sigle, associazioni, fondazioni e così via dietro le quali si celano, neppure tanto bene, correnti pronte a diventare micro-partiti.
Se ciò accadesse davvero, ed in maniera ordinata, non sarebbe poi un male. I responsabili del Pdl, a cominciare da Alfano, dovrebbero prendere atto che lo sformato cucinato dal Cavaliere non è riuscito bene ed allora è meglio organizzare una rete di soggettività politiche che magari si federano e danno luogo ad una nuova forma partito, non più monolitica, ma certamente in grado di intercettare i diversi segmenti di elettorato del centrodestra, piuttosto che restare abbarbicati ad un movimento che si sfalda e non costruisce politica.
Altro che rifare Forza Italia. Non si riattacca per miracolo ciò che si è volontariamente demolito, per giunta senza ragione e non tenendo conto delle conseguenze.
Intendiamoci, il partito unico poteva essere una prospettiva interessante, nel quadro di un bipolarismo maturo, non rissoso e muscolare, ma bisognava arrivarci seguendo un percorso certamente accidentato, che però avrebbe portato, alla fine, ad una assimilazione tra le componenti e non all’incorporazione per annessione di una o più forze politiche. Insomma, il criterio di utilizzare la logica del diritto societario è stato il vizio d’origine del Pdl dal quale sono discesi tutti i guai che oggi lo stesso Berlusconi lamenta. Unitamente alla selezione (si fa per dire) di una classe politica e parlamentare quantomeno discutibile che non ha saputo o potuto portare idee al movimento che avrebbe dovuto riunire i cosiddetti “moderati”.
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