S&P mette l’Italia in serie B. Il rischio colonialismo finanziario

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 15 Gennaio 2012 - 20:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Non è necessario avere profonde conoscenze di economia e finanza per capire che le agenzie di rating giocano in proprio e non sono delle associazioni umanitarie. Nel magico mondo delle speculazioni, questi organismi che hanno avuto origini, percorsi e vicende non sempre lineari e talvolta perfino indecifrabili, determinano le fortune o le disgrazie di popoli giocando con i loro destini come se fossero poste di un gigantesco Monopoli. Non saprei in base a quale accordo gli Stati hanno deciso di farsi dominare da Standard & Poor’s, Moodys, Fitch il cui obiettivo è quello di emettere  pagelle in base alla solvibilità economica o alla stabilità politica delle nazioni, quantizzando quindi il rischio di investimento nelle loro pubbliche finanze. Ragion per cui dalle elucubrazioni macro-economiche e matematiche di questa o di quella agenzia, gli Stati che finiscono sotto osservazione e magari vengono declassati in base a criteri assolutamente discutibili e discrezionali si trovano improvvisamente nelle condizioni di minorità anche se hanno, come si dice, i “fondamentali” dell’economia reale (quella che conta o dovrebbe contare) a posto.

Per questo perverso gioco a cui tutti sembrano sottostare (e non si capisce perché), l’Italia, dopo l’ultimo declassamento effettuato da Standard & Poor’s vale sui mercati quanto il Kazakistan, pur essendo la sua economia la sesta o la settima del mondo. Le conseguenze sono evidenti: il suo peso diminuisce, il valore azionario delle sue aziende precipita, il suo debito pubblico è molto meno appetibile e, dunque, gli investitori si tengono alla larga dai suoi titoli pubblici. Una catastrofe finanziaria che ovviamente si ripercuote con effetti drammatici sull’economia, la produzione, l’occupazione,  i consumi.

Insomma, le agenzie di rating si muovono come una volta le armate contro i popoli. Si dirà che il paragone è esagerato: può darsi. Ma come contestare gli esiti dell’immiserimento che il downgrading provoca, l’insicurezza che diffonde, i conflitti che indirettamente accende nella sfera sociale dove si materializzano i fantasmi della povertà e della recessione?

Non so quali saranno le conseguenze dell’Italia in serie B e di buona parte dell’Europa commissariata dalle agenzie di rating. Capisco solo che la politica, di fronte alla massiccia offensiva di queste organizzazioni, conta meno di niente. Quel che accade certifica, in maniera eloquente e addirittura lugubre, come la morte degli Stati-nazione sia stata scientificamente programmata da centrali finanziarie che non rispondono a nessuno se non ai loro azionisti che riscuotono i dividendi dei debiti sovrani dopo essersene impossessati attraverso la speculazione che avviene anche per le vie tortuose del declassamento. Non è vero che gli speculatori non hanno nomi e volti. Basta saperli cercare nel grande circuito bancario mondiale, al quale – nonostante l’ indipendenza  che rivendicano – le agenzie di rating sono legate.

La politica, debolissima naturalmente, presta il fianco alle operazioni più spericolate e quando non ce la fa più, offre gli ultimi brandelli della sovranità che non ha saputo difendere al Fondo Monetario Internazionale il quale, ben lieto di elargire prestiti a tassi  usurari, detterà pure agli Stati che bussano alla sua porta condizioni politiche tali da somigliare ad una sorta di acquisto degli stessi. Vogliamo chiamarlo colonialismo finanziario?

Ecco. Il destino dell’Italia insolvente e declassata potrebbe essere questo. Sarebbe pur sempre in buona compagnia. Quasi tutti gli Stati europei, infatti, potrebbero fare la stessa fine. Allora sì che avremmo l’Europa unita.