Voto il 16-17 giugno? Una legislatura già finita

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 9 Marzo 2013 - 11:45| Aggiornato il 17 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A pochi giorni dall’inaugurazione, la diciassettesima legislatura sembra già finita. L’impossibilità di mettere su uno straccio di governo la condanna all’eutanasia. Per di più, la flebile speranza che Pd e Pdl appoggiassero insieme un governo di transizione, giusto il tempo di varare la legge elettorale, è svanita sia per l’ostinazione del primo a “contaminarsi” con Berlusconi, sia per il terrore del Cavaliere di arrivare fuori tempo massimo alle elezioni, vale a dire con un altro paio di condanne sul groppone che lo renderebbero ineleggibile.

Nel Pdl, per tutta risposta ai dinieghi del Pd di trovare una soluzione, è maturata la convinzione, che niente e nessuno a questo punto riuscirà a smontare, di tornare alle urne in tempi brevissimi.

A metà aprile verrà eletto il nuovo capo dello Stato che agli inizi di maggio inevitabilmente sarà costretto a sciogliere le Camere e a giugno, presumibilmente il 16 ed il 17, si voterà. Questa, al momento, è la prospettiva più credibile che non ammette subordinate.

È facile immaginare che non vincerà nessuno un’altra volta. Il Movimento 5 Stelle potrà anche diventare il primo partito, ma non avrà la forza di formare un governo: il Pd, inevitabilmente penalizzato dai risultati, gli renderà pan per focaccia; il Pdl non si metterà a disposizione di Grillo con cui non condivide assolutamente nulla.

Le conseguenze di quel che accadrà sono già scritte nei report di Standard & Poor’s e di Fitch. Ciò che non è scritto, che però che tutti immaginano, è l’intrecciarsi dell’immobilismo politico con la crisi economica e con l’esplosione del conflitto sociale. Uno scenario da incubo. Del quale porteranno la responsabilità tutti i soggetti (liste improvvisate e partiti strutturati) che hanno favorito, con la loro miopia, la frammentazione del quadro politico senza fornire una sola risposta alla domanda di protezione istituzionale che i cittadini chiedevano.

La riforma elettorale – Mattarellum o doppio turno (inutile prendere in considerazione esotici sistemi che hanno già abbondantemente gettato nel discredito mediocri mestieranti della partitocrazia quando hanno finto di essere scienziati della politica) – avrebbe quanto meno garantito rappresentatività e governabilità, limitando la portata dirompente dei gruppi anti-sistema che, come quello di Grillo, non fanno mistero di impossessarsi della rabbia degli italiani e lanciarla contro il Palazzo senza però farci sapere che cosa vogliono costruire sulle macerie della Repubblica.

Possibile che di fronte ad una simile prospettiva nessuno mostri un sussulto di resipiscenza e cerchi di guardare oltre le staccionate del proprio orto? Possibile. E tragico. La democrazia italiana si sta consumando non soltanto per l’alto tasso di corruzione che la divora, per l’inadeguatezza delle sue classi dirigenti, per l’invecchiamento delle istituzioni impermeabili al rinnovamento, ma anche per la sfiducia (più che comprensibile) dei cittadini sui quali si è avventata una sciagura dai contorni biblici: l’espropriazione della loro dignità che si sostanzia nella insopportabile precarietà del vivere su cui incombe lo spettro di un impoverimento inimmaginabile fino a pochi anni fa.

L’irresponsabilità dei politici, custodi degli egoismi che li tengono prigionieri, sta disperatamente conducendo l’Italia verso il baratro. Le loro risibili proposte (leggete l’articolo di Ricolfi sulla “Stampa” per rendervi conto dell’insostenibile leggerezza delle ipotesi incomprensibili che il Pd spaccia come programma di governo) non sono praticabili. Alle elezioni, dunque. E che il balletto sgangherato dei sondaggi riprenda, come un banale gioco di società, tanto per riempire le nostre giornate illudendoci che qualcosa cambierà.