Elezioni politiche in Francia: un voto da cui dipende il futuro di Macron, 7 settimane dopo la sua riconferma

Elezioni politiche in Francia, l’indifferenza generale domina il voto che in due turni ridisegnerà il parlamento francese.

Sette settimane dopo la riconferma di Emmanuel Macron all’Eliseo, solo il 45-46 per cento degli elettori, secondo i pronostici, farà lo sforzo di andare ai seggi. Probabilmente un record negativo per uno scrutinio nazionale. Eppure, la posta in gioco non è poi così secondaria. Esclusa l’ipotesi di una maggioranza governativa anti-Macron, resta da vedere se la coalizione del presidente otterrà la maggioranza assoluta dei seggi o soltanto quella relativa. La seconda ipotesi sembra più probabile, la prima non è del tutto impossibile.

   Le elezioni politiche confermeranno lo scenario politico emerso in aprile. Ricordiamo i risultati del primo turno. Macron ha ottenuto il 27,85 %, Marine Le Pen il 23,15 % e il candidato della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, il 21,95 %. Al posto della tradizionale contrapposizione destra-sinistra, il paesaggio politico si è riconfigurato attorno a tre poli: centrista, populista di destra, populista di sinistra.

Il centro stretto fra opposti populismi

L’estrema destra (Le Pen e Eric Zemmour) ha superato il 30 per cento e gli opposti populismi hanno avuto più del 50 per cento dei suffragi. Basta tener presente questi dati per capire quanto è stata fragile l’elezione di Macron (58,5 % al ballottaggio). Ha vinto per difetto, per l’assenza di personalità convincenti. E ha privato così l’elettorato francese dal gusto di tagliare la testa, ogni cinque anni, al monarca repubblicano uscente.

   Il rinnovo dell’Assemblea nazionale a poche settimane dalle presidenziali può difficilmente rovesciare le carte in tavola, ma può cambiare gli equilibri e rendere più fragile il potere dell’Eliseo. Oggi, il nemico principale di Macron non è più Le Pen, bensì Mélenchon.

Il suo programma è certamente inapplicabile: pensione a 60 anni, disobbedienza civile alle regole europee, rubinetti della spesa pubblica aperti a tutto gas per rilanciare l’economia, senza contare le ambiguità sulla Russia e la volontà di abbandonare la Nato.

Eppure, Mélenchon è riuscito a convincere quel che resta del Partito socialista (meno del 2 % alle presidenziali) e i Verdi (meno del 5%) a unirsi con lui per le politiche. Grazie alla manovra può adesso contare su un blocco di voti attorno al 27-28 per cento, equivalente a quello macronista, mentre l’estrema destra dovrebbe avere un 23-25 per cento. Al secondo turno di domenica 19, il partito presidenziale uscirà vincitore, ma forse senza raggiungere la soglia dei 289 deputati, cioè la maggioranza assoluta.

Un presidente senza maggioranza, incognita elezioni

   Non sarebbe la prima volta che un presidente si trova a governare con un una maggioranza relativa. Per cinque anni, tra il 1988 e il 1993, i governi di François Mitterrand imposero il loro volere al parlamento con 275 deputati su 575. Ma all’epoca il ricorso al voto di fiducia (che in Francia è piuttosto la « non sfiducia ») era libero, mentre oggigiorno è fortemente limitato dalla riforma costituzionale del 2008.

Governare con meno di 289 deputati è quindi delicato, richiede diplomazia e pazienza, due doti poco compatibili con il carattere di Macron. Il disinteresse dei francesi è dunque uno sbaglio, poiché il voto avrà un riflesso sui prossimi cinque anni. Ma è al tempo stesso l’ennesima riprova della crisi delle democrazie rappresentative occidentali: giovani e classi popolari andranno in massa al mare invece che alle urne.

 

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