Tre populismi in Italia: Beppe Grillo, Salvini e…Renzi. Ecco perché vuole la scissione

di Giancarlo Tartaglia
Pubblicato il 21 Febbraio 2017 - 06:43 OLTRE 6 MESI FA
Perché Renzi vuole la scissione del Pd? Il suo populismo contro Grillo e Lega

Perché Renzi vuole la scissione del Pd? Il suo populismo contro Grillo e Lega

Il filosofo marxista Paolo Virno sostiene che non si debba utilizzare la parola “populismo” perché essa è una delle formule verbali più cariche di impostura, anzi un imbroglio concettuale. Occorre, a suo avviso, continuare a parlare soltanto di destra e di sinistra. Ma è proprio cosi? Non esiste una categoria politica che possiamo definire populismo? Non è possibile individuare connotati precisi che lo caratterizzano? Per populismo si intende quel sentimento politico che si nutre di antipolitica e ritiene, appunto, che la fonte di tutti i mali risieda nella politica, nella classe politica e in chi detiene, comunque, un potere decisionale. I politici sono tutti ladri e, di conseguenza, le strutture rappresentative della politica, dalla Camera al Senato, andrebbero abolite.

Di questa diffusa “cultura” populista esistono oggi, purtroppo, molte espressioni in tutto il mondo occidentale.

L’ Italia, che non è da meno degli altri Paesi, presenta un fronte populista molto ampio, cui corrisponde la grande maggioranza degli elettorati. L’unica fortuna è che questo fronte è  frastagliato in diverse anime, che sono tra loro in competizione. Non vi è dubbio che la maggiore espressione del populismo nostrano sia costituita dal movimento pentastellato di Beppe Grillo.

Un movimento nato dalla protesta raccolta e incanalata nella rete che, proprio perché populista, non può essere considerato né di destra né di sinistra. Un movimento nel quale sono presenti tutte le pulsioni antisistema: contro il Parlamento, contro la classe politica, contro la politica stessa. Non è casuale che il movimento grillino ripercorra la strada che subito dopo la liberazione fu imboccata da Guglielmo Giannini, dal suo giornale e dal movimento dell’ Uomo Qualunque. Anche il qualunquismo rappresentava la “protesta” contro la classe politica, sia quella fascista, sia quella antifascista. Per Guglielmo Giannini la guida dello Stato doveva essere affidata ad un bravo ragioniere. Non diversamente la pensano i seguaci del Grillo parlante.

Sempre all’area del populismo deve essere iscritta la Lega di Matteo Salvini, anch’essa un movimento protestatario antistatalista, antieuropeista, antieuro. Tutte caratteristiche che lo accomunano al movimento di Grillo. In più nel bagaglio populistico di Salvini c’è anche una nota razziale, anti immigratoria, che di questi tempi non guasta mai.

Ma, attenzione, perché l’area populista non si limita a Grillo e Salvini. Vi è anche un altro personaggio che con Grillo e Salvini è in concorrenza, ma si muove sulla stessa onda d’urto antisistema. Stiamo parlando di Matteo Renzi e del renzismo. L’ascesa trionfante di Renzi alla guida del PD prima e del Governo dopo è stata tutta all’insegna del populismo: rottamare la classe politica, ridurre gli spazi decisionali del Parlamento, imporre la religione del fare e del fare in fretta. Tutto questo cosa è se non populismo? Anche Renzi, come Grillo e Salvini, ignora che le società complesse si possono governare soltanto con la mediazione e il compromesso, perché mediazione e compromesso sono alla base di una corretta democrazia.

Ovviamente, nel suo percorso Renzi è stato frenato proprio dall’essere il segretario di un partito che, nel bene e nel male, si richiamava a precise tradizioni storiche della cultura politica italiana. Il PD era l’ultima tappa della confluenza di quello che era stato il Partito Comunista Italiano, la sinistra della Democrazia Cristiana, e alcune frange di cultura liberale e repubblicana.

Tutto questo bagaglio non era per Renzi un patrimonio bensì un fardello del quale sbarazzarsi. Non poteva e non può concorrere con Grillo e Salvini sul piano del populismo se continua a trascinarsi i quadri di Moro e di Berlinguer. Ecco perché la conclusione della direzione nazionale del Partito Democratico era già scritta. Renzi vuole a tutti i costi sbarazzarsi del peso del partito. Probabilmente ci è riuscito. Una volta consumata la scissione potrà costruire con i suoi seguaci quell’anonimo partito della nazione, che da tempo va lumeggiando, e gareggiare finalmente, senza più ipoteche ideologiche di nessun tipo con Grillo e Salvini.