24 maggio, festa per una guerra? C’era la festa per la vittoria ma imbarazzava

Pubblicato il 25 Maggio 2015 - 16:10 OLTRE 6 MESI FA
24 maggio, festa per una guerra? C'era la festa per la vittoria ma imbarazzava

24 maggio, festa per una guerra? C’era la festa per la vittoria ma imbarazzava (foto Ansa)

Il 24 di maggio è stato festeggiato (?), ricordato (?), celebrato (?), commemorato l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, la Grande Guerra. Era appunto il 24 maggio 1915 e cento anni dopo esatti l’Italia non ha saputo con esattezza se voleva festeggiare o ricordare o celebrare o commemorare e, nell’incertezza, ha fatto una insalatona mista degli umori civili possibili, compresi quelli, abbastanza meno civili, dello scendere ancora oggi nelle trincee dei nazionalismi irriducibili, anche dalla storia.

La Grande Guerra: l’Italia avrebbe da cento anni una data per festeggiare, festeggiare la vittoria. Ma il 4 novembre, festa della vittoria, apparve all’Italia democratica antifascista e di sinistra un concerto di fanfare militaresche che suonavano la musica della destra. Si poteva festeggiare a pieno una vittoria militare in un paese diventato pacifista più che pacifico? Si poteva festeggiare quel che aveva festeggiato il fascismo? Così l’ipocrisia politicamente corretta (?) pian piano declassò la festa a festa delle Forze Armate e più sul generico si stava e meglio era. Quindi la vittoria in guerra, praticamente l’unica della nostra storia, si poteva dire e non dire, un po’ imbarazzava.

Allora una data per ricordare, magari appunto quella della fine della guerra? A parte il fatto che coincideva con la vittoria, ricordare proprio tutto non era un grande affare. Nel 1915 l’Italia entrò in guerra dopo aver mercanteggiato con Francia e Inghilterra da una parte a Austria e Germania dall’altra. L’Italia teneva una sorta di banco e chiedeva: chi offre di più in termini di territorio da assegnare all’Italia e ai Savoia regnanti? Alla fine offrì di più Londra e per questo e al fianco di Londra e Parigi l’Italia entrò in guerra rovesciando un’alleanza sottoscritta con Austria e Germania. Da allora in generale non si fidano più tanto di noi quando si spara.

Non solo se per gli altri paesi e governi già in guerra dal 1914 poteva stare in piedi l’esile, molto esile, alibi dell’illusione di una guerra breve nel tempo e relativamente sanguinosa, quando l’Italia fa la sua mossa è già chiaro di cosa davvero si tratta: un macello di eserciti e di popoli. Quindi a ricordare proprio tutto tutto si fa un po’ di fatica.

Restava, è rimasto il celebrare/commemorare. Ma anche qui dissociazioni, imbarazzi, provocazioni. E pagliacciate. I Comuni che in Alto Adige non espongono il tricolore o lo fanno a mezz’asta come si fa quando c’è il lutto, la milizia (per niente folkloristica sudtirolese che si arruolò in massa e con entusiasmo nelle Ss naziste e che ci ha tenuto a far sapere che loro insomma sono…fedeli alla tradizione, Matteo Salvini che va sul Piave a sovrapporsi al “non passa lo straniero”…

Un paese bambino, anzi infante, anzi mal cresciuto. Senza la schiettezza e la drastica semplicità dei bambini, senza la genuinità ingenua degli infanti. E pieno di mezze astuzie, ingolfato dai non detto, dalle mezze verità, inacidito dal suo non saper elaborare né condividere storia. Un paese adulto e serio e rispettoso di sé e degli altri non festeggia né celebra una entrata in guerra, festeggia invece la vittoria in guerra, studia e riflette e fa patrimonio comune, insegna come e perché entrò in guerra e se qualcuno ne ha approfitta per fare propaganda separatista o per fare un ciao-ciao elettorale francamente, unitamente, repubblicanamente li disapprova e li mette al loro posto, in un angolo appartato dove alle ricorrenze si mettono i parenti fuori di testa e quindi di modi.