Fondo europeo di rimborso del debito: se non cambia, Italia non cresce

di Gustavo Piga
Pubblicato il 3 Settembre 2012 - 08:07| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

L’Europa ci chiede sacrifici e riforme affermando convinta che queste genereranno crescita economica domani.

In questa linea rientra la proposta di Regolamento 2011/0821 approvata in prima lettura dal Parlamento Europeo il 13 giugno, che prevede “disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro” e l’istituzione di un Fondo di rimborso del debito, su un periodo di circa 25 anni, definita “fondamentale” dal documento, unita al coordinamento dell’emissione di debito da parte degli Stati membri della zona euro.

Il Fondo viene visto come il primo passo verso “l’instaurazione di un quadro rafforzato per il coordinamento delle politiche economiche”. Anche se l’evento non ha ricevuto da parte dei giornali e dei politici l’attenzione che avrebbe meritato, si tratta di un tassello all’interno del Fiscal Compact. A questo Fondo verrebbe conferito il debito pubblico in eccesso rispetto al 60% in rapporto al PIL di ogni Paese aderente . Il Fondo dovrebbe assicurare che tutti i Paesi con debito eccedente il 60 % in rapporto al PIL seguano un percorso di rientro e di riforma e quindi convincere anche i più scettici che la scelta di ridurre il debito al 60% del Pil è definitiva.

Il costo di rimborsare il debito trasferito al Fondo, auspicabilmente inferiore a quello che attualmente pagano gli Stati sovrani più rischiosi, è a carico dei singoli Stati che vi dovrebbero fare fronte dirottando a garanzia specifiche entrate fiscali al Fondo stesso.

Eppure esso non sembra capace di creare gli incentivi giusti affinché le politiche strutturali di riforma vengano poste in essere, in particolare perché non pare in grado di riconoscere che, affinché le riforme generino crescita hanno bisogno di tempo e di risorse, due fattori essenziali al fine della salvezza dell’area dell’euro.

Dai documenti pubblicati appare chiaro che nel meccanismo proposto è assolutamente assente qualsiasi accenno a elementi di mutualizzazione del costo della crisi, come è stato invece per i vantaggi derivanti dall’euro; manca, in altre parole, una qualche forma di solidarietà che consenta ai paesi in difficoltà di avere l’energia politica per attuare le riforme e che sia percepita come “la strada giusta” dai paesi oggi virtuosi, così da rafforzare il progetto comune chiamato euro.

Da qui una proposta: che le emissioni che il Fondo effettuerà per finanziarci su circa metà del nostro debito spostino il rischio che ci assumiamo con il nostro sforzo di riforme almeno in parte sull’Europa nel periodo che intercorre da oggi a quando queste genereranno finalmente crescita economica come si ritiene.

Come? Emettendo titoli a medio termine legati all’andamento del Pil italiano, che pagano cedole basse o addirittura negative fino a quando l’Italia rimane in recessione e cedole alte quando l’economia italiana comincerà finalmente a tirare. Sono titoli già emessi in altre parti del mondo, specie in Sudamerica, che hanno il pregio di non mettere in difficoltà i deficit degli Stati quando le cose vanno già male (bassi pagamenti d’interessi quando le entrate fiscali sono basse a causa del ciclo economico) e che invece vedono alti pagamenti quando lo Stato è in buone condizioni di bilancio.

Il valore aggiunto di questi titoli è che non scaricano interamente il rischio delle politiche europee richieste da Bruxelles sui contribuenti italiani, ma anche “sul mercato” che afferma che l’Italia deve fare queste riforme proprio in questo momento: spostano, questi titoli, parte del rischio di fallimento di queste politiche anche a chi da noi le pretende. Ecco la mutualità, almeno in valore atteso.

Non solo, questi titoli permetterebbero all’Italia di avere un costo decisamente basso del debito proprio in un momento di crisi in cui in assenza di risorse è difficile portare a termine le riforme richieste. La conseguente minore spesa per interessi riduce anche la pressione di breve periodo sul bilancio ed evita politiche di ulteriore austerità che aggravano la congiuntura e spingono l’economia italiana ed europea verso una recessione sempre più profonda, i cui costi saranno ben percepiti da tutti gli stati membri, presto o tardi.

Ovviamente a fronte del programma di prestiti dovrebbe esserci un preciso impegno parlamentare ad attuare le riforme ritenute, dal Governo italiano con l’ausilio del Consiglio europeo, necessarie al rilancio del Pil potenziale. Inoltre, se il Paese non procede nel programma di riforme, i prestiti del Fondo potranno essere sospesi.

Il rischio oggi è quello di non mettere mano alle riforme per la crescita essendo troppo focalizzati sul tema dell’equilibrio di bilancio. A meno che l’obiettivo non sia proprio quello di non far crescere l’Italia.