Licenziamenti: non ci salveranno senza 1 milione di assunzioni (a tempo)

di Gustavo Piga
Pubblicato il 19 Marzo 2012 - 07:40 OLTRE 6 MESI FA

Lo spread Italia- Spagna è tornato ai livelli di luglio 2011, circa 33 punti base a nostro favore. Indice che la che il Governo di Mariano Rajoy non convince troppo i mercati e che Monti da garanzie. Però concordo con chi, come Francesco Giavazzi, invita a non abbassare la guardia.  Un esempio dei rischi che si corrono può venire dal decreto liberalizzazioni, anche se probabilmente non ho mai pensato che anche al massimo del suo potenziale avrebbe fatto gran che. Ed il fatto che i mercati poco si preoccupino dei rallentamenti e dell’annacquamento del testo avvenuti pare confermare tutto ciò.

I mercati già sanno anche, ovviamente, che l’Italia non raggiungerà gli obiettivi di pareggio di bilancio (2013) che si è dato Mario Monti, ma vi si tenderà più lentamente. Ciò è un’ottima cosa, visto che con i numeri peggiori di crescita che deriverebbero da una ulteriore folle manovra (magari anche per recuperare il costo dei derivati chiusi con Morgan Stanley) l’economia si allontanerebbe ancora di più dalla stabilità di bilancio. E già, funziona così l’economia: senza crescita non c’è stabilità.

Il punto chiave è far sì che questa crisi sia transitoria e non si allunghi, perché se si allunga, diciamo noi da tempo, salta l’euro. Ma come pretendere di rendere transitoria una crisi con una riforma strutturale 1) di lungo termine e 2) che renderebbe i licenziamenti più facili? Come?

Dubito che questo dipenda dalla riforma che ha in mente Elsa Fornero. Viene da sorridere al pensiero che questa crisi di questa gravità, così dominata da una crisi di domanda aggregata di famiglie ed imprese e mancanza di credito, venga risolta da un piccolo codicillo di cambiamento strutturale sul come assumono le imprese. Provate a chiedere ad un’impresa oggi quante persone assumerebbe con un tale provvedimento.

Se poi si pensa che questa riforma abbia effetti di lungo termine rivoluzionari, cosa che può pur essere ma cosa a cui noi non crediamo, rimane il punto che a nulla serve per farci uscire oggi e subito da questa crisi e non distruggere per sempre piccole imprese, giovani che cercano lavoro, il futuro del nostro Paese, risorse che non tornerebbero più. Perché così il primo a saltare con loro sarebbe l’euro, accusato come in Grecia di generare sofferenza, sacrifici, dolore e non speranza, prosperità, pace e felicità, i motivi per il quale l’abbiamo creato.

L’Italia deve rendere subito più facile produrre e occupare, non licenziare. Ecco l’unico modo per rendere transitoria questa crisi. Per fare ciò la soluzione è ovvia:

1) come ha fatto Obama, spendere di più con lo Stato con un piano straordinario di appalti pubblici che coinvolga solo le PMI – come chiede Sarkozy – e volto a ristrutturare tutte le nostre scuole ed ospedali su tutto il territorio;

2) spendere ancora di più e tassare (specie le piccole imprese) meno con l’identificazione degli sprechi della spesa pubblica, funzione affidata subito ad un’Autorità Anti Corruzione a cui inviare tutti i dati in tempo reale sugli appalti pubblici effettuati in Italia e con potere immediato di sospensione degli effetti della gara e verifica ispettiva;

3) assunzione a tempo determinato di un milione di giovani a servizio della Pubblica Amministrazione nei luoghi strategici che hanno bisogno di aiuto per supportare meglio cittadini ed imprese: tribunali, ospedali, scuole, musei, luoghi di turismo culturale;

4) battaglia vera e seria all’evasione con contestuale riduzione del costo del lavoro per le imprese.

Il debito pubblico su Pil crollerà e saremo usciti fuori dalla crisi. Se vogliamo parlare di altro, come abbiamo parlato per mesi delle magiche liberalizzazioni, facciamolo, tanto siamo professori e ci piace parlare. Parliamo della magica riforma del lavoro che nulla cambierà. Ma il paese ha bisogno di ben altro.