Hate speech. Discorso dell’odio. Obblighi e sanzioni del ddl

di Giovanna Corrias Lucente
Pubblicato il 21 Dicembre 2018 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
Hate speech

Hate speech. Discorso dell’odio. Obblighi e sanzioni del ddl

Rassegnato l’11 luglio di questo anno, giace al Senato, in vista di un’eventuale trattazione, il disegno di legge per prevenire e contrastare i discorsi di odio.

L’atto segue a ruota la Legge tedesca (NetzDG, approvata nell’ottobre del 2017 ed entrata in vigore il primo gennaio successivo), ma se ne differenzia profondamente.

L’argomento è stato affrontato dal legislatore virtuale in maniera multiforme e, per questo, merita attenta riflessione.

Innanzitutto, il disegno dichiara gli obiettivi inserendo nell’art. 1 il termine “hate speech”, in lingua, per immediatamente tradurlo in “discorso d’odio” e definirlo come: “utilizzo di contenuti o espressioni mirati a diffondere, propagandare o fomentare l’odio, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, ovvero fondati sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale, sulla disabilità, o sulle condizioni personali e sociali”.

La rassegna di condotte e contenuti mostra evidente che viene richiesto un equilibrio funambolico a chiunque sia chiamato a trattare la materia.

Tre sono le caratteristiche principali che animano la parte di riforme penali dell’intervento proposto:

1) la ripetitività che rende complessa la distinzione fra le condotte incriminate, a causa di manifeste endiadi: come propagandare, distribuire, diffondere, ed istigare;

2) l’elenco degli argomenti sensibili appare elefantiaco: agli originari motivi etnici, nazionali, razziali e religiosi, che caratterizzava il precedente impianto normativo, sono aggiunti: motivi fondati sull’identità di genere, sulla disabilità e sulle condizioni personali e sociali. L’ultimo binomio rende evanescente l’ambito del discorso di odio e può dar luogo a numerosi fraintendimenti e acrobatiche distinzioni fra discorsi inerti ed, invece, illeciti.

3) l’esplicito riferimento all’uso della rete Internet, ai social network ed alle altre piattaforme digitali pone un’enfasi su tali strumenti che si rivela inutile, perché le precedenti disposizioni incriminatrici li ricomprendevano. Dimostra soltanto come la preoccupazione che anima il legislatore deriva dal pericolo intrinseco delle compagnie telematiche nell’ambito della diffusione di diverse tipologie di razzismo.

Insomma, la volontà di non tralasciare alcuna materia ha spinto il disegno verso un abisso che rende l’interprete particolarmente oberato da compiti di differenziazione fra contenuti innocui (fra questi vanno individuati i discorsi ironici o satirici) ed, invece, sensibili.

Il primo intervento di rilievo è la modifica dell’art. 604 bis del codice penale (inserito soltanto il 1 marzo del 2018, con il d.vo n. 21) con l’innesto delle tre rilevanti novità ora delineate, sia nel comma 1 lett. a) che b).

Preoccupa un ripensamento che – a poca distanza dall’emanazione di una norma – ne ampli l’ambito di applicazione in termini anche difficilmente comprensibili o soltanto superflui, ma soprattutto, in forma talvolta inintelligibile ed in una materia che vive un rapporto antagonista con la libertà di manifestazione del pensiero tutelata dalla Costituzione.

In più, appare manifesto che l’interprete è oberato da acrobatiche valutazioni; ad esempio, inserire le frasi incriminate nel contesto per valutarne la reale portata offensiva e discernere, invece, se si tratti di un discorso satirico od ironico e, dunque, lecito od innocuo.

In una fase socio politica e rispetto ad una materia che attinge la libertà di espressione si richiedono certezze, il ricorso a terminologie di dubbia  consistenza penale sarebbe da evitare.

Il disegno segue ribadendo l’ovvio: che chiunque (ciò vale anche per chi non sia membro di un social network) può segnalare discorsi del tipo indicato all’Autorità Giudiziaria, all’UNAR o ad enti attivi nel contrasto alle discriminazioni.

L’art. 3 comma 2 che riguarda gli oneri dei gestori di compagnie telematiche contiene una disposizione rilevante (perché la distingue profondamente dalla citata legge tedesca): a questi, nel caso in cui rilevino contenuti vietati nell’esercizio della loro attività, è fatto obbligo di segnalarli all’Autorità Giudiziaria. Va sottolineato che la legge tedesca impone, invece, ai gestori la rimozione dei contenuti illeciti entro 24 ore se manifesti, od una settimana, se non agilmente identificabili e sanziona l’inerzia con onerose multe. La soluzione germanica ha incentrato il carico della prevenzione sui gestori e si è esposta a una critica ovvia: le sanzioni sono così gravi da spingere potenzialmente i signori della rete ad effettuare una censura diffusa e cieca, al solo fine di sfuggire la minaccia di rappresaglie economiche.

In Italia, invece, il compito di oscuramento, rimozione o blocco dei contenuti illeciti verrebbe demandato alla Polizia postale destinataria delle segnalazioni di privati e dei gestori. Tale norma non appare meno pericolosa. Innanzitutto, dal momento in cui i contenuti sono sottoposti all’Autorità Giudiziaria per valutare se costituiscano reato, non si intende perché non venga assegnato a questa il gravoso  compito di discernerli ed ordinarne la rimozione. Tale previsione sarebbe in armonia con la delicatezza della materia che attinge direttamente la libertà di manifestazione del pensiero. Inoltre, la Polizia Giudiziaria, in nessuna altro settore affine, ha rassegnati decisioni e poteri di tale rilievo.

In più, il Corpo prescelto ha da ultimo raffinato esperienze informatiche per rintracciare i responsabili di reati informatici. Si tratta, tuttavia, di esperienze tecnologiche e non certo di sottili interpretazioni e valutazioni della rilevanza di un discorso nel suo complesso e della sua illiceità da riconoscersi attraverso parametri ambigui e fluttuanti.

I gestori che non segnalino ovvero non osservino l’ordine di rimozione, cancellazione o blocco della Polizia postale sarebbero puntiti con una sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 Euro: un decimo del massimo di quella prevista in Germania. Un costo comunque esoso se si pretende che siano loro a rilevare i contenuti e non a muoversi a seguito di segnalazione degli utenti (come previsto dalla legge tedesca). Peraltro, poiché è inesigibile il controllo di tutto il materiale che circola in rete, appare evidente che la “rilevazione” da parte del Gestore debba dipendere da un reclamo pervenutogli ed a questo riguardo, sarebbe stato più chiaro sanzionare direttamente l’inerzia di fronte ad una segnalazione rilevante.

Insomma, questo disegno pare avere i tratti distintivi della legislazione emergenziale, poiché si articola secondo i parametri dell’urgenza e dell’onnicomprensività.

Merita di essere attentamente vagliato e ponderato prima di un’eventuale approvazione.