Italia, crescita, debito: i rischi della illusione tecnocratica

di Marcello Degni
Pubblicato il 21 Febbraio 2012 - 07:41| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Durante la presentazione del libro “la Voragine: inghiottiti dal debito pubblico”, a Bologna venerdì 17 febbraio, alla domanda finale sulle previsioni future, sul “ce la faremo o meno”, ho provato la stessa sensazione di impreparazione descritta da Giuliano Amato domenica 19 sul sole 24 ore. Il problema dell’Italia è crescere un punto in più, per agganciare gli altri grandi paesi europei: la questione è nota, argomentata da molti e da tempo (per tutti Paolo Ciocca che, già nel 2003, affermava la necessità di “strappare quel prezioso punto in più”). Ma la bassa crescita è dovuta a limiti strutturali, che non si risolvono in pochi mesi.

Di conseguenza una sorta di riflesso condizionato porta, per dirla con Amato, a snocciolare “il solito rosario”: sostegno allo sviluppo, ricerca ed istruzione, innovazione, rilancio delle infrastrutture. Confesso di averlo fatto, in parte: in fondo è una strada obbligata, che non ha scorciatoie. Il governo Monti si sta muovendo in questa direzione, con qualche contraddizione (ma, per dirla con Vladimir Holan: “sei senza contraddizioni? Sei senza possibilità”). Senza dubbio però siamo usciti dal Truman show, che durava da molti anni, e siamo ritornati nel mondo reale.

Ma si può attivare un processo del genere dovendo, allo stesso tempo, dimezzare il debito pubblico? Eugenio Scalfari, sulla Repubblica del 19 febbraio esprime una nota di concreto ottimismo: dal recupero dell’evasione e dalla spending review si possono attendere 20 miliardi, altri 10 “e forse più” da liberalizzazioni e riforma delle pensioni. Una “massa d’urto” che, affiancata al pareggio di bilancio e ad un avanzo primario di 5 punti, dovrebbe farci crescere di 2 punti nel 2014. Giusto vedere il bicchiere mezzo pieno, ma è necessaria anche una operazione straordinaria sul debito, per abbatterlo almeno di una ventina di punti e assecondare il processo di risanamento. Non possiamo trascinare all’infinito avanzi primari troppo elevati: alla lunga frenano la crescita e orizzonti temporali troppo dilatati espongono il paese a shock esogeni che, come nel gioco dell’oca, ti possono riportare in poco tempo al punto di partenza.

Un percorso difficile, che dipende per molti aspetti dalle decisioni europee. Il fiscal compact è condizione forse necessaria, ma sicuramente non sufficiente. La moneta senza stato mostra la corda. Ci vuole più Europa: Eurobond, sostegno alla politica espansiva della BCE, bilancio europeo più ricco, per sostenere interventi di riequilibrio. Vanno superate le asimmetrie: politiche di bilancio rigorose, ma anche bilance dei pagamenti senza surplus eccessivi. Ciascuno deve fare i propri compiti a casa: la Grecia e la Germania, per citare solo i casi estremi. E tutti i paesi hanno un debito da pagare verso l’Europa, cedendo sovranità per rafforzare le sue istituzioni. L’Europa può essere una grande forza di pace nel mondo globale (nel 2010 l’Eurozona ha prodotto il 14,6 per cento del Pil mondiale, a fronte del 19,7 per cento degli USA e del 13,6 della Cina). I singoli paesi, Germania inclusa, sono solo dei piccoli nani.

La questione greca ha scoperto, come è stato scritto,  “il rapporto tra democrazia e debito pubblico, sovranità e politiche fiscali”. La scorciatoia di affidarsi “a una pura amministrazione tecnocratica” e sospendere la democrazia, come è stato suggerito dal ministro Wolfgang Schauble ai greci, non porta a nulla di buono. Come anche il tentativo di esorcizzare la realtà: “Noi non siamo la Grecia”. La realtà è che siamo tutti greci o potremmo diventarlo in caso di fallimento dell’euro. Per questo va evitato il default della Grecia, che deve essere ricondotta su un sentiero di finanza pubblica sostenibile.

Del resto anche in Germania il dibattito è aperto: Martin Schulz ad esempio, dal 17 gennaio 2012 presidente del parlamento europeo, sostiene tesi profondamente diverse dal ministro delle finanze tedesco. Pensa anche lui che vada ripristinato “l’equilibrio tra democrazia e debito”, che si è perduto. Bisogna muoversi in questa direzione: l’Europa tedesca rievoca i disastri del novecento, la Germania europea decenni di pace e sviluppo. Non si può non essere ottimisti.