La rivoluzione italiana delle procure: questione morale, corruzione…

di Giorgio Oldoini
Pubblicato il 27 Giugno 2014 - 13:10 OLTRE 6 MESI FA
La rivoluzione italiana delle procure

La rivoluzione italiana delle procure

ROMA – Non esiste una morale economica assoluta, bensì una morale determinata dalle leggi e spesso una morale corrente diversa dalle stesse leggi; l’etica negli affari varia di tempo in tempo. Fino a pochi decenni fa, l’imprenditore che falliva si suicidava per sfuggire alla riprovazione generale, ai nostri giorni il bancarottiere è spesso considerato un individuo astuto che ha saputo raggirare altri che credevano di essere più scaltri di lui.

È comunque l’economia moderna che impone la vorticosa circolazione dei beni, una produzione meno durevole e una sommaria selezione del cliente: l’attitudine a non restituire i prestiti bancari, a rinviare la sistemazione dei propri debiti, a proporre transazioni, a fatturare servizi inesistenti o gonfiati percependo retribuzioni non dovute o non meritate, a evadere il fisco e gli oneri contributivi, tutto questo rappresenta un prodotto spontaneo del consumismo ormai entrato nel costume di larghe fasce di attori economici fino a divenire sistema.

Mani pulite ha portato alla luce comportamenti un tempo diffusi: il funzionario pubblico che arrotondava lo stipendio, il manager che prendeva la percentuale sulle commesse per sé e per una qualche organizzazione, il commerciante che evadeva il fisco, agivano secondo una prassi ritenuta assolutamente funzionale al sistema nell’Italia degli anni settanta e ottanta. L’italiano medio di quel periodo è rimasto refrattario all’educazione religiosa o ideologica ricevuta, è passato indenne attraverso l’epoca dei valori della fede (e quindi dal concetto cattolico del profitto e dell’interesse) e s’è guardato bene dal considerare la proprietà un furto, specie quando era lui ad accumularla; non ha vissuto la rivoluzione luterana della ricchezza e del lavoro ma è approdato all’idea del guadagno come un individuo che deve prendere subito più che può, possibilmente di nascosto, ma facendo subito capire agli altri che ha preso. La maggior parte degli imprenditori che oggi sono finiti nel mirino delle procure non hanno fatto che emulare le gesta dei loro predecessori ai quali la comunità riconoscente pochi anni prima aveva intestato le strade principali della città. La ricchezza accumulata è spesso esibita come status symbol: negli ambienti dei vip americani molte persone si qualificano consegnando biglietti da visita che riportano i guadagni realizzati negli ultimi anni, al contrario di quanto avveniva un tempo ormai lontano allorché lo stato cercava di impedire i consumi dei beni di lusso (come ad esempio gli abiti sfarzosi) ritenuti pericolosi per il mantenimento di un buon livello della morale pubblica(1).
Per modificare i comportamenti delle élites e della platea, occorrono iniziative traumatiche e di portata generale: un tentativo di ripristinare un accettabile livello di correttezza nei rapporti economici è stato attuato in Italia a partire dal 1993, attraverso la cosiddetta rivoluzione delle procure. Secondo la vecchia barriera posta dallo stato liberale, il pubblico ministero potrebbe intervenire d’ufficio soltanto per i reati contro la pubblica amministrazione, mentre nell’ambito dei rapporti economici tra imprese, fatti salvi i casi di particolare gravità, dovrebbe attendere la denuncia della parte danneggiata che ha subìto la truffa o l’indebita appropriazione: per oltre 40 anni, gli stessi reati economici perseguibili d’ufficio, hanno in pratica attirata l’attenzione dei magistrati solo a seguito del fallimento della società.
Alcuni procuratori della Repubblica si devono essere chiesti per quale ragione possa essere arrestato il modesto funzionario statale che accetta una prebenda, mentre nulla si può fare contro il capo ufficio di una società per azioni che prende la percentuale fissa sugli acquisti (2). Mossi dalla domanda di pulizia che cominciava ad affiorare nel paese e dinnanzi ai diffusi fenomeni di corruzione, alcune procure hanno più volte tentato di infrangere quella vecchia barriera. Il nuovo corso è iniziato, a partire dagli anni ottanta, con il tentativo di equiparare certi organismi economici agli enti pubblici, come per il caso delle casse di risparmio o delle ex società a partecipazione statale. Tale equiparazione era necessaria dal momento che in linea di principio un magistrato non potrebbe giudicare la convenienza dei singoli atti di gestione posti in essere dagli amministratori di società azionarie (il cosiddetto Business Judgement Rule) (3).

Questa e altre prove generali sono state dichiarate illegittime dalla magistratura giudicante. Ma l’affondo fin qui vittorioso si deve a una risorsa per tanti anni rimasta inutilizzata: l’ipotesi di falso in bilancio, che non distingue più tra errore e dolo, tra forma e sostanza, una sorta di reato istantaneo contro la fede pubblica.
Al solo fine di segnalare il problema a chi volesse approfondirlo, fino a pochi anni fa, se un’impresa utilizzava fatture false, veniva perseguita unicamente per reati tributari. A partire dal 1993 la procura di Milano per quella stessa fattispecie ha cominciato a configurare il reato di falso in bilancio e ad arrestare amministratori di società e con essi i percettori di fondi neri considerati concorrenti in quel reato. In ciò consiste la rivoluzione delle procure che l’italiano medio ha valutato (e tuttora valuta) con simpatia o fastidio, in relazione agli interessi personali a rischio.

Nello stesso tempo i pm hanno costruito un teorema per il quale, anche nell’ambito delle società di capitali più grandi, i soggetti che ricoprono responsabilità di vertice debbono conoscere ogni evento amministrativo divenendo penalmente responsabili per non averne impedito la commissione.
Con quelle formidabili armi che la giurisprudenza tra qualche anno dichiarerà forse illegittime e con qualche arresto preventivo di troppo(4), le procure hanno decapitato gran parte della classe politica e dirigente del paese (secondo alcuni usando due pesi e due misure in relazione all’appartenenza di campo dei personaggi inquisiti)(5).

L’utilizzo generalizzato dell’ipotesi di reato-civetta(6), nonché l’abuso della cosiddetta giustizia per teoremi, hanno fatto assurgere a protagonisti indiscussi i sostituti che hanno avviato quella rivoluzione.

A questo punto è possibile formulare due tesi per consentire al lettore di prendere posizione su Mani pulite:

Tesi n. 1
La procura di Milano ha indicato la strada per migliorare il livello etico negli affari e nella politica, ma i nuovi governanti non hanno saputo muoversi sulla stessa linea. Sarà anche vero che qualche volta si è fatto ricorso a mezzi di indagine ai limiti del consentito, ma in questi casi il fine giustifica i mezzi; in ogni caso quei magistrati hanno dovuto sostituirsi a una classe politica che si era spartita la ricchezza del paese e che era ormai incapace di governare. Il falso in bilancio, in mancanza di altre norme idonee a colpire adeguatamente i fenomeni corruttivi, rappresentava l’unica arma a disposizione dei magistrati; prima o poi la classe dirigente del paese dovrà farsi carico del problema e trasformare in legge dello stato quella giurisprudenza delle procure.

Tesi n. 2
Il nuovo corso non è derivato da un sistema di leggi che regolano i comportamenti a partire da un certo momento, bensì da una interpretazione innovativa di norme già esistenti fin lì disapplicate(7). In passato si era determinato il generale convincimento (da parte di tecnici, imprenditori, utenti della legge a vario titolo) che quei comportamenti diffusi rientrassero nella norma(8). In sostanza i giudici hanno legittimato per anni una prassi che improvvisamente hanno cominciato a perseguire con effetto retroattivo. Ci si trova dinnanzi a una manipolazione della verità storica e a uno stravolgimento dello stato di diritto(9).
Il problema che stiamo qui affrontando è tra i più antichi e dibattuti e ciascuno potrà forse trovare spunti a favore della prova tesi commentando il seguente pensiero di Diderot:

Noi predicheremo contro le leggi insensate fino a quando non siano riformate. Ma nel frattempo ci sottometteremo loro. Chi di propria autorità trasgredisce una cattiva legge autorizza tutti gli altri a trasgredirne una buona. È meno sconveniente essere pazzo tra i pazzi che savio tra di loro(10).

Il più importante risultato conseguito dal pool milanese è stato quello di avere applicato la responsabilità di gruppo nei confronti della classe politica e imprenditoriale sulla base del seguente assunto: se un individuo isolato percepisce un compenso non dovuto grazie alla sua posizione all’interno della società, una volta individuato può essere allontanato, punito o costretto a risarcire. Qualora quell’individuo abbia agito nell’interesse di altro beneficiario (ad esempio l’amministratore delegato o l’azionista di controllo), ben difficilmente verrà perseguito. Occorre dunque considerare altrettanto responsabili tutti i soggetti che hanno tratto i vantaggi dall’illecito o che ne erano a conoscenza, ossia l’intero gruppo organizzato.

Mani pulite ha dunque indicata la via giuridica della responsabilità di gruppo; spetterà a una classe politica rigenerata adottare il teorema delle procure per reprimere i reati come la falsa produttività all’interno delle burocrazie e delle istituzioni e quindi della stessa magistratura, sulla base del principio inefficienza=furto.
Quella delle procure è stata una rivoluzione?

La rivoluzione presuppone un rivolgimento del sistema e la relativa trasformazione delle strutture istituzionali: nel caso di Mani pulite è accaduto che un nucleo di magistrati ha cominciato a dare una interpretazione innovativa di leggi vigenti, riscoprendo norme per tanto tempo disapplicate e dando ad esse un significato estremo.

Tuttavia quella giurisprudenza difficilmente potrà diventare legge dello stato, dal momento che, ad esempio, in nessuna parte del mondo un illecito tributario si può trasformare in un altro tipo di reato per cui è prevista una pena maggiore(11). E, principalmente, nessun amministratore potrebbe gestire una società per azioni con il rischio permanente di vedersi trasformare in reato il semplice errore; esattamente come il singolo magistrato dichiara che non potrebbe svolgere serenamente il proprio lavoro qualora venisse introdotta una analoga disciplina per la sua responsabilità professionale.

Tuttavia Mani pulite un effetto duraturo, caratteristico delle rivoluzioni, l’ha prodotto: i protagonisti della politica e dell’economia dovranno ricordare che potranno sempre venir fuori pubblici ministeri in grado di colpire chiunque non abbia rispettate le regole. Un risultato non da poco, che presuppone il mantenimento dell’effettiva indipendenza di quei magistrati e al tempo stesso una loro più seria responsabilizzazione.

Note

(1) L’attuale uniformità delle gondole veneziane è dovuta ad una legge suntuaria emessa dal senato veneto nel XVIII secolo. Nel 1695 in Inghilterra si impose una tassa sulle finestre. Sembra ricollegabile a questi precedenti storici la tecnica di mimetizzazione del lusso adottata nei salotti bene che consiste nel comprarsi decine di abiti nuovi assolutamente identici.

(2)Ed è questo un problema reale che la classe politica non ha saputo mai risolvere efficacemente.

(3) Gli stessi amministratori pubblici dovrebbero essere perseguiti sulla base di prove dell’eventuale corruzione o concussione e mai per il merito delle scelte operate.

(4)Secondo Ferrajoli (Diritto e ragione, cit.) ” l’imputato deve comparire libero davanti ai suoi giudici, non solo perché ne sia assicurata la dignità di cittadino presunto innocente, ma anche – e direi soprattutto – per necessità processuali: perché egli sia su un piede di parità con l’accusa; perché dopo l’interrogatorio e prima dell’udienza definitiva possa organizzare efficacemente le sue difese; perché l’accusa non sia in condizione di barare al gioco, costruendo accuse e inquinando prove alle sue spalle (…..). Oggi l’infallibilità e la prontezza della pena (…..) sono state sostituite dall’immediatezza e dall’infallibilità della carcerazione preventiva”.

(5) Si è sostenuto ad esempio che da quando Tiziana Parenti ha lasciato la procura di Milano, l’attività investigativa sul fronte rosso delle tangenti si era svolta in sporadici e trascurabili adempimenti. (Colajanni, Mani pulite?, cit., p. 113).

(6)  Che consiste nel configurare un reato minore e a volte inesistente nei confronti degli amministratori di società al solo scopo di avviare indagini a tutto campo. Il reato civetta è tecnicamente necessario, perché un p. m. non può iniziare l’indagine se non ha prima notizia del reato che deve essere individuato esattamente. Nel corso del 1993, il pool di Milano richiese ai responsabili dell’IRI e dell’ENI, l’elenco di tutti i contratti stipulati dalle società del gruppo di importo superiore ai 300 milioni; una richiesta in sé illegittima alla quale gli enti economici dovettero sottostare.

(7)Per far comprendere meglio il problema, si pensi ad un professionista che per 20 anni ha discusso con un certo p. m. (il dott. Rossi, non un ufficio ma una persona fisica) la problematica del falso in bilancio e che ha visto sistematicamente considerare come legittima una certa tecnica di redazione di quel documento. Dopo 20 anni e un giorno, lo stesso dott. Rossi riceve il professionista e gli dice: La informo che tutto ciò che andava bene fino a ieri da oggi è reato e, nonostante che le leggi non siano cambiate, arresto gli stessi amministratori i cui comportamenti ho fin qui avallato. Non è un nuovo corso, una classe di magistrati che ha spazzato via la precedente a fare quel discorso, è proprio lo stesso dott. Rossi!

(8)  I pareri pro-veritate rilasciati dai professionisti più quotati durante il periodo dell’economia sommersa e di carta, che davano per legittimi senz’ombra di dubbio taluni comportamenti, non hanno tuttavia impedito i numerosi arresti di amministratori a partire dal 1993. Quei pareri erano del resto in chiave con la giurisprudenza della Cassazione. Per riprendere il caso della Esso, l’allora amministratore venne assolto dal reato di falso in bilancio nonostante che fosse provato l’uso di fondi neri, per il fatto che egli li aveva utilizzati nell’interesse della società amministrata.

(9) Il giudizio più impietoso sul pool di Milano proviene dall’interno della magistratura; il procuratore capo di Roma, Coiro, ridimensiona gli effetti di Mani pulite, condanna le forzature e gli abusi della carcerazione preventiva e auspica che quanto prima venga recuperato lo stato di diritto. (“Corriere della sera”, 5 maggio 1996).

(10)  Diderot. in Durant, Storia della civiltà, cit., vol.IX, pp. 818-819. 

(11) Per far comprendere l’impraticabilità della giurisprudenza delle procure, si consideri che chiunque percepisse una somma in nero da una società (un dipendente, un fornitore), indipendentemente dall’importo, potrebbe essere condannato per concorso nel reato di falso in bilancio.