Siria. Ritiro Gran Bretagna incrina ”relazione speciale” con gli Usa

Licinio Germini
Pubblicato il 31 Agosto 2013 - 11:07 OLTRE 6 MESI FA
Obama, Caneron, Hollande

Obama, Caneron, Hollande

WASHINGTON, STATI UNITI – Beffarda (”I britannici non vengono, i britannici non vengono”) e a caratteri cubitali la prima pagina del popolare tabloid newyorchese Daily News riflette lo sconcerto dell’America dopo che il no di Londra all’uso della forza in Siria ha alzato i francesi – derisi al tempo dell’Iraq come ”scimmie disfattiste mangia formaggio” – al ruolo di partner privilegiato.

Una curiosa inversione dei ruoli: l’umiliazione ai Comuni del governo a guida Tory ha posto fine a decenni di guerre comuni aprendo una crepa in quella ”relazione speciale” transatlantica, ”essenziale”, avevano scritto solo due anni fa Barack Obama e David Cameron in un editoriale a quattro mani sul Times, ”non solo per Stati Uniti e Gran Bretagna, ma per tutto il mondo”.

Londra ha affiancato gli Stati Uniti in ogni importante operazione militare, Vietnam a parte: sempre con un certo malessere da parte dei britannici, timorosi di esser giudicati il fedele ”cagnolino” dell’America. L’appoggio dei sudditi della Regina Elisabetta ha incluso le lunghe, costose e controverse guerre degli anni dopo l’11 settembre: ecco dunque spiegato il perche’ di un voto su cui ha aleggiato lo spettro di Tony Blair ma anche il ”livore” degli americani nei confronti dell’alleato di oltre Atlantico.

”Gli Usa non la prenderanno bene”, ha ammesso il ministro della Difesa del Regno Unito Philip Hammond, mentre lo stesso premier David Cameron, incassando la batosta, ha sibilato al vincitore laburista Ed (il “rosso”) Miliband: “Ti sei messo coi russi, hai deluso l’America”. Ora che la frittata è fatta, “non e’ questione di scusarsi: Obama capirà, il popolo americano capirà”, ha detto poi lo stesso Cameron dopo il voto mentre la Casa Bianca gli ha assicurato che le consultazioni continueranno con ”uno dei nostri alleati e amici più vicini”, non più pero’ il partner privilegiato, l’alleato ”numero uno”. Speciali dunque ma non più come prima:

“Abbiamo spaccato la relazione con gli Stati Uniti, non ci uniamo a una coalizione guidata da un presidente democratico. E’ lecito chiedersi quali saranno le conseguenze”, si e’ chiesto ”vergognandosi” per il voto del suo parlamento il LibDem Paddy Ashdown. Per la verità, la ”relazione speciale” tra Stati Uniti e Gran Bretagna sulla scia di quella che negli anni Ottanta tra Margaret Thatcher e Ronald Reagan aveva posto fine alla Guerra Fredda era negli ultimi anni scivolata alla deriva con toni stridenti soprattutto nel duetto Obama-Cameron a dispetto dei barbecue dei due leader in maniche di camicia nel giardino di Downing Street.

Per il capo della Casa Bianca, l’alleanza particolare con Londra era cominciata male fin dall’ingresso nello Studio Ovale ai tempi di Gordon Brown: il neo eletto Commander in Chief aveva sfrattato il busto di Winston Churchill per metterci quello di Martin Luther King. E agli inglesi non è mai andata giù.

Dopo lo ”schiaffo” britannico, varie voci hanno avvertito Obama che la sua determinazione nell’attaccare la Siria comporta non pochi pericoli. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha avvertito a Paramaribo che un attacco militare contro la Siria “infetterebbe l’Europa con il terrorismo”. E’ una follia attaccare la Siria – ha aggiunto – perchè se il presidente Assad fosse assassinato o rovesciato, in Siria prenderebbero il potere gruppi terroristici legati ad Al Qaeda. A Paramaribo, capitale del Suriname, il vertice dei capi di Stato dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), ha approvato una dichiarazione congiunta contro l’intervento militare.

Si è fatto sentire anche un gruppo armato sciita iracheno ha minacciato gli Usa di attaccare gli interessi americani in Iraq e nella regione se Washington compirà un raid militare in Siria. “Tutti gli interessi e le installazioni in Iraq e la regione saranno presi di mira da nostri militanti”, ha dichiarato un portavoce della milizia irachena al-Nujaba, senza ulteriori precisazioni. Militanti di al-Nujaba combattono in Siria a fianco dei soldati del presidente Assad.

Il capo del Pentagono Chuck Hagel ha annunciato da giorni che le forze Usa sono ”pronte ad andare”, se il presidente Obama ordinera’ un’azione militare in Siria. Ma tra i militari americani di ogni grado serpeggiano forti dubbi sull’idea una azione ‘limitata’ per impartire ‘una lezione’ al regime di Assad, specie perche’, se la lezione non dovesse essere recepita, si potrebbe aprire uno scenario del tutto imprevedibile.

“Se il presidente Assad dovesse assorbire gli attacchi e usare ancora le armi chimiche, la credibiltà degli Stati Uniti subirebbe un duro colpo” e Washington “sarebbe costretta ad una escalation per raggiungere gli obiettivi iniziali”, ha ammonito il colonnello della Marina Gordon Miller in un commento per il ‘Center for a New American Security’, citato dal Washington Post. “C’è un’ampia ingenuità nella classe politica sui doveri dell’America nelle questioni di politica estera, e una spaventosa semplicità sugli effetti che l’uso della forza militare americana possono raggiungere”, ha sua volta affermato l’ex generale Gregory Newbold, che e’ stato direttore per le operazioni per i capi di stato maggiore interarmi durante la guerra in Iraq.