Obama 5 anni dopo. Dall’euforia di ”Hope” alla catastrofe di Obamacare

Licinio Germini
Pubblicato il 20 Gennaio 2014 - 12:02 OLTRE 6 MESI FA
Il presidente Barack Obama

Il presidente Barack Obama

USA, WASHINGTON – Malgrado i tredici gradi sotto zero, la mattina di cinque anni fa, oltre un milione e mezzo di americani affollarono la spianata del National Mall di Washington per vivere un momento storico: l’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, il primo afro-americano a diventare presidente, il leader che per mesi aveva incantato con la sua oratoria trascinante e le sue parole d’ordine, che suonano come icone: ‘Hope’, ‘Change’ e ‘Yes We Can’.

Non solo l’America, ma tutto il mondo s’era ormai innamorato della storia incredibile di questo giovane senatore democratico dell’Illinois – all’epoca aveva 47 anni – figlio di una ‘single mum’, con quel nome cosi’ poco ‘Made in Usa’ che contro ogni pronostico mesi prima aveva sbaragliato la concorrenza interna di Hillary Clinton.

Per poi trionfare, il 4 novembre del 2008, sull’anziano candidato repubblicano, John McCain. Quel giorno, nel giuramento del presidente numero 44, circondato dalla moglie Michelle e dalle figlie, allora piccole, Sasha e Malia, in tanti videro la realizzazione del ‘Sogno’ di Martin Luther King. Altri identificarono il suo trionfo con la prosecuzione del mito dei Kennedy, Jfk ma anche Robert, anche loro come King, spazzati via dalla violenza omicida degli anni’60.

Dopo il disastro della seconda presidenza di George W. Bush, sulle spalle di Obama pesavano enormi attese, quasi messianiche, certamente eccessive. Sull’onda di quell’entusiasmo, sempre nel 2009, Obama vinse il premio Nobel per la Pace. E quel clima lo porto’ ad approvare un pacchetto enorme di investimenti pubblici, il cosiddetto ‘stimulus’ per uscire dalla crisi. E dopo, la storica riforma sanitaria, la celebre ma controversa ‘Obamacare’. Tuttavia, la sua presidenza fu come un terremoto, che fini’ per polarizzare ancora di piu’ la societa’ americana gia’ tradizionalmente spaccata in due. Sin dall’estate del 2009, in ogni angolo degli Stati Uniti, esplose il movimento del Tea Party, dei ‘patrioti’ anti-tasse, bianchi, del midwest, ultra-conservatori, che non hanno mai accettato di essere governati dal figlio di un intellettuale anti-colonialista keniota.

Nelle strade di Washington a decine di migliaia, sfilarono cartelli con su scritto ”Barack e’ come Hitler”. Era l’epoca dei ‘Birthers’, di chi era convinto che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, per cui era un usurpatore. Quelle proteste portarono a una bruciante sconfitta democratica alle elezioni di midterm del 2010. Obama parlo’ di uno ‘schiaffone’, visto che perse la maggioranza alla Camera. Ma il presidente, ormai anatra zoppa, ando’ avanti. E la sera del 1 maggio 2011, annuncio’ in diretta tv l’uccisione di Osama Bin Laden. Era la fine di un incubo: Obama, il professore garantista, raggiunse l’obbiettivo mancato dal suo predecessore. La gente scese per strada urlando ‘Usa’.

Fu il momento in cui la sua popolarita’ raggiunse il picco piu’ alto. E anche l’economia cominciava a dare segnali di forte recupero. La rielezione fu una pratica abbastanza agevole, complice la scelta da parte dei pezzi grossi del partito repubblicano, da Jeb Bush a Chris Christie a Marco Rubio di farsi da parte, di puntare alla battaglia del 2016, quella senza Barack in campo, lanciando senza tanto entusiasmo il poco carismatico Mitt Romney. Ma oggi, a un anno dal suo secondo mandato, la stella di Obama appare quanto meno appannata. Tante delle sue promesse avanzate in campagna elettorale, com’era prevedibile, sono rimaste sulla carta, provocando, a cinque anni da quella storica giornata, un clima di scetticismo e di delusione.

Sulla chiusura di Guantanamo, annunciata come primo impegno, e mai realizzata, ad esempio. Ma anche sulla riforma migratoria, ancora sulla carta. L’ostruzionismo della destra certamente non lo ha mai aiutato. Tuttavia, a danneggiare in modo radicale l’immagine del presidente e’ stata la catastrofe organizzativa della Obamacare. Il sito dove registrarsi e’ andato in tilt, e tanti americani, a cavallo di Natale, sono rimasti per un po’ senza copertura medica. Obama s’e’ dovuto scusare pubblicamente. E la sua leadership e’ andata in frantumi. Ora, con la popolarita’ sotto il 40%, il suo incubo si chiama midterm. Se nel dicembre del 2014 dovesse perdere anche il Senato, allora la sua agenda rischia di impantanarsi per sempre. E a quel punto, Obama potrebbe involontariamente danneggiare per la seconda volta Hillary e la sua nuova, sempre piu’ probabile sfida presidenziale nel 2016.