Un altro 18 aprile, chi fa Togliatti e Nenni del 1948? Di De Gasperi non ce n’è

di Lucio Fero
Pubblicato il 3 Aprile 2013 - 14:38| Aggiornato il 8 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Non c’entra nulla, è tutto un altro mondo e un altro tempo, eppure l’assonanza rimbalza tra vista, udito e intelletto. Assonanza di numeri, di cifre. E di “rumore” verbale, di consonanti e vocali. Assonanza per suggestione e non per ragione. Ma assonanza che viene immediata, spontanea, perfino un po’ maligna. Come il serpente che mostrava la mela…Il 18 aprile del 2013 il Parlamento italiano appena eletto, il Parlamento più nuovo, diverso e giovane e insieme il Parlamento più bloccato, impotente e renitente all’idea stessa di governo della storia repubblicana, in questo 18 aprile le Camere riunite cominciano a votare per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Una cosa prevista, ordinaria, dovuta: succede ogni sette anni che si elegge un Presidente al Quirinale. Stavolta però da chi, come e quando diventa Capo dello Stato direttamente dipende se, quale, come e quando si fa un governo in Italia degno di questo nome o se l’Italia passa la mano, confessa a se stessa e al mondo la sua sostanziale ingovernabilità e si tuffa in governi minimi e quindi elezioni e quindi…Quindi nessuno lo sa. In questa lunga vicenda, politica, economica e sociale, che parte il 18 aprile 2013 con il primo voto per il successore di Napolitano e si concluderà nessuno sa come e quando, qualcuno uscirà sconfitto e con le ossa politicamente spezzate.

O il Pd di Bersani e la sua idea che la sinistra così com’è sia il vero e possibile riformismo italiano, con l’idea che sta a corollario della prima e cioè che M5S sia un ramo separato della famiglia della sinistra. Magari una “mutazione”, ma non certo “genetica”. M5S come qualcuno e qualcosa con cui ci si può ricongiungere mentre al tempo stesso si sta nella democrazia delegata e parlamentare, in Europa e nell’euro. Ricongiungersi o almeno collaborare in un “terzo luogo” dove c’è insieme la crescita economica che fa occupazione e la decrescita felice che fa salute civile. Potrebbe essere questo modo di pensare, far politica e votare il grande sconfitto. Potrebbe toccare a Bersani, al Pd del Fassina e degli Orfini, alla Cgil della Camusso, a Sel di Vendola che già si è di fatto sciolta e fusa in M5S il ruolo, la parte, la sorte che fu di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni nel 1948. In quell’altro 18 aprile, quello della storica e in fondo inattesa, almeno nelle proporzioni, sconfitta del Fronte Popolare che si opponeva alla Dc.

Oppure la batosta storica, quella che cambia il segno e segna gli anni a venire, gli anni se non i decenni, potrebbe cadere in testa a Beppe Grillo. Tre, sei, nove mesi in cui si dimostra, si vede, si nota che il voto a M5S alla fine non serve a nulla. Che le cose non cambiano, anzi.

Oppure la sconfitta storica potrebbe andare in sorte a Berlusconi. Potrebbe finalmente finir di finire il suo ventennio. Con alla fine di questo 2013 un Berlusconi fuori gioco ma soprattutto una destra italiana obbligata a liberasi di Berlusconi. Sarebbe la fine di una intera cultura.

Non mancano i candidati alla parte, alla sorte, al ruolo che la storia italiana riservò il 18 aprile del 1948 a Togliatti e Nenni. Quel che invece proprio non si vede è un De Gasperi formato 2013. Monti? Ma non scherziamo. Berlusconi? Siamo oltre la battuta comica. Grillo? Siamo oltre la battuta tragica. Bersani? Siamo alla battuta patetica. Renzi? Forse, accontentandosi delle miniature…