Salgono le chiacchiere, scendono le azioni. La Bolla-sapone del Patto Sociale

di Lucio Fero
Pubblicato il 4 Agosto 2011 - 15:35 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Salgono le chiacchiere, scendono le azioni. Non solo quelle di Borsa che continuano serenamente a precipitare: anche oggi, ormai è una cara abitudine cui Piazza Affari non rinuncia. Non solo le azioni di Borsa, scendono, se possibile, di quantità anche le azioni di governo. Nel brodino-camomilla riscaldato da Silvio Berlusconi per i mercati “nervosi” si era creduto di individuare un granello di “pepe”: il cosiddetto “Fabbisogno zero” su cui il Sole 24 ore, quotidiano della Confindustria, aveva aperto la sua prima pagina. Fabbisogno zero: cioè niente più spesa pubblica aggiuntiva da qui a fine anno. Aggiuntiva rispetto a quanto lo Stato ha già in cassa o incasserà entro dicembre per via fiscale.

Se non si spendono più soldi di quanto si incassa per i prossimi quattro mesi, allora non c’è bisogno di aste per vendere titoli pubblici nello stesso periodo. Non si va sul mercato a pagare interessi del 6 per cento e quindi il mercato, questo “capitalismo che sbaglia” per dirla alla Berlusconi resta con un palmo di naso. Per realizzare però il fabbisogno zero occorrono almeno una decina, quindicina di miliardi di risparmio di spesa, qui, ora e subito. Quindi, comunque la si voglia chiamare, un’altra manovra o l’anticipo degli effetti della manovra “cifrata” 2013/2014. Si era creduto di aver visto il granello di pepe, il giorno dopo il governo si è affrettato a “rassicurare”: non c’era, non c’è, è un miraggio. Da qui alla fine dell’anno non ci saranno interventi e manovra, piuttosto un Grande Patto.

Perchè Berlusconi è sicuro: “La crisi non si aggraverà e questa storia degli spread non deve spaventare, riguarda una frazione minima del debito pubblico”. Questa cosa va spiegata perché è in questa valutazione del premier e del governo che incoscienza furbetta, e furbastra ci cova. Vero è che interessi al 6 per cento ora lo Stato italiano li paga su una frazione minima del debito, quella messa sul mercato da poche settimane, mentre la gran parte dello stock paga interessi tra il 2,5 e il 4,5 per cento, quelli garantiti a un mercato che non di più chiedeva perché dell’Italia debitrice si fidava. Vero è che per circa tre anni, fino insomma al 2014/2015 il monte interessi sul debito da pagare crescerà relativamente di poco.