Berlusconi: due parole e il…conto. Su questo si vota la fiducia

di Lucio Fero
Pubblicato il 12 Ottobre 2011 - 13:36 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Due parole di circostanza e…il conto. Su questo il Parlamento italiano si appresta a votare la fiducia: su due parole in chiaro del premier, poche frasi di circostanza perché non è il caso di farla lunga e ad ogni frase che non sia il “resistiamo al governo” il governo rischia di non restare. E sul conto, questo infilato sotto il tovagliolo con reticente discrezione. Il conto degli ultimi cocci, dell’ultimo “incidente” e soprattutto il conto degli ultimi quattro mesi del governo in sella “a prescindere”.

A prescindere dai cinque/dieci miliardi di euro (l’ammontare esatto è come si dice in progress) di maggiori interessi da pagare sul debito pubblico. Prima di luglio lo spread dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi era intorno ai duecento punti, ora sta a circa 350. Significa che in successive aste da luglio ad oggi gli interessi da pagare sono lievitati in media di un punto percentuale. Su uno stock complessivo del debito di più di mille miliardi fanno più di dieci miliardi di maggiori oneri. Non siamo lì, siamo lontani. Ma se continua lo spread a stare a 350, lì si arriva.

A prescindere dai venti miliardi già conteggiati in manovra, la manovra dell’azzeramento del deficit entro il 2013. Quei venti miliardi sono la pelle dell’orso venduta prima di averlo preso l’orso. Dice la manovra che o il Parlamento italiano vara riforma fiscale e delega assistenziale, cioè tagli agli sprechi nella spesa assistenziale per complessivi venti miliardi appunto entro il settembre 2012, oppure scatta in automatico un taglio di venti miliardi alle agevolazioni fiscali. In una forma o nell’altra quei venti miliardi sono ancora da pagare, fanno parte del conto.

A prescindere dai sette miliardi di tagli alla spesa dei Ministeri che i ministri non vogliono tagliare e che la maggioranza non tollera.

A prescindere dalla quota italiana dei 150/250 miliardi che l’Unione Europea sta decidendo di impiegare per ricapitalizzare le banche, cioè per dare alle banche la possibilità di resistere e non essere travolte dalla decisione inevitabile di accettare che la Grecia non paghi dal 20 al 40 per cento dei suoi debiti.

A prescindere dalla non quantificabile in miliardi “spesa” che costa all’Italia in termini di affidabilità e credibilità sui mercati mostrare lo spettacolo di un Rendiconto di Bilancio 2010 bocciato in Parlamento. A prescindere dal danno di credibilità e affidabilità non aver ancora scelto e nominato il successore di Mario Draghi a Governatore di Bankitalia. A prescindere dalla fiducia che può ispirare un paese in cui Regioni e Comuni, ministeri e ministri contestano e combattono quel che il governo ha sottoscritto come impegno di fronte all’Europa e ai mercati.

Un conto che oscilla tra 60 e 90 miliardi. Che un governo, qualunque governo, avrebbe il dovere di decidere e comunicare chi lo paga e perché. Ma il governo che c’è in Italia non vuole pagarlo per via di tassa patrimoniale. E neanche di minor spesa sulle pensioni. Men che mai con minor spesa della politica e del suo “indotto”. E neanche il governo che c’è osa provare a pagarlo il conto cercando nuove risorse: niente liberalizzazioni delle professioni, niente minor Irpef su lavoro e impresa… L’unica moneta che il governo spende è quella della resistenza, resistenza del premier dove immobile sta. Moneta che oggi su ogni mercato si spende con qualche difficoltà.

Due parole di circostanza per richiamare all’ordine la maggioranza dei parlamentari. Due parole in chiaro contando sulla fedeltà a voto palese. Per un venerdì si può fare, poi si ricomincia. Due parole in chiaro di Berlusconi e il conto sotto traccia e tovagliolo, contando sull’eterno e diffuso sollievo che milioni di italiani provano quando arriva il foglietto del conto. Il sollievo del “fesso chi paga”. Bene, stavolta, stavolta più che mai e come non mai il “fesso” sei tu.