Crisi, Usa e Francia altri 5 anni se basta, qui si gioca a freccette elettorali

di Lucio Fero
Pubblicato il 6 Novembre 2012 - 16:47 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il debito pubblico degli Stati Uniti è pari a otto volte il Pil, la ricchezza prodotta dall’intero paese in un anno. Chiunque sarà presidente tra circa 12 ore, Romney repubblicano  od Obama democratico, o alza le tasse o taglia la spesa o fa bancarotta, che sarebbe più o meno mondiale e non solo americana. In Francia le fabbriche si sono ridotte e continuano a chiudere tanto che in 30 anni se ne sono andati due milioni di posti di lavoro. Andati via, svaniti perché produrre beni materiali e merci in Francia sta diventando, è diventato così costoso che il governo socialista si prepara a togliere 30 miliardi di peso fiscale e contributivo dalle spalle delle aziende. E dove li trova, dove li può trovare questi 30 miliardi un governo, sia pur di sinistra, in Europa? Solo togliendo 30 miliardi alla spesa pubblica, anche alla spesa pubblica sotto forma di Welfare.

Dovunque in Occidente, a volersela raccontare vera e seria, la crisi in realtà non è crisi ma obbligo di cambiare il modo di vivere, con le buone o con le cattive. Crisi è qualcosa di più o meno passeggero e limitato nel tempo, qualcosa che passa e poi la realtà rimbalza come un elastico tirato là dove era prima. Insomma, passata la crisi, si ricomincia come prima. Questa che l’Occidente sta vivendo invece non è crisi, è metamorfosi. Resta da vedere se ne uscirà dalla metamorfosi una mostruosità informe o una nuova specie. Ma è metamorfosi perché quel che è già successo non consente ritorni e reincarnazione del passato che fu.

E che è successo? E’ successo che dal 2008, nel 2008 l’intero sistema del credito, bancario e della finanza stava fallendo. Uno, anzi tanti possono legittimamente pensare: ben gli stava a quegli imbottiti di soldi. E infatti ben gli sarebbe stato. Peccato però che c’era un non trascurabile effetto collaterale della rovina dei banchieri speculatori: mentre qualcuno di loro si sarebbe gettato dalla finestra come nel 1929 senza suscitare grande compassione, come nel 1929 chiunque avesse un soldo di risparmio se lo sarebbe visto bruciato, annullato. Anzi, peggio del 1929: il banchiere di una banca o di una finanziaria di cui non sai neanche il nome e magari sta in un altro continente falliva e tu la mattina andavi al bancomat della tua banca sotto casa e quello restava spento e muto. Chiuso, come la banca. Con i tuoi soldi dentro, inarrivabili. Anche se erano solo centinaia e poche migliaia di euro. Di conseguenza, in fretta, con gran dolore, molto più grande di quanto oggi si piange per la crisi, fallivano banche, istituti finanziari e sistema del credito e fallivamo tutti, dall’impiegato al commerciante, all’industriale, all’operaio, al contadino al dentista…

Per impedire le decine, centinaia di milioni di senza un soldo dalla sera alla mattina tutti i governi e tutti gli Stati hanno trasformato quell’enorme debito privato del sistema del credito in debito pubblico. Altro che liberismo, è stata una socializzazione insieme del debito e della sicurezza e pace sociale. La collettività, nella forma concreta di Stati e governi, ha “nazionalizzato” il debito che nessuno avrebbe pagato e che avrebbe indotto su scala planetaria la disintegrazione di risparmi, patrimoni e lavoro. Bene, ma non benissimo: andava fatto per ordine e salute pubblici ma contemporaneamente andavano messi banche e istituti di credito in condizioni di non nuocere ancora, il che purtroppo non si è fatto. Con questa grave pecca il debito diventato pubblico ha finora letteralmente salvato le popolazioni di Europa e Usa da un nuovo 1929 con i mendicanti per strada.

Ora però quel debito pubblico va pian piano ripagato e asciugato. Non è il debito di “altri”, è il debito contratto da Stati e governi di ogni latitudine e colore e quote di questo debito sono nelle tasche e nella condizione sociale e patrimoniale di ogni individuo di ogni gruppo sociale. Chi dice: “io il debito non lo pago” è uno che si candida, o si conferma, nella vocazione ad essere parassita della collettività. Per ripagare o asciugare quote di debito, come avverrebbe in qualunque bilancio familiare, si può incassare, guadagnare di più a fine mese o a fine anno. Su scala nazionale significa produrre merci di buona qualità che si vendono perché fatte bene e a prezzi competitivi con gli altri venditori e interessanti per i compratori. Fatta salva la Germania, l’Europa oggi produce merci a un costo troppo alto che grava su impresa e lavoro. Costo reso alto dalle tasse, dai contributi, dalle “filiere”, dalle rendite e pedaggi da pagare alla corporazioni. Se si vuole guadagnare di più per cominciare a pagare un po’ di debito o si alzano le tasse, gli Usa possono farlo, lì sono basse, l”Europa no, o si spende di meno in sicurezza e assistenza sociale.

Oppure, come in ogni bilancio familiare, si spende di meno e basta e quel che non si è speso in consumi lo si destina a ripagare il debito, le rate del debito. Ma se nessuno spende e a furia di non spendere ci si avvita in una spirale negativa che abbassa la quantità della ricchezza prodotta e quindi la credibilità sui mercati che il debito possa essere ripagato. La raccontano come rigore contro crescita ed è un racconto falso: di soli tagli ai consumi si soffoca di inedia produttiva ma di spesa pubblica nelle vene si deambula con un vibrione coleroso nelle vene. La sola cosa che può essere fatta, la sola cosa da fare è difficilissima: mantenere in piedi il Welfare, lo Stato sociale e lo Stato tutto ma farlo costare di meno. Mantenere e difendere con i denti i diritti e il dovere civile che i diritti siano finanziati e coperti anche con denaro pubblico. Ma stroncare come reazionaria menzogna quella che ci siano “diritti acquisiti”. Di acquisito nella storia non c’è nulla e tutto è costante e impegnativa e rinnovata conquista all’interno dei mutabili e mutati equilibri del possibile.

Quindi quando Angela Merkel dice: almeno altri cinque anni di crisi occorrerebbe aggiungere: se bastano. Non è “cattiva” la Merkel, non c’è un cane di economista o governante o anche semplice osservatore dei fatti che non sappia dei cinque anni se bastano. E soprattutto non sappia che “come prima” non tornano: né il modo di lavorare, nè quello di risparmiare e neanche quello di andare in pensione e neanche quello di produrre e neanche quello di studiare o comandare o governare. Però in Italia, soprattutto in Italia, nulla di questo si può dire. In Italia giochiamo a freccette elettorali: quanti saranno gli avversari di Alfano alle primarie Pdl e Berlusconi tornerà dal Kenya per votare? E Bersani farà ministro Renzi? E Renzi prende un caffè con D’Alema solo se lo prepara lui. E Pdl e Lega e Udc fanno dispetto a Bersani in Commissione sulla legge elettorale. E quale sarà la soglia per il premio di maggioranza? E De Magistris arancione ci azzecca o non con Di Pietro forse viola? E Grillo se lo accatta o no Di Pietro o gli vuole solo portare via i voti? E Vendola che ingiunge a Bersani: o me o Casini. E Grillo che lui sarebbe anti euro ma, democratico qual è, sull’euro sì o no farebbe fare agli italiani un referendum. Freccette elettorali, gioco non è dato sapere se di un popolo di bambini viziati o di politici vecchi e nuovi incoscienti.